Tre episodi significativi del mondo del lavoro statunitense.

Due anni fa, sette baristi della grande catena di caffetterie Starbucks furono licenziati a Memphis (Tennessee) per aver parlato coi giornalisti sul posto di lavoro durante la loro campagna di sindacalizzazione. Dopo la riassunzione, per intervento dell’agenzia federale National Labor Relation Board (NLRB), l’azienda ha fatto ricorso alla Corte Suprema che le ha dato ragione.

Nell’autunno scorso, durante gli scioperi per il rinnovo dei contratti delle tre grandi aziende automobilistiche degli Stati Uniti (Ford, General Motors e Stellantis, che ha incorporato Chrysler) Trump ha comiziato a Detroit, sullo sfondo di pezzi di ricambio collocati ad hoc, in una fabbrica non sindacalizzata di proprietà di un suo finanziatore. Biden è comparso a un picchetto del sindacato United Auto Workers (UAW) per sostenere la piattaforma contrattuale: aveva appena rifiutato ai dirigente delle Big3 d’intervenire per far moderare a UAW la richiesta di un aumento economico (quadriennale) del 40% per recuperare il costo della vita.

Nella diretta di due ore e mezza su X del 12.8, Trump ha lodato Elon Musk per i licenziamenti fatti nelle sue aziende: più della metà del personale di Twitter (ora X, di proprietà di MusK), quelli effettuati nell’impresa di auto elettriche Tesla e gli otto lavoratori di SpaceX che hanno criticato con una petizione il sessismo e le molestie sessuali sul lavoro. Il NLRB ha contestato la violazione dei diritti dei lavoratori di SpaceX ma il mese scorso un giudice del Texas, che era stato nominato da Trump e alla cui Corte distrettuale Musk ha fatto ricorso, non solo ha capovolto il pronunciamento ma ha messo in discussione la costituzionalità del NLRB. Sull’argomento dovrà esprimersi la Corte Suprema.

La Corte è composta da nove giudici, nominati dal Presidente in carica, che li sostituisce se muoiono o si dimettono. Con le sue nomine, Trump ha rafforzato una solida maggioranza reazionaria, che ha annullato anche il diritto all’aborto, rendendolo illegale in tutti gli Stati che non hanno una legislazione ad hoc.

La nuova direzione del NLRB, nominata da Biden nel 2020, sostituendo la precedente del tutto filo-padronale, ha dato in questi ultimi anni un notevole appoggio ai tentativi di sindacalizzazione dei lavoratori USA, contrastati, come in Amazon e Starbucks ma non solo lì, dal cosiddetto Union Busting, appaltato dal padronato, con ingenti risorse, a grandi aziende specializzate in attività di contrapposizione all’organizzazione dei lavoratori. Le ingiunzioni del NLRB per la reintegrazione di lavoratori ingiustamente licenziati, come nel caso di SpaceX, sono dunque assai importanti. Nella trasmissione su X, il NLRB è apparso come uno dei principali avversari dei due nuovi amici Musk e Trump. Questi ha offerto in diretta un posto nella futura sua amministrazione, che Musk nei giorni seguenti ha definito Dipartimento dell’efficienza, che consisterà nella riduzione o nell’eliminazione del ruolo delle agenzie federali, come il NLRB in tema di lavoro o quelle a tutela della salute, dell’ambiente, per la difesa del diritto al lavoro dei disabili. Tutti organismi che spesso hanno l’ardire di cercare di condizionare il potere del padronato.

Dopo la “trasmissione dei licenziamenti”, persino il presidente dei Teamsters, il sindacato dei camionisti, O’Brien, che, invitato alla Convention repubblicana, intendeva praticare la politica due forni ma ha finito per sdoganare l’antisindacalità di quel partito, ha dichiarato che “ridire de lavoratori (come hanno fatto Musk e Trump nella trasmissione su X) per l’organizzazione, lo sciopero e l’esercizio dei loro diritti come americani è terrorismo economico”. Il caucus (la componente interna) nero dei Teamsters ha ora approvato la candidatura di Kamala Harris, come hanno fatto praticamente tutti i sindacati statunitensi, anche se il loro sindacato ha affidato la decisione ad un referendum tra gli iscritti, i cui dati si conosceranno a fine agosto

I tre episodi citati in questo articolo sono tra i tanti che illustrano il contesto del mondo del lavoro statunitense e le posizioni dei democratici e dei repubblicani verso le elezioni presidenziali di novembre. Inevitabile che l’argomento sia stato uno di quelli transitati nella recente Convention del Partito Democratico (DNC), sollecitato da delegati vicini al Sindacato.

La forza lavoro statunitense è di 166 milioni di persone, distribuite in 131 milioni di famiglie ed è un gruppo, per niente coeso nel voto, come vedremo oltre, molto coccolato nelle campagne elettorali. Oggi un lavoratore medio guadagna meno, rispetto al costo della vita, di 50 anni fa, perché gli ultimi decenni di politiche economiche, sono state di deindustrializzazione, tagli fiscali per i ricchi, riduzione di programmi e benefici sociali e indebolimento dei diritti dei lavoratori, che si sono trovati di fronte a repressioni padronali e crescita dei salari da fame, che non consentono di vivere, in anni che sono pure di crescita inflattiva. Il paese più ricco, non solo sulla Terra, ma nella storia del mondo, è quello con più disuguaglianza di ricchezza: da un lato l’1% dei miliardari, dall’altra poveri, senzacasa, welfare limitato ai molto poveri, pensioni solo private, 50 milioni di persone senza copertura sanitaria o gravemente sotto-assicurate.

Come noto, Il sistema elettorale degli USA, rigidamente uninominale, comporta che nelle presidenziali si vincono i singoli Stati della Federazione anche con un solo voto di vantaggio. Ci sono 5 o 6 Stati decisivi, in bilico tra i due grandi Partiti che si disputano le cariche elettive a tutti i livelli, e la campagna elettorale finisce per svolgersi soprattutto in essi.

Alcuni Stati, nel nord-est del Paese, hanno una lunga storia industriale ridimensionata dalla chiusura delle fabbriche, soprattutto quelle dell’auto e del suo indotto. Intere comunità che vivevano a ridosso, e del salario, di quelle fabbriche sono precipitate nella povertà. Gli iscritti al sindacato, che a livello nazionale sono solo il 10% della forza lavoro, in Michigan, Nevada e Pennsylvania, stati in bilico, non solo hanno un’alta presenza ma per decenni hanno rappresentato un blocco di voto per il Democratic Party. Nelle ultime elezioni, e soprattutto in quelle di Trump contro Hillary Clinton, quest’ultima che pure ha preso a livello nazionale quasi più di 3 milioni di voti in più del magnate immobiliare, nella Rust Belt (la cintura della ruggine delle fabbriche dismesse) fu vista, non a torto, come una rappresentante di Wall Street (ottenendo solo il 53% del voto dei membri del sindacato).

Il ruolo della classe lavoratrice è aumentato di molto negli ultimi anni con vertenze e scioperi organizzati da sindacati storici, neo-costituiti o dall’auto-organizzazione dei lavoratori. Queste lotte in genere sono state appoggiate dall’amministrazione Biden. Che però non ha bloccato il rincaro dei prezzi dei beni di consumo, ha chiuso d’autorità il contratto dei ferrovieri senza gli auspicati permessi retribuiti per visite mediche ed è ancora arenato in Parlamento (dove alla Camera i repubblicani sono oggi in maggioranza) il Pro Act che potrebbe garantire meglio alcuni diritti del lavoro.

“Non si può essere anti-sindacato e pro-lavoratore!”, ha dichiarato alla DNC Julie Su, segretario del Lavoro nell’amministrazione Biden. Anche Bernie Sanders ha fatto un lungo elenco dei provvedimenti per il Lavoro presi da Biden, descrivendolo come il presidente più filosindacale dopo F.D.Roosevelt ma soprattutto ha riproposto l’agenda per i problemi sociali che la prossima presidenza deve affrontare (diritti sindacali, salute pubblica, salario minimo, ecc.). Nella riunione della sinistra del Partito Democratico, in cui lui è un indipendente, ha affermato che “entrambi i partiti sono controllati da grandi interessi monetari” e anche che “il popolo americano è favorevole a Medicare for All (l’estensione della copertura sanitaria pubblica), ma non riesco nemmeno a portare quel disegno di legge in un Senato seppur controllato dai democratici (la Camera ha maggioranza repubblicana) perché i leader del partito pensano che sia troppo radicale, anche se il 70% della popolazione lo vuole”.

Una parte consistente del mondo del lavoro ha votato e voterà Trump, anche al di là delle sue proposte coerentemente anti-sindacali e contro l’intervento pubblico sul terreno sociale. Ciò succede anche negli altri Paesi del c.d. Occidente ed è anche, ma non solo, conseguenza delle politiche attuate da governi della sinistra liberista: le controriforme del mercato del lavoro, distruggendone i diritti collettivi, o i Trattati internazionali di libero scambio, ohe favoriscono le multinazionali e lo smantellamento delle roccaforti industriali. Come il NAFTA varato dalla presidenza Clinton, sebbene fosse contestato dai sindacati, che fece perdere agli USA 800.000 posti di lavoro, soprattutto nel settore auto.

Ma i cambiamenti contrari agli interessi nazionali e dei lavoratori si sono svolti, come portato della globalizzazione e della finanziarizzazione dell’economia, anche durante la presidenza Trump e hanno creato immense ricchezze. Le quali sono state ulteriormente favorite nel 2017 da quelli che Trump stesso definisce “i più grandi tagli fiscali di sempre”, una ricchezza di due trilioni di dollari trasferita agli alti redditi durante il suo mandato presidenziale.

Ma il personaggio ha grandi capacità di barcamenarsi in tutti gli ambienti sociali e ora ha vaticinato un ritorno del Partito Repubblicano “alle sue radici come Partito dell’Industria, del Manifatturiero, delle Infrastrutture e dei Lavoratori”, con la promessa di riportare posti di lavoro nel settore manifatturiero. Una ripetizione dell’impegno (fallito) del 2016 di “comprare americano, assumere americano”.

Il Partito repubblicano è ormai lontanissimo dal tempi di Abraham Lincoln, che affermava che “tutto ciò che è dannoso per la classe operaia è un tradimento contro l’America” e che scambiava lettere con Karl Marx per la comune lotta contro il razzismo. Trump non ammette dissensi nel Partito e nella società e prefigura un suo ritorno alla Casa Bianca come un generale repulisti.

Sei dirigenti sindacali hanno parlato alla Convention democratica di Chicago del 19-22 agosto. Il presidente del sindacato elettrici, storicamente progressista, ha ricordato che con Trump i repubblicani hanno sostenuto le grandi imprese, a partire dalle banche (142 miliardi di dollari a Bank of America; 280 a CityGroup) con quasi 1.500 miliardi di dollari ma non hanno stanziato che 3 dei 7 miliardi necessari per conservare i benefici pensionistici di 2 milioni e mezzo di lavoratori. Inoltre Trump ha ridotto gli ispettori della sicurezza sul lavoro al numero più basso della storia, ridimensionato le possibilità di sindacalizzazione nel pubblico impiego, non ha mai offerto una parola di sostegno ai lavoratori in sciopero, ha cercato di tagliare Medicare, Medicaid e la sicurezza sociale, si è opposto a qualsiasi aumento del salario minimo.

L’agenda per il lavoro del Project 2025, che risulta essere una summa delle intenzioni di Trump quando tornerà al potere, ripropone la consueta distruzione dei sindacati, rendendo ancor più difficile costituirli, e più facile per le aziende classificare i lavoratori come appaltatori indipendenti (privi di molte tutele dei dipendenti diretti). Nel Progetto 2025 è anche prefigurato un generale ridimensionamento, o cancellazione, di tutte le agenzie federali che possono ostacolare il ruolo autoritario del Presidente. Ciò che comporterà la caduta delle tutele non solo per i lavoratori e massicci licenziamenti di impiegati federali e statali, gestiti magari dal nuovo incarico a Musk.

Come risponde a ciò il movimento sindacale degli USA? Con lo stanziamento di risorse economiche e umane per una campagna che contrasti la rielezione di Trump, affrontando anche gli storici impedimenti alla registrazione per il voto dei poveri e dei neri negli Stati del Sud degli USA. Ma soprattutto dando più forza alle vertenze, soprattutto nel Sud degli USA.

April Verrett, segretaria del Service Employees International Union (Seiu), ha detto alla NDC: “stiamo costruendo un movimento operaio più giovane, più scuro, più alla moda, più fresco. Un movimento che sarà più inclusivo. Porremo fine al lavoro povero una volta per tutte”.

Shawn Fain, il presidente del sindacato auto UAW, che ha denunciato Trump e Musk per le minacce espresse, nella trasmissione su X, ai diritti di parola e di sciopero dei lavoratori costituzionalmente garantiti, ha definito Trump a scab (un crumiro) – ed era scritto sulla maglietta che Fain portava nel suo discorso alla NDC – , uno che violava i picchetti degli scioperi nelle sue aziende immobiliari e che durante la Convention nazionale repubblicana del mese scorso, aveva chiesto che Fain fosse “licenziato”. anche se eletto dai lavoratori.

“Licenziare” sembra un’ossessione di quell’uomo, che ripete in ogni occasione lo slogan che terminava la trasmissione televisiva che produceva prima di entrare in politica.

Il sindacato UAW è stato anche uno dei promotori della campagna per il cessate del fuoco a Gaza condotta da National Labor Network for Ceasefire, che rappresenta nove milioni di lavoratori di sette grandi sindacati. Guarda caso, proprio in concomitanza delle iniziative pro Gaza, che vedono in prima fila i lavoratori delle università, 100.000 dei quali iscritti a UAW, Fain ha ricevuto una denuncia per la sua direzione del Sindacato. Lo stesso monitor federale, nominato dal Dipartimento di Giustizia, che deve tenere sotto controllo UAW per 7 anni onde evitare un ritorno del clima tangentizio con le aziende che aveva portato gran parte del precedente gruppo dirigente in galera, ha esortato la UAW, ben aldilà dei suoi compiti, a rivedere la propria posizione contro il genocidio di Gaza, preoccupato per il pericolo di “antisemitismo”.

Ed è proprio su Gaza che si sono manifestate le uniche grandi e pubbliche differenze nella Convention democratica. Malgrado gli appelli di Bernie Sanders e di Alexandria Ocasio-Cortez, malgrado la presenza, che è stata imposta muta, dei delegati alle primarie democratiche che aveva scelto il voto di astensione, una posizione non-commitment che aveva raccolto 730.000 voti di base per contestare l’appoggio governativo, diplomatico e in armi, alle uccisioni di palestinesi, non è stato concesso a questa posizione (che richiede a Biden di non sostenere più la carneficina israeliana) di fare un intervento pubblico nella convenzione ma solo una presenza a latere, un panel sui diritti palestinesi, che si poi è conclusa fuori, con un sit-in di fronte all’edificio di Chicago che ospitava la Convention.

Fuori, dove il 19.8 si è svolta una grande manifestazione per il cessato il fuoco e l’embargo di armi a Israele che, dopo aver organizzato 90 mobilitazioni tenute in 35 stati nel precedente fine settimana, ha raccolto 50.000 manifestanti in una città, Chicago, dove vive la più grande comunità palestinese del mondo fuori dal Medio Oriente, composta da 85.000 persone.

Fonti:

D.Orecchio, Il piano di Trump contro il lavoro, Internazionale, 2.9.23

E.Peck, How unionized voters could decide the election, Axios, 30.7

A.N.Press, The UAW Is Now a Chief Antagonist of Donald Trump, Jacobin, 15.8

J.Metraux, Project 2025 Would Make Workplace Discrimination a Lot Easier, Mother Jones, 19.8

C.J.Atkins, Sanders: Beat Trump’s fascism in November, then tackle capitalist oligarchy, People’s World, 20.8