La Francia ha un governo dimissionario dal 16 luglio, con i ministri che continuano a svolgere funzioni “quotidiane” in attesa che il Presidente nomini un Primo Ministro, e con un’Assemblea Nazionale rinnovata dopo il suo scioglimento senza che nessun blocco abbia ottenuto la maggioranza assoluta. Eppure c’è un fatto inaspettato: una maggioranza relativa per il Nuovo Fronte Popolare, che ha ottenuto 193 deputati (riunendo la sinistra: France Insoumise, Partito Comunista, Partito Socialista e gli Ecologisti e alleati), seguito dall’intero schieramento presidenziale con 165 deputati, dal RN (Rassemblement National, estrema destra e suoi alleati) con 143 deputati, da Les Républicains (destra storica e destra varia) con 55 deputati e da altri 21 deputati.

L’elezione del nuovo Presidente dell’Assemblea Nazionale si è svolta il 18 luglio e ha riservato un’altra sorpresa: dopo alcuni accordi minori a destra, l’ex Presidente macronista dell’Assemblea Nazionale, Yaël Braun-Pivet, è stato rieletto al 3° turno con una maggioranza relativa di 220 voti contro il candidato comunista André Chassaigne del Nouveau Front Populaire, che ha ricevuto 207 voti.

Questa differenza di 13 voti è legata a una situazione particolare: i ministri dimissionari si sono presentati alle elezioni legislative e sono stati eletti. I loro voti hanno reso possibile la rielezione dell’ex presidente macronista dell’Assemblea nazionale. La sinistra ha presentato ricorso al Consiglio di Stato per una questione prioritaria di costituzionalità (QPC). Ciò solleva la questione della separazione dei poteri.

È seguita poi l’elezione dell’Ufficio di presidenza dell’Assemblea nazionale, il cui ruolo è quello di organizzare la gestione dell’istituzione, composta di 22 seggi, guidata dal presidente macronista dell’Assemblea nazionale. Contro ogni aspettativa, 12 dei 22 seggi sono stati conquistati dal NFP (Nouveau Front Populaire, la coalizione di sinistra), che ha ottenuto la maggioranza assoluta, contro i 5 del partito del Presidente, i 3 della destra storica e i 2 degli indipendenti.

Solo il Rassemblement National (estrema destra), il terzo blocco più grande dell’Assemblea nazionale con 143 seggi, non ha seggi nell’Ufficio di presidenza. A prescindere dalla condivisione o meno delle sue idee, vuol dire che non è rappresentato. Il RN è il partito politico che ha ricevuto il maggior numero di voti (oltre 9 milioni) al primo turno delle elezioni legislative. È probabile che la frustrazione degli elettori sarà grande e si esprimerà alle urne durante le elezioni presidenziali del 2027.

In sintesi, un’Assemblea Nazionale con una maggioranza relativa per il NFP (Nouveau Front Populaire: che riunisce la sinistra), il cui Presidente è nel campo presidenziale, con un Ufficio di Presidenza che è per la maggior parte del Nouveau Front Populaire!

Dopo due settimane di discussioni burrascose, il Nuovo Fronte Popolare si è accordato su un nome, Lucie Castets, per diventare Primo Ministro e formare il nuovo governo. Il Presidente Macron ha immediatamente rifiutato, respingendo l’idea di un governo del Nuovo Fronte Popolare che non smette di reclamarne la legittimità, anche senza una maggioranza assoluta, invocando il fatto di essere la prima forza all’Assemblea Nazionale.

Per quanto riguarda il Presidente, è spaesato, nega, chiede una “tregua politica” per la durata dei Giochi Olimpici! Spera in una soluzione miracolosa? Spera che il problema si risolva da solo? O sta aspettando che il suo campo formi una coalizione con la destra storica e presenti un primo ministro, che ora sembra lo scenario più probabile. Tenendo presente che la Costituzione non lo obbliga a fissare una data per la nomina del primo ministro.

Spera forse che il Nuovo Fronte Popolare imploda, visto l’alto livello di tensione, e che quindi riesca a conquistare al suo governo politici di sinistra, in particolare del Partito Socialista, a cui fa continuamente l’occhiolino? Potrà così nominare un primo ministro del suo schieramento e parlare di un governo pluralista, dalla destra alla sinistra repubblicana, quello che lui chiama “patto repubblicano” escludendo, ovviamente, La France Insoumise (sinistra radicale) e il Rassemblement National (estrema destra), che lui fa di tutto per accomunare, sostenuto e incalzato dai media mainstream appartenenti a finanzieri e industriali. È improbabile, perché gli elettori di sinistra non perdonerebbero mai il loro partito per questo tradimento. Possiamo supporre che questa soluzione soddisferebbe la megalomania del Presidente Macron: essere il grande unificatore, il padre di tutti!

Qualunque sarà il primo ministro scelto e a qualunque schieramento appartenga, questo nuovo governo non durerà fino al 2027 (nuove elezioni presidenziali). A seconda degli accordi tra i partiti, all’Assemblea nazionale potrebbero essere presentate mozioni di censura contro il governo, ottenendo eventualmente la maggioranza assoluta per farlo cadere. La Costituzione non consente al Presidente di sciogliere nuovamente l’Assemblea nazionale per un anno. Il Paese potrebbe rimanere politicamente paralizzato fino al 2027. Il buon senso imporrebbe al Presidente di dimettersi e di indire nuove elezioni presidenziali, che rispecchierebbero in modo più equo le aspettative del popolo francese.

Il Primo Ministro è responsabile del suo governo di fronte all’Assemblea Nazionale, ma solo il Presidente può scioglierla, anche in disaccordo con il Primo Ministro. L’Assemblea non può chiedere al Presidente di dimettersi, quindi non c’è equilibrio tra i poteri.

Con questa Costituzione, che favorisce l’iper-presidenzialità, potremmo passare dalla “democrazia” a una “dittatura”. Il Presidente Macron potrebbe effettivamente utilizzare l’articolo 16 della Costituzione per prendere il controllo totale del Paese con un colpo di Stato democratico. Non ci sarebbe bisogno di un colpo di stato militare, tutto ciò che dovrebbe fare è utilizzare la via legale con questo articolo che invoca l’“ingovernabilità” e quindi l’instabilità politica ed economica del Paese. Il capitalismo non ha bisogno di democrazia, va bene anche una dittatura, ma ha bisogno di stabilità.

Che senso ha tutto questo imbroglio? La situazione ci mostra la decadenza della politica e il fallimento della nostra Costituzione.

La paura dell’estrema destra, orchestrata e utilizzata a destra e a sinistra fin dalla creazione del Fronte Nazionale nel 1972 (il partito di estrema destra di Jean-Marie Le Pen), gli ha permesso di restare al potere. Oggi la palla non può più essere passata avanti e indietro: è stata intercettata. Il Paese è diviso in tre blocchi: la destra storica, compreso il campo presidenziale; la sinistra, che ha salvato la situazione nel 2022 grazie alla sinistra radicale; e l’estrema destra, che continua a crescere, per non parlare dell’aumento dell’astensione.

Oggi il nemico finale, il diavolo, non è più l’estrema destra ma la sinistra radicale, cioè La France Insoumise, che i media mainstream e i politici chiamano estrema sinistra per spaventare i bravi cittadini. Il Rassemblement National (estrema destra) sta finalmente diventando accettabile e il suo giovane presidente Jordan Bardella è il beniamino dei media.

Il fuoco di sbarramento contro l’estrema destra ha funzionato in parte anche per le elezioni legislative, visto che non è riuscita a conquistare la maggioranza assoluta, ma se c’è un vincitore è il Rassemblement National, che è passato da 8 deputati nel 2017 a 89 nel 2022 e a 126 (142 con i suoi alleati) nel 2024.

Stanchi di questo gioco di prestigio e di potere al servizio solo dei loro ego, dei loro interessi personali e di quelli dei finanzieri, degli industriali e dei cani da guardia borghesi del sistema, i cittadini si sono allontanati da questa politica sterile, che non dà più speranze. Sono stufi, per non parlare di quelli che si sono disinteressati della politica. La via del cambiamento è altrove, questo modello non funziona.

Traduzione dal francese di Thomas Schmid.