Piove cenere vulcanica. Non si fa in tempo a raccoglierla che ne arriva altra. A parte la fatica per spazzarla da balconi, terrazze e cortili, pesa il disorientamento su dove conferirla e l’assenza di interventi veloci ed efficaci di raccolta e spazzamento da parte delle amministrazioni locali.
Possibile che per un evento non eccezionale, e che – a detta dei vulcanologi – si ripeterà con sempre maggiore frequenza, non sia stata predisposta una strategia consolidata di intervento?
E’ paradossale, ma è così. Non vogliamo andare troppo indietro nel tempo, ad esempio al “Piano comunale di protezione civile in caso di ricaduta di ceneri vulcaniche”, che troviamo sul Sito del Comune di Catania, aggiornato (si fa per dire…) al 2008 e che comunque dimostra come il problema sia antico.
Parliamo, invece, del Decreto attuativo dell’Assessorato regionale dei Servizi di pubblica utilità, licenziato nel febbraio di quest’anno insieme a precise Linee Guida, per “disciplinare” il procedimento di utilizzo delle ceneri vulcaniche che già la legge n.77 del 2021 escludeva dal novero dei rifiuti, se inserite in un ciclo produttivo che non comporta danni per l’uomo.
E qua emerge la prima ‘rivoluzione’, quella che deve avvenire nella percezione collettiva del fenomeno, le ceneri vulcaniche non sono un rifiuto ma una risorsa che può anche offrire opportunità economiche e vantaggi per la collettività.
Lo confermano studi internazionali sulle ceneri vulcaniche, inziati nella prima metà del secolo scorso. Dal 2014 vi contribuiscono anche studiosi dell’Università di Catania, coinvolti – grazie alle loro ricerche – nel tavolo tecnico Ceneri Vulcaniche da Rifiuto a Risorsa costituito nell’assessorato Servizi di pubblica uitilità, da cui è scaturito il decreto dello scorso febbraio.
Su UnictMagazine, Loredana Contraffatto, associata di Scienza delle Costruzioni del Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura (Dicar), sintetizza quanto realizzato nei progetti Valica‐Etna (Valutazione delle Alternative End‐of‐Waste delle Ceneri Vulcaniche dell’Etna ‐ 2014), coordinato da Paolo Roccaro, RiPE (Riciclo di Piroclasti dell’Etna nella produzione di materiali e manufatti edili – 2016), coordinato dalla stessa Contrafatto, e Reucet – REcupero e Utilizzo delle Ceneri vulcaniche Etnee (2018-2020), un progetto interdisciplinare che ha coinvolto, oltre al Dicar, i Dipartimenti di Chimica e di Scienze Biologiche, arrivando a fornire “indicazioni per lo sviluppo di un nuovo modello di filiera di gestione sostenibile delle ceneri vulcaniche etnee”.
Dalla ricerca, che ancora prosegue, anche con collaborazioni con centri esteri, emerge il possibile utilizzo delle ceneri etnee in edilizia (cementi misti pozzolanici, malte e calcestruzzi, asfalti, sottofondo stradali, …) e persino nella depurazione delle acque inquinate.
C’è anche un uso agricolo delle ceneri vulcaniche, di cui si occupa in particolare il CNR di Palermo, dove Mario Pagliaro, ricercatore dell’Istituto di Materiali Nanostrutturati, ha coordinato uno studio recentemente pubblicato sui Rapporti JSFA. “La cenere vulcanica – spiega – è un potente fertilizzante inorganico che potrebbe trovare ampio uso in agricoltura, non tanto per il suo contenuto di macroelementi utili alle piante, quanto per la presenza di elementi rari che vanno a nutrire il microbioma del terreno, il quale produce enzimi catalitici che rendono biodisponibile per le piante lo stock di elementi nativi del suolo”
Non solo, quindi, le ceneri vulcaniche contengono fosforo, potassio, calcio, ferro e altri elementi nutritivi importanti per le colture, ma hanno qualcosa di più, nutrono i batteri del suolo (microbioma) producendo gli effetti di cui parla Pagliaro, di grande utilità per l’agricoltura.
Se oggi questo materiale viene utilizzato per lo più solo nella vivaistica e non in agricoltura – prosegue il ricercatore – dipende dal fatto che manca una legge nazionale che lo riclassifichi da rifiuto a fertilizzante inorganico e neanche la Regione siciliana ha provveduto a formularne una propria, nonostante il suo statuto speciale glielo consenta.
Accade infatti che, all’attivismo dei ricercatori non corrisponda un analogo attivismo degli amministratori, che sembrano sconoscere la problematica o fingono di farlo, preferendo – come il presidente Schifani – chiedere lo stato di calamità naturale.
Eppure la questione è molto più seria di quanto appaia. Non c’è solo il fattore della spesa non indifferente del conferimento in discarica della cenere vulcanica considerata come rifiuto, per di più speciale. Pare che la Regione abbia speso circa 15 milioni di euro per liberare strade e piazze dalla cenere espulsa dall’Etna nel marzo 2022. E’ in ballo una opportunità di sviluppo per il nostro territorio.
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