In un articolo pubblicato nel periodico Voce socialista, n. 30 del 27 settembre 1945, Mario Mineo scrisse:
“A due anni dalla caduta del regime fascista, difficilmente si potrebbe immaginare una situazione politica peggiore di quella che sta per determinarsi in Italia. (…)
L’atteggiamento dei liberali e dei democratici cristiani fa prevedere vicina la rottura dei Comitati di Liberazione e l’abbandono della formula governativa di concentrazione nazionale, attraverso cui si sarebbe dovuta realizzare l’unità di tutte le forze veramente democratiche ed antifasciste contro il fascismo risorgente, mentre di fatto si è soltanto riusciti a ricostituire per il loro tramite l’apparato burocratico, poliziesco, militare dello stato borghese – nell’interesse esclusivo della reazione – e a creare uno stato d’animo di delusione, di avvilimento, di sfiducia nelle masse proletarie, unica difesa dell’indipendenza, della libertà, della democrazia italiana.”
Un mese dopo, il 5 novembre 1945, nel n. 33 dello stesso periodico, scrisse un articolo titolato I fondamenti obiettivi di una autonomia democratica, dove fece le seguenti considerazioni:
“La questione dell’autonomia non si può porre in termini sentimentali o di demagogia. (…)
Non possiamo aderire all’idea che fermenta nella piccola testa di certi machiavellici da strapazzo, per i quali l’autonomia sarà pure una sciocchezza o una fregatura, ma poiché la ‘maggioranza’ la vuole ed i separatisti si gioverebbero di un nostro atteggiamento contrario, bisogna che la sosteniamo anche noi. (…)
Da Gramsci in poi nessun marxista degno di questo nome, può credere alle possibilità di un avvento del socialismo in Italia senza l’apporto effettivo delle masse meridionali. Questo apporto non può essere soltanto passivo: non può tradursi in un’azione di rimorchiamento di tali masse da parte del proletariato operaio del Nord. (…)
Prima che sia troppo tardi bisogna agire.
Ed io credo che, se agitiamo la formula dell’autonomia democratica, che è perfettamente marxista-leninista (e che non ha pertanto nulla a che vedere con certo autonomismo piccolo-borghese) vedremo ben presto ripiegare sull’unitarismo più accentratore i nostri amici reazionari, anzi vedremo dividersi ulteriormente il campo degli autonomisti borghesi e piccolo-borghesi, e rompersi quell’unità della reazione che il buon Aldisio [NdR: originario di Gela (AG), più volte ministro del Regno e della Repubblica, nonché Alto Commissario per la Sicilia all’epoca della discussione sull’autonomia fra ’44 e ‘45] cerca affannosamente di portare in porto.”
Dopo due anni, il 2 aprile del 1947, su La Voce della Sicilia, Mario Mineo tenne ad affermare quanto segue:
“Sia in linea di principio che in relazione alle particolari condizioni dell’Italia di oggi non si può accettare che sia posta in discussione l’unità italiana, conquista che le classi lavoratrici italiane sono risolute a mantenere ad ogni costo.”
Purtroppo avvenne che, dopo la Strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947, a fine maggio dello stesso anno, l’unità dell’Italia antifascista si ruppe e si diede l’avvio ad una serie di governi centristi.
Questi – fortemente legati sia alla famigerata “Dottrina Truman”, lanciata il 12 marzo del 1947 con “la strategia del contenimento” contro il comunismo, sia alle politiche della ricostruzione finanziate dal Piano Marshall – riuscirono nel corso degli anni ’50 a rimodulare le strategie reazionarie, permettendo il rientro non solo dei burocrati del ventennio ma anche degli ex repubblichini di Salò, i quali riuscirono addirittura ad insinuarsi nell’Italia anti-fascista con il “Movimento Sociale Italiano” (M.S.I), simboleggiato dalla “fiamma tricolore”.
La legittimazione politica di quell’inserimento favorì in seguito anche la formazione di movimenti di estrema destra (come Forza Nuova, Ordine Nuovo e oggi Casa Pound) che, fedelissimi alla linea nazi-fascista, a partire dall’eccidio di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 (12 morti e 60 feriti, tutti civili, inermi), avrebbero scatenato una stagione stragistica ed eversiva, funzionale a una politica securitaria.
In quel contesto si risvegliò un percorso di resistenze antifasciste contro lo scadimento dei sacrosanti valori della Carta Costituzionale: dal Luglio ‘60 con le pacifiche manifestazioni delle “magliette a strisce” in opposizione al Governo Tambroni, che furono represse nel sangue dalla “Celere” di Mario Scelba, Ministro dell’Interno, al movimento del ’68 con una rivoluzione che si protrasse negli anni ‘70, le cui lotte riuscirono a fare approvare sia lo “Statuto dei Lavoratori” (Legge n. 300 del 1970) sia una pur minima riforma della scuola con i “Decreti Delegati”, varati nel 1973.
Gli anni scorrevano e le politiche governative facevano scadere il senso della democrazia costituzionale al punto tale da gettare l’Italia prima nel craxismo, poi nel berlusconismo e, dulcis in fundo, nell’attuale governo con a capo la Meloni e i suoi fedelissimi mussoliniani.
Una vera e propria cancrena politica che, purtroppo, è stata anche rinvigorita da un pericolosissimo astensionismo elettorale.
E questo “malefico sistema” continua ad essere legittimato dall’onnipotenza del neo-capitalismo e del neo-liberismo globalizzato dominato dalle multinazionali che inesorabilmente riescono a colonizzare l’intero Pianeta Terra.
Perciò c’è l’urgenza di rivitalizzare un’autentica democrazia dove può e deve regnare il potere del popolo, quel potere che consente alle classi sociali meno abbienti di vivere e sostenere le proprie rivendicazioni materiali e spirituali senza l’oppressione dei poteri costituiti, che sanno gestire con cinica determinazione tempi perenni di guerre e conflitti ed anche tempi di pace astratta, asfittica, senza concretezza di diritti.
É in questa tristissima realtà che la mefistofelica presidente del Consiglio e i suoi stretti ministri si stanno arrogando il diritto non solo di ri-maneggiare la storia del ventennio e di mettere in dubbio le stesse sentenze sulle stragi di matrice fascista, ma anche di varare una sfilza di decreti sulla sicurezza, sulla giustizia, sulla Scuola-Azienda e sulla recentissima “Autonomia Differenziata”, promossa dal leghista doc Calderoli.
Nella suddetta locuzione, piuttosto ambigua, notiamo che da una parte viene usato il termine “Autonomia” per significare la richiesta di trasferimento delle competenze legislative e amministrative dallo Stato centrale alle Regioni, mentre dall’altra parte viene inserito l’aggettivo “Differenziata” per giustificare le differenziazioni e la vile rottura dell’unità nazionale con un peggioramento delle diseguaglianze regionali che inevitabilmente faranno pagare alle cittadine e ai cittadini del meridione, e non solo, prezzi altissimi.
Con la “Autonomia Differenziata” (Legge n. 86 del 26 giugno 2024), ai sensi dell’art. 116 della Carta, viene consentito alle Regioni a statuto ordinario di poter legiferare, in piena autonomia, su 23 materie (tra cui Sanità, Istruzione, Ordine Pubblico, Ambiente, Acqua, Energia, Trasporti, Cultura, Protezione Civile e Commercio Estero) con l’obbligo di rispettare i cosiddetti “Livelli Essenziale di Prestazione” (LEP), cioè quei criteri che dovranno essere definiti nel tempo massimo di due anni per poi essere garantiti in modo uniforme (sic!) sull’intero territorio nazionale.
Paradosso dei paradossi: l’inserimento di questi LEP è avvenuto, ahimè, senza la dovuta previsione di spesa al fine di assicurare le necessarie risorse per la corretta ed equa risoluzione delle gravissime emergenze, non solo nel Meridione ma anche in tante altre regioni d’Italia.
A onor del vero non va dimenticato che la suddetta legge nacque in seguito alle modifiche apportate dal centro-sinistra al Titolo V della Carta Costituzionale con la Legge n.3 del 2001.
Con l’attribuzione delle competenze alle singole Regioni, piuttosto che allo Stato, i legislatori non hanno fatto altro che vanificare i diritti fondamentali della Carta Costituzionale provocando ripercussioni negative in tutti i settori delle istituzioni pubbliche ed anche uno scadimento progressivo delle idee unitarie legate alla “democrazia partecipativa” e quindi alla “Autonomia Democratica” senza frammentazioni e senza disuguaglianze culturali, sociali, economiche ed ambientali.
Questa involuzione più che evidente va bloccata senza se e senza ma, anche perché sta per essere aggravata da un’altra proposta fascistoide, quella del “premierato” che, nell’ordinamento dell’intero territorio, prevede l’assunzione di un potere arbitrario da parte del Presidente del Consiglio provocando inevitabili tensioni tra il potere centrale e le periferie.
Attenzione! Con questi decreti si sta facendo di tutto per stravolgere il senso profondo della democrazia e dello Stato di Diritto, amato e voluto dagli anti-fascisti.
“L’onnipotenza, la corruzione, l’arroganza del potere che caratterizzano questo tipo di assetto politico riducono comunque a poco a poco gli spazi effettivi di libertà civile e politica, nonostante il formale rispetto dello ‘Stato di Diritto’: non per nulla, tanto per fare un esempio banale, il potere della polizia e dei servizi segreti è cresciuto nelle democrazie occidentali in termini che solo quantitativamente differiscono da quelli in cui si esercita negli ‘Stati totalitari’ dell’Est.
Quanto al pluralismo nel settore dei mass media, esso diventa ogni giorno di più un’autentica chimera.”
[Mario Mineo: “Lo Stato e la transizione. Un saggio sulla teoria marxista dello Stato.” pag. 61. Edizioni Unicopli, 1987]
Resistiamo uniti, forti e decisi, contro l’autonomia differenziata, contro il premierato, contro le privatizzazioni, contro il neo-fascismo dilagante!