Quando si parla di banda ultra larga, Piano BUL (Piano Banda Ultra Larga) e connessione FTTH (Fibra per la casa o Fibra fino a casa) si sentono spesso nominare le Aree Bianche, Nere e Grigie. Ma di cosa si tratta esattamente?
La Commissione Europea ha suddiviso il territorio in zone, misurando il livello di investimento privato per quanto riguarda la banda ultra larga, ovvero della tecnologia che consente una velocità di connessione superiore ai 30Mbit/s, garantita dalla fibra ottica. Non tutti i territori sono infatti serviti allo stesso modo e, soprattutto, le aziende non investono ovunque in ugual misura e con le stesse tempistiche. La classificazione operata prevede tre zone: le Aree Nere, ossia le aree in cui è prevista entro tre anni la presenza di almeno due reti a banda larga di diversi operatori; le Aree Grigie, che sono le aree in cui è prevista entro tre anni una sola rete a banda ultra larga e, infine, le Aree Bianche, rappresentate dalle aree dove addirittura non è previsto alcun tipo di investimento privato per la banda ultra larga per i successivi tre anni. In buona sostanza, sono definite Aree Bianche quelle zone in cui gli operatori privati non hanno ritenuto conveniente investire e quindi sono prive di infrastrutture a banda larga ed ultra larga. In questi casi è necessario un intervento economico da parte dello Stato: https://openfiber.it/media/news/banda-ultra-larga-aree-grigie/.
Per accelerare gli interventi sul 5G nelle Aree Bianche, il governo Meloni ha però ritenuto di mortificare le prerogative dei Comuni, estromettendoli dal processo di autorizzazione. La Legge 4 luglio 2024 n. 95, di conversione del Decreto Coesione, contiene infatti una disposizione (art. 4, comma 7-bis), che vanifica le competenze dei comuni, nelle Aree Bianche, in materia di pianificazione territoriale degli impianti radioelettrici: le nuove infrastrutture in tecnologia 5G possono essere installate ”anche in deroga ai regolamenti comunali di cui all’art. 8, comma 6 L. 36/2001”.
Si tratta, come si può facilmente immaginare, di una pericolosa sottrazione di prerogative attribuite dalla Costituzione a Regioni ed Enti locali in materia di pianificazione territoriale, che rischia di mortificare ulteriormente il ruolo e le competenze dei Comuni in tema di localizzazione degli impianti di telefonia mobile.
E ciò senza trascurare che, come sottolinea ISDE: “A partire dal 30 dicembre 2023, con l’entrata in vigore dell’Art. 10 del Decreto Legge 214, noto come “Decreto Concorrenza”, il valore di attenzione del campo elettrico per gli impianti di telecomunicazioni è stato aumentato da 6 V/m a 15 V/m. Questo rappresenta un incremento di un fattore 2,5 del valore iniziale e un aumento della densità di potenza del campo elettromagnetico di un fattore pari a 6,25. Questo aumento delle soglie di sicurezza è stato implementato in assenza di autorizzazioni sanitarie da parte del Ministero della Salute, dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) o di altri enti accreditati. Tale provvedimento risulta ancora più critico considerando che, già dal Decreto Crescita 2.0 del 2012, la misurazione delle emissioni elettromagnetiche viene effettuata sulla media delle 24 ore anziché sui 6 minuti originariamente previsti, esponendo così la popolazione italiana a maggiori rischi nelle ore di picco del traffico telefonico” (https://www.isde.it/speciale-isde-su-5g-materialedocumenti-e-iniziative-in-giro-per-litalia/).
Per questo, vari soggetti sensibili alla tematica, tra cui ISDE – Medici per l’Ambiente, stanno lanciando un appello ai Sindaci di tutta Italia, per indurli a sollecitare l’intervento della propria Regione, affinché si valuti la possibilità di impugnare presso la Corte Costituzionale la norma in oggetto.
Il tempo purtroppo è poco e sta scadendo, in quanto il 4 settembre è l’ultima data utile per sollevare il tema presso l’Alta Corte.
Questo è il testo della nota da inviare al presidente della propria Regione:
Al Presidente della Giunta regionale di _____________________
Oggetto: Appello a valutare l’impugnazione dinanzi alla Corte costituzionale dell’art. 4, comma 7-bis della L. 4/07/2024 n. 95, c.d. Decreto Coesione.
Preg.mo Presidente,
Il 7 luglio scorso è entrata in vigore la Legge 4 luglio 2024 n. 95, di conversione del Decreto Coesione, nel cui testo è stata inserita una disposizione (art. 4, comma 7-bis), che vanifica le competenze dei comuni, nelle c.d. “aree bianche”, in materia di pianificazione territoriale degli impianti radioelettrici.
Grazie a tale norma i comuni italiani situati nelle “aree a fallimento di mercato”, quelle in cui gli operatori delle telecomunicazioni non trovano convenienza ad investire, avranno le mani legate e non potranno né gestire, né indicare la corretta localizzazione delle antenne di telefonia mobile nel proprio territorio, a causa di una deroga al principio di pianificazione, riconosciuto agli enti locali dalla Costituzione e dalla Legge Quadro sull’inquinamento elettromagnetico.
Si tratta di un salto nel buio, che non apporterà benefici al Piano Italia 5G del PNRR, ma esclusivamente una impennata di ricorsi, proteste e malumori da parte di migliaia di amministratori locali, già vessati da numerosi provvedimenti in favore delle TLC. Le amministrazioni locali vanno responsabilizzate, informate correttamente, coinvolte attivamente nei processi di ammodernamento del Paese, affinché possano contribuire a determinare il corretto assetto e uso del territorio, anche attraverso processi di efficace e propositiva localizzazione del parco antenne e non, piuttosto, privati di ruolo e competenze, costretti a subire passivamente gli effetti di provvedimenti “punitivi”, in quanto accusati erroneamente di ostacolare e rallentare il processo di digitalizzazione del Paese.
La norma con cui si vuole rendere vulnerabili le competenze dei comuni, attribuite dall’art. 8, comma 6 della L. 36/2001 (Legge Quadro sull’inquinamento elettromagnetico), appare ad un primo esame palesemente incostituzionale, poiché lesiva delle competenze riconosciute a regioni ed enti locali in materia urbanistica e di controllo del territorio.
Un illustre precedente, il decreto Gasparri, d.lgs. 198/2002, contenente la medesima disposizione “……in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento”, che censurava l’art. 8, comma 6 della L. 36/2001, fu dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale (Sent. 303/2003), con una esemplare sentenza, che non lascia spazio ad interpretazioni.
Con la presente, pertanto, faccio appello al Suo alto senso di responsabilità istituzionale, affinché promuova, presso l’Ufficio legislativo regionale, l’esame del testo in oggetto, al fine di verificare se ricorrono i presupposti per disporre l’impugnazione dinanzi alla Corte costituzionale dell’art. 4, comma 7-bis, nella parte in cui comprime le prerogative degli enti locali e vanifica ogni possibilità di controllo e gestione del territorio.
Sono convinto che tale apprezzabile iniziativa, unita alla mobilitazione dei sindaci dei comuni di tutta Italia, volta a condividere il dissenso sui rischi di una pericolosa e irreversibile deriva, a cui gli enti locali saranno esposti con l’applicazione della nuova legge, possa contribuire a promuovere un rinnovato dibattito in sede politica e istituzionale sul ruolo e le competenze che si intendono realisticamente attribuire agli enti locali.
Data _______ Firma
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