1. Giovedì 22 agosto il Tribunale di Palermo in composizione monocratica, ha convalidato il provvedimento con il quale due giorni prima il Questore di Agrigento disponeva la detenzione amministrativa di un richiedente asilo tunisino, dunque proveniente da un “paese di origine sicuro”, presso il “Centro Trattenimenti per richiedenti protezione internazionale di Porto Empedocle”. La convalida conferma l’avvio dell’attività, sembrerebbe in via sperimentale, per un numero limitato di posti (10), del centro, ubicato negli “appositi locali”, della struttura hotspot già esistente. Un tentativo, per adesso quasi simbolico, per nascondere il fallimento del piano rimpatri, che prevedeva il raddoppio dei Centri per i rimpatri (CPR), ed il rinvio dell’apertura dei centri di accoglienza/detenzione previsti dal Protocollo Italia-Albania. Due giorni dopo, a Lampedusa arrivavano in 24 ore oltre 400 migranti e altri cinque richiedenti asilo venivano trasferiti dall’isola e rinchiusi nel centro di Porto Empedocle.

Il provvedimento del questore di Agrigento che stabiliva il trattenimento nel CTRA di Porto Empedocle del cittadino tunisino, bloccato per le strade di Lampedusa alle 19.45 del 19 agosto, era notificato alle ore 23.10 del 20 agosto, con la indicazione della cauzione che lo stesso avrebbe dovuto garantire per evitare la detenzione amministrativa. E veniva trasmesso al Tribunale di Palermo in data 21 agosto alle ore 9.12, e quindi convalidato il giorno successivo. Si può ritenere che tra il 19 e il 20 agosto lo stesso sia stato trasferito da Lampedusa a Porto Empedocle. In un solo giorno dunque, trascorso presumibilmente in navigazione, lo stesso richiedente asilo avrebbe dovuto ricevere l’informativa legale, di cui il Tribunale di Palermo non dà peraltro notizia, addurre elementi alla base della sua istanza di protezione, entrare in contatto con il difensore d’ufficio, ed eventualmente prestare la garanzia finanziaria prevista per evitare il trattenimento amministrativo. Sul punto nella convalida del trattenimento si legge soltanto quanto riportato dalla polizia, sarebbe stata prospettata la possibilità di versare una garanzia, ma il richiedente asilo avrebbe rifiutato.
A dirimere qualsiasi dubbio sulla applicabilità del trattenimento amministrativo, secondo quanto deciso dal giudice della convalida, un “certificato di idoneità sanitaria del 20 agosto, da cui risulta che “in atto non si evidenziano patologie degne di nota” …“circostanza questa che peraltro allo stato impedisce di apprezzare e valutare quanto dichiarato dal richiedente circa la asserita assenza di un testicolo”

XXXX, perché non sono note le generalità del richiedente e neppure del suo difensore di ufficio, rimasto silente nel corso dell’udienza svolta con modalità telematica a distanza, a differenza di migliaia di persone giunte nell’isola, secondo quanto riportano i verbali di polizia, avrebbe tentato di sottrarsi ai controlli di frontiera, prima gettandosi in acqua da un barchino, e poi cercando di lasciare l’isola. Dopo una segnalazione giunta ai carabinieri, in realtà, veniva arrestato per strada nel centro di Lampedusa, e quindi immediatamente condotto nel centro Hotspot di Contrada Imbriacola. Un caso particolare dunque, che permette agli organi di polizia di profilare il cd. rischio di fuga, ma che non costituisce un precedente. Vedremo adesso come saranno motivate le richieste di convalida del trattenimento nel centro di Porto Empedocle per gli altri cinque richiedenti asilo che sono stati trasferiti sabato 24 agosto.

2,  Il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, «Attuazione della direttiva 2013/33/UE, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonche’ della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e
della revoca dello status di protezione internazionale»
, e, in particolare, l’art. 6-bis, al comma 1, prevede soltanto che lo straniero possa essere trattenuto durante lo svolgimento della procedura in frontiera, di cui all’art. 28-bis del citato decreto legislativo n. 25 del 2008, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.

L’art. 6-bis comma 4 d.lgs. 142/2015 prevede che il richiedente asilo proveniente da un paese di origine sicuro e trattenuto in frontiera in appositi locali presso le strutture di cui all’articolo 10-ter, comma 1 del d.lgs. 286/1998, possa essere trasferito in caso di arrivi consistenti e ravvicinati, nei Centri di cui all’articolo 14 del d.lgs. 286/1998, situati in prossimità della frontiera o della zona di transito.

Il giudice di Palermo prospetta una interpretazione particolare del decreto ministeriale che prevede la provincia di Agrigento tra le zone di frontiera all’interno delle quali si possono predisporre centri per l’esame delle domande di asilo con procedura accelerata. Si ritiene in sostanza che per quanto fisicamente l’ingresso nel territorio dello Stato sia avvenuto a Lampedusa, sia possibile considerare anche Porto Empedocle, luogo di successivo trasferimento del richiedente asilo, come “zona di frontiera o di transito”, perchè entrambe le località si troverebbero all’interno della stessa provincia, individuata dal decreto ministeriale come “zona di frontiera”, al fine di “decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel territorio”. La forzatura di tale valutazione, che è frutto di quanto previsto dal “decreto Cutro” (legge n.50/2024) appare evidente sul piano di fatto e apre una serie di dubbi sul rispetto del dettato costituzionale e delle vigenti normative europee in materia di protezione internazionale.

Questo primo provvedimento di convalida conferma come, malgrado si sia tentato di garantire un esame caso per caso delle singole situazioni, e malgrado il decreto correttivo con il quale il governo ha tentato di spacciare una alternatività tra la garanzia patrimoniale e la detenzione amministrativa, questa misura limitativa della libertà personale rimane una conseguenza automatica e generalizzata per tutti coloro che provenendo da paesi “sicuri” presentano una domanda di asilo. E questa circostanza prova che la normativa e le prassi applicate in Italia continuano a violare gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33/UE che “devono essere interpretati nel senso che ostano, in primo luogo, a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità, in secondo luogo, a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga il trattenimento e senza che siano state esaminate la necessità e la proporzionalità di una siffatta misura” (CGUE (Grande Sezione), 14 maggio 2020, cause riunite C-924/19 PPU e C-925/19 PPU)”. Come avevano bene osservato al riguardo i giudici del Tribunale di Catania, con una considerazione che non è stata superata ancora oggi, la “garanzia finanziaria non si configura, in realtà, come misura alternativa al trattenimento bensì come requisito amministrativo imposto al richiedente prima di riconoscere i diritti conferiti dalla direttiva 2013/33/Ue per il solo fatto che chiede protezione internazionale”.

Il Tribunale di Catania, con riferimento alla disciplina delle procedure di frontiera previste dalla direttiva 2013/32/Ue, su un punto che prescindeva dall’entità della cauzione, che adesso, dopo un decreto del ministro dell’interno, viene disposta dal questore caso per caso, e può essere prestata da terzi, aveva correttamente osservato che la normativa europea “ non autorizza quindi, salve le ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 43, l’applicazione della procedura alla frontiera, presupposto, nella specie, della misura del trattenimento, in zona, diversa da quella di ingresso, ove il richiedente sia stato coattivamente condotto in assenza di precedenti provvedimenti coercitivi”. Adesso invece sembrerebbe che il Tribunale di Palermo, con riferimento a trasferimenti forzati interni alla provincia di Agrigento, applichi per la prima volta la “finzione di non ingresso nel territorio dello Stato”, che con questa ampiezza non è ancora prevista dalla normativa euro-unitaria, pur essendo richiamata nel nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo e nei Regolamenti, in particolare quello sullo “screening” in frontiera, che saranno applicabili entro il 2026, ma che ad oggi non hanno valore normativo. Questo perchè nel caso esaminato dai giudici catanesi i cittadini tunisini sbarcati a Lampedusa in provincia di Agrigento erano sttai trasferiti a Pozzallo, in provincia di Ragusa, dunque in una diversa “zona di frontiera”, mentre adesso il trasferimento da Lampedusa a Porto Empeocle, comuni entrambi ricadenti nella provincia di Agrigento, si ritiene una misura disposta dal questore all’interno della stessa “zona di frontiera”.

Sul trasferimento di richiedenti asilo dalle zone di frontiera la normativa europea appare molto più restrittiva. Secondo l’art. 43.3 della direttiva 2013/32/Ue , “Nel caso in cui gli arrivi in cui è coinvolto un gran numero di cittadini di paesi terzi o di apolidi che presentano domande di protezione internazionale alla frontiera o in una zona di transito, rendano all’atto pratico impossibile applicare ivi le disposizioni di cui al paragrafo 1, dette procedure si possono applicare anche nei luoghi e per il periodo in cui i cittadini di paesi terzi o gli apolidi in questione sono normalmente accolti nelle immediate vicinanze della frontiera o della zona di transito”.

Al di là della valutazione se tra Lampedusa e Porto Empedocle si possa parlare di “immediate vicinanze”, sembra accertato, ed emerge anche dalle dichiarazioni del governo sui “successi” nella riduzione degli arrivi via mare in Italia, come con riferimento ai richiedenti asilo internati nel centro di detenzione di Porto Empedocle dopo essere sbarcati a Lampedusa, non si possa parlare, almeno fino ad oggi, di “arrivi di massa”.

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Una convalida in via sperimentale, che non costituisce un precedente