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La storia di Atlante, il capodoglio dalla coda sfregiata: i grandi cetacei vittime del traffico navale nel Mediterraneo
Nel Mare Nostrum vivono probabilmente meno di 2500 capodogli maturi e la popolazione è in diminuzione, classificata a rischio di estinzione nella Lista Rossa della IUCN: «Oltre alle collisioni con le grandi navi, già un problema drammatico, oggi preoccupano anche le barche a motore da diporto, che in Mediterraneo stanno avendo una enorme crescita». Così commenta Maddalena Jahoda, ricercatrice e divulgatrice scientifica dell’Istituto Tethys Onlus, l’organizzazione senza fini di lucro dedicata alla conservazione dell’ambiente marino attraverso la ricerca scientifica e la sensibilizzazione del pubblico
La vicenda della balenottera ferita intrappolata nel porto di Talamone (GR) non è, purtroppo, un caso isolato. Il maestoso gigante del mare era ferito e aveva poche possibilità di sopravvivere, per questo motivo è stato sedato e si è ricorso all’eutanasia. Lo scorso mercoledì, la Guardia Costiera aveva tentato di trainare verso il largo la balenottera che, in stato confusionale, è tornata dentro il porto. Con molta probabilità, la balenottera di Talamone, lunga undici metri e pesante circa nove tonnellate, è la stessa che era stata avvistata a Porto Santo Stefano. Ora il gruppo Cert (Cetacean strandings Emergency Response Team) di Padova, guidato dal professor Sandro Mazzariol del Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’Università degli Studi di Padova, dovrà procedere all’analisi necroscopica per cercare di far luce sulle cause che hanno determinato il fatale disorientamento del cetaceo. La vicenda della balenottera di Talamone fa tornare alla mente il caso del capodoglio avvistato il 20 luglio e poi nuovamente il 23 dai biologi e partecipanti a bordo della barca da ricerca “Pelagos”: il cetaceo, chiamato Atlante, a cui manca complessivamente circa un terzo della coda. Nei cetacei (balene e delfini), la coda è organo di propulsione; nei capodogli, emerge sopra la superficie al momento dell’immersione, permettendo ai ricercatori di distinguere gli individui. «Difficile non pensare subito all’elica di un’imbarcazione come causa delle impressionanti cicatrici di Atlante”» spiega Maddalena Jahoda.
sintesi della versione pubblicata su Rivista Natura
Ecobonus al Nord, la Lega pigliatutto. Scomparsi i vincoli fondamentali del PNRR: il 40% dei finanziamenti era destinato al Sud ed il 30% dei posti di lavoro generati dal piano era riservato alle donne
Un’analisi della Cgil dimostra come Meloni faccia un uso di parte delle risorse del Pnrr. Procedure e risultati opachi, costi a fisarmonica, penalizzato il sud: “Alla faccia della necessità di aumentare i poteri con l’Autonomia differenziata e il premierato. Nella distribuzione assai squilibrata di queste risorse l’impronta leghista è fortissima”
Le risorse europee destinate all’Italia per finanziare il Pnrr sono quasi – come si sa – 200 miliardi, tanti davvero ma per una ragione precisa: il Belpaese è quello in Europa con i divari maggiori, allora servono molti soldi perché quei divari devono essere ridotti. A cominciare da quelli territoriali, oltre che quelli di genere e generazionali. Non è un caso allora che nel Piano originario furono inseriti un paio di vincoli: il 40 per cento dei finanziamenti al Sud, il 30 per cento dei posti di lavoro generati dai progetti riservati alle donne. Peccato che il governo di destra quei vincoli proprio non li condivida e non li sopporta. Ma anziché dirlo apertamente li disattende surrettiziamente. L’area Politiche dello sviluppo della Cgil ha elaborato uno studio sull’implementazione del cronoprogramma dei lavori finanziati con l’Ecobonus. “Rafforzamento dell’Ecobonus per l’efficienza energetica” è il titolo dell’investimento previsto dalla Missione 2 del Piano di ripresa e resilienza, l’obiettivo importante: ridurre di almeno il 40 per cento il consumo di energie e il miglioramento di due classi energetiche degli edifici residenziali. Una missione che tiene insieme piani diversi, innanzitutto la transizione ambientale, poi l’attenzione al clima, infine l’ammodernamento degli immobili utilizzando risorse pubbliche.
approfondimenti su Collettiva.it
La recente indagine di Istat sul comportamento, gli atteggiamenti e i progetti futuri dei giovani tra 11 e 19 anni ha confermato l’impatto della condizione familiare sulle scelte educative
Nel passaggio tra le medie e le superiori, chi ritiene di avere alle spalle una famiglia con maggiori difficoltà si orienta meno spesso verso il liceo. Ed è tre volte più propenso dei coetanei avvantaggiati nella scelta di un istituto professionale: il 5,3% degli studenti delle medie in condizione molto buona indica la prosecuzione degli studi in istituti professionali, mentre tra i ragazzi svantaggiati la quota sale al 15,6%. Lo stesso condizionamento si registra anche nel passaggio dalla scuola all’università. Si consideri la percentuale di neodiplomati che si iscrivono all’università nell’anno di conseguimento del diploma (2022): nel 22% delle province meno della metà dei neodiplomati si iscrive all’università. Oltre 2 giovani su 3 (67,1%) con alle spalle una famiglia in condizione economica buona vogliono andare all’università. Mentre se la condizione economica è ritenuta negativa la quota scende a meno della metà del totale (46%). Processi di autosegregazione che contribuiscono ad approfondire i divari educativi nella popolazione giovanile rispetto alla classe sociale d’origine
Chi pensa di avere una situazione economica non molto o per niente buona vuole andare all’università nel 46,0% dei casi, mentre tra chi ha una situazione molto buona è il 67,1% a esprimere l’intenzione di andare all’università. All’opposto, chi ha una situazione economica non molto o per niente buona nel 24,5% dei casi si orienta verso il lavoro contro il 14,2% di chi ha una situazione economica molto buona (cfr. Istat, maggio 2024). Simili tendenze rendono essenziale comprendere quante ragazze e ragazzi scelgano effettivamente di andare all’università dopo la scuola. Le iscrizioni all’università dei neodiplomati- Nel 2022 il 51,7% dei giovani neo-diplomati si è iscritto all’università. Una quota che sul territorio nazionale varia dal 57% del centro Italia al 53,5% del nord, e scende sotto la metà del totale nel mezzogiorno (47,4%). Tra le regioni – al netto del Trentino Alto Adige in cui incide il fenomeno dei giovani che si iscrivono in università austriache – quelle agli ultimi posti sono tutte meridionali. Si tratta di Campania (39,2%), Sicilia (49,6%), Sardegna (51,5%) e Calabria, quest’ultima con un dato analogo a quello veneto (52,3%). Questi dati, pur non comprendendo altri percorsi formativi terziari – come gli Its e istituti di alta formazione artistica – offrono una visuale piuttosto nitida delle scelte dopo la scuola dei diplomati nelle diverse aree del paese. Scendendo a livello locale, in 6 province oltre il 60% delle ragazze e dei ragazzi si è iscritto all’università nel 2022. Si tratta di Isernia (66,7%), L’Aquila (62,6%), Teramo (62%), Parma (61,8%), Trieste (61,2%) e Pescara (60,3%). Al contrario in circa un territorio su 5 i neodiplomati iscritti all’università rappresentano meno della metà del totale. Agli ultimi posti, a parte Bolzano per cui valgono le considerazioni già fatte, troviamo la provincia di Salerno (36,5%) e la città metropolitana di Napoli (38,6%). Si tratta degli unici territori che non arrivano alla soglia del 40%. Poco sopra questa soglia anche Sondrio (40,4%), Caserta (41,8%), Benevento (43,2%), Avellino (44,2%) e Agrigento (44,7%). Tra le 24 province in cui meno del 50% degli studenti si iscrive all’università, oltre la metà (14) si trovano nel mezzogiorno.
vedi integralmente il rapporto Openpolis
Giovani e volontariato, un legame che non si spezza. Dopo il calo d’impegno avvenuto durante la pandemia, ci sono segnali di recupero, tra i giovani di 14-17 anni
A dispetto delle apparenze e dei luoghi comuni – scrive il RS – lo scorso anno il 6,8% dei ragazzi e delle ragazze tra 14 e 17 anni ha prestato attività di volontariato contro il 3,9% dei giovani coinvolti nel 2021
Se questo aveva subito un inevitabile calo durante il periodo pandemico, dal 2021 il numero di giovani coinvolti in attività di volontariato è infatti tornato a crescere. Ma con forti differenziazioni territoriali: nelle regioni meridionali, infatti, il volontariato tra i giovani fa meno presa. In media, nel 2023 hanno prestato attività gratuite in associazioni di volontariato il 16% dei residenti in Trentino Alto Adige e il 10,1% dei friulani. Nonché quasi un abitante su 10 in Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte. Al contrario, la partecipazione nel volontariato scende al 5,6% in Calabria, al 4,8% in Campania e al 4,6% in Sicilia. Simili differenze dipendono anche dalla diversa diffusione di soggetti attivi in questi ambiti, a partire da organizzazioni e istituzioni non profit… In generale, nelle prime 20 posizioni, i capoluoghi del centro-nord sono 15. Altri 4 si trovano nelle isole, specialmente in Sardegna: Oristano (1315,3), Enna (1293,8), Cagliari (1165,1) e Nuoro (1154,2). Una sola città del sud continentale (Potenza, 1273) occupa le prime 20 posizioni. Al contrario, tra le 20 città capoluogo con minore presenza di organizzazioni non profit attive pro capite, figurano 14 capoluoghi del mezzogiorno, di cui 9 nel sud continentale. In particolare, con meno di 500 istituzioni ogni 100mila abitanti, troviamo Andria (371,6), Barletta (422,4), Napoli (466,4) e Palermo (477,6).