Un altro grande maestro non è più con noi: Giuseppe Carlo Marino, professore emerito di Storia Contemporanea all’Università di Palermo, presidente onorario dell’ANPI, autore di numerosi libri dedicati alla storia della mafia da una prospettiva attenta al contesto sociale ossia al vissuto quotidiano del mondo contadino e delle lotte sindacali, iscritto al PCI negli anni ’70 e tra i promotori di Rifondazione Comunista dopo la svolta della Bolognina.
Aveva 84 anni, anni di impegno ininterrotto, illuminato, serissimo ma anche ironico, pacato o veemente ma sempre obiettivo, anche nei momenti di forti conflitti politici.
Come ogni vero storico, ci ha insegnato a leggere il presente con la distaccata attenzione che di solito si riserva al passato, in modo da decifrarlo in ogni sfaccettatura, e ad interpretare il passato con la passione vivace di chi vuol rintracciarvi le radici delle contraddizioni attuali per trasformarle.
C’erano momenti, quando spiegava o quando interveniva nei congressi di partito, in cui sapeva creare pause per indurci alla riflessione – o forse anche per contenere un’irruenza che sentiva montare in sé e giudicava eccessiva: allora suggeva il fumo dalla sua inseparabile pipa e volgeva uno sguardo sornione alla platea, quasi a provocare un’interruzione.
Ma nessuno di noi osava interromperlo, anche perché sapevamo che aveva ragione. E aveva ragione perché non aggrediva nessuno, non sbraitava contro presunti avversari, ma semplicemente cercava di fare il punto e capire insieme come stavano le cose.
La sua corona di lunghi capelli bianchi, il basco un po’ provocatorio tra i comunisti – come un monito a non dimenticare mai l’esempio degli anarchici – le sue camicie un po’ troppo larghe, i pantaloni indossati a caso, insieme alla sua immancabile pipa ne facevano un tenerissimo e durissimo ragazzo che – immaginavamo – gli anni non avrebbero mai scalfito.
Ora ci tocca custodire la sua lezione con la sua stessa tenacia.