(Riceviamo e pubblichiamo dalle associazioni animaliste LAV e HSI)
LAV e HSI: “persa una grande occasione per compiere scelte coraggiose e sostenibili. Nessun segnale di una progressiva dismissione di materiali animali critici. Incoraggiamo il Gruppo a farlo!”
Milano, 29 luglio 2024 – Il Gruppo Prada ha pubblicato la sua prima “Animal Welfare policy”; per le associazioni animaliste LAV e Humane Society International/Europe non ambisce a eradicare la sofferenza animale dalla supply chain dell’azienda.
La policy rappresenta un’autoregolamentazione delle modalità di approvvigionamento di materie prime ricavate da animali quali piume (per imbottiture e decorative), pelli (da quella bovina alle “esotiche”) e filati (lana di pecora, cashmere, mohair, alpaca e altri filati) e deferisce a sistemi di certificazione elaborati da queste stesse industrie che spesso non sono trasparenti, sostenibili e credibili in termini di benessere animale.
“Una grande delusione! Dopo gli importanti traguardi raggiunti nel 2020 con gli annunci della definitiva dismissione di pellicce prima e pelle di canguro poi, a seguito del proseguire delle relazioni con l’azienda in particolare sulle filiere più critiche quali sono quelle delle pelli esotiche e delle piume, ci saremmo aspettati ulteriori impegni di sostenibilità.
Il Gruppo Prada si è invece limitato ad elencare quali sono le Certificazioni “Responsabili” da cui continuerà ad approvvigionarsi; unica positiva novità, la rinuncia alla lana d’angora (un filato ricavato da conigli e con metodi cruenti),” dichiara Simone Pavesi, Responsabile LAV Area Moda Animal Free.
Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe, commenta: “Se qualche anno fa abbiamo celebrato il Gruppo Prada per le sue scelte etiche in merito a certi materiali di origine animale, oggi la loro nuova policy, invece di costruire su quei principi etici, desta preoccupazione per ciò che l’azienda intende come standard accettabili di benessere animale e per la sua disponibilità a deferire a sistemi di certificazione gestiti dall’industria.
Non possiamo che scuotere il capo di fronte all’uso di materiali estremamente problematici come le pelli di rettili selvatici, cacciati o allevati contro natura, o le piume che potrebbero derivare dall’industria cruenta del foie-gras.
Dal dialogo con l’azienda ci saremmo aspettati più ambizione, in linea con la crescente domanda di prodotti veramente cruelty-free.”
Tra i punti più discutibili della Animal Welfare Policy di Prada, evidenziamo i seguenti:
nel paragrafo “Vision and Goals” Prada dichiara: “il Gruppo mira a procurarsi fibre e materiali animali solo da catene di approvvigionamento responsabili attraverso solidi schemi di verifica, con parametri misurabili e tracciabilità integrata”;
questa affermazione è tuttavia incoerente con quanto poi l’azienda stessa scrive in riferimento ai sistemi di certificazione da cui si approvvigiona e che, per esempio per piume e pelli di struzzo risulta che “Il Gruppo è consapevole che lo standard (il SAOBC South African Ostrich Business Chamber) è ancora in fase di piena implementazione e richiede ancora attenzione per quanto riguarda la robustezza e la creazione di una catena di custodia”.
Nel paragrafo “Core principles” l’azienda dichiara che: “si impegna a eliminare gradualmente in futuro altri materiali di origine animale la cui provenienza, secondo evidenze scientifiche, non è in linea con questa policy”;
tuttavia, questa policy si limita a citare standard industriali (anche riconoscendo il fatto che, alcuni, sono incompleti e necessitano di ulteriori verifiche) che sono scritti dagli stessi allevatori/fornitori dei materiali animali cui fanno riferimento; l’azienda non definisce propri standard cui i fornitori dovrebbero adeguarsi.
Inoltre, la decisione dell’azienda sulla eventuale dismissione di determinati materiali non dovrebbe essere in funzione di sole valutazioni “scientifiche”, ma deve tenere conto anche di considerazioni etiche e dell’opinione pubblica.
Nel paragrafo “Animal welfare commitment” l’azienda dichiara che: “I sistemi standard prescelti vengono selezionati in base alle loro prestazioni e devono contenere criteri validi nei settori chiave della tracciabilità, della trasparenza, della qualità delle pratiche relative al benessere degli animali e della metodologia di verifica.”;
Tuttavia, diversi standard industriali citati nella Policy non sono pubblici, quindi mancano in trasparenza (per esempio per i rettili quello dell’International Crocodilian Farmers Association ed il Responsible Reptile Sourcing Standard; ma anche quello della South African Ostrich Business Chamber per la filiera di pelle e piume di struzzo).
Infine, il Gruppo Prada dichiara che la pelle animale è un key material; ciononostante, nella Animal Welfare policy del Gruppo non c’è traccia di standard industriali o specifiche azioni dell’azienda in termini di maggiori tutele per gli animali di questa filiera oltre a quanto già prevedono le minime norme di legge vigenti nei Paesi da cui il Gruppo si approvvigiona (paesi che, non essendo esplicitati, possono anche essere extra-UE quindi con parametri anche inferiori a quelli europei).
“Le filiere produttive di materiali animali per la moda, oltre a criticità etiche, implicano palesi problemi di impatto ambientale legate alle emissioni di gas serra, al consumo e all’inquinamento dell’acqua, al consumo di suolo. Considerato che il Gruppo Prada si è voluto fortemente impegnare sul fronte della Sostenibilità del comparto moda, aderendo ai network ‘The Fashion Pact’ (iniziativa avviata dal presidente francese Emmanuel Macron con François-Henri Pinault, CEO Kering Group) e della ‘Fashion taskforce’ nell’ambito della Sustainable Markets Initiative di re Carlo III, incoraggiamo e chiediamo al Gruppo Prada di definire e rendere pubblica, per coerenza, una roadmap ambiziosa, da qui al 2030, per la riduzione e dismissione di materiali animali critici” concludono LAV e HSI/Europe.