Tutti i Paesi civili e avanzati nell’ultimo decennio hanno avvertito la necessità di ridurre l’orario di lavoro, adottando e sperimentando nuovi modelli organizzativi che ponessero al centro la vita e il benessere delle persone. Numerose ricerche indicano che lavorare meno ore durante la settimana non solo comporta benefici per la salute, ma favorisce anche la produttività. Lavoratori soddisfatti sono più motivati, si impegnano più volentieri, sono più propensi a rimanere nella stessa azienda a lungo termine.
E in Italia? Una delle maggiori aziende per fatturato e numero di dipendenti, partecipata a maggioranza dallo Stato, Poste Italiane, a seguito di trattativa con i sindacati, annuncia (l’ennesima) riorganizzazione “lacrime e sangue” per i lavoratori.
Nella notte tra martedì 16 e mercoledì 17 luglio le Organizzazioni sindacali hanno sottoscritto con l’azienda un piano di riassetto del settore del recapito, che prevede, tra le altre misure, la diminuzione di 3.385 posti di lavoro (quasi tutti portalettere) nell’arco del prossimo triennio. E – udite, udite! – la creazione di una nuova rete, denominata Rete Corriere, dedicata solo ai pacchi, che determinerà nuove assunzioni per 4.620 lavoratori, la cui prestazione sarà effettuata su 39 ore settimanali, anziché le attuali 36.
Dunque, mentre nel resto del mondo si cercano soluzioni che consentano contestualmente di incrementare gli utili e di ridurre l’orario settimanale di lavoro, a parità di retribuzione, con l’obiettivo di migliorare la sicurezza e il benessere dei lavoratori, in Italia si va indietro. Così, il Primo datore di lavoro del Paese, con la complicità del sindacato, adotta una soluzione per allungare di mezz’ora al giorno l’orario di lavoro, in modo da aumentare i margini di profitto a scapito della qualità di vita dei suoi dipendenti. Lavorare di più per assumere meno, stravolgendo un vecchio slogan anni Settanta. Intanto, il costo della vita aumenta, ma gli stipendi restano al palo.
Carmine Pascale
Direttivo Mov. Lottiamo Insieme