Gaza, 8 ottobre 2023
Non dormo da ieri notte. Ho la pelle d’oca in tutto il corpo. La notte è un mostro spaventoso. Niente elettricità. Niente luci e niente candele. Ogni minuto è una nuova vita…
E’ uno degli ultimi messaggi lasciati da Nour, trentenne, che potremmo considerare una mediattivista di Gaza. L’ho conosciuta nell’ottobre del 2021, poiché uso Facebook come piazza virtuale in cui scambiare opinioni con persone di tutto il mondo, grazie al traduttore automatico sempre più sofisticato ma non esente da errori.
Quelli che Facebook chiama amici, sono in realtà contatti le cui interazioni sono governate da algoritmi misteriosi. Comprendo benissimo chi rifiuta per principio di aver a che fare con i social, ma credo che la creatività umana possa sempre trovare la maniera di usare in modo positivo ciò che è nato con tutt’altri scopi. Un esempio è la solidarietà Internazionalista
Nour è madre di tre figli, due maschi e una femmina nata lo scorso anno. Il marito è invalido e non può lavorare. Lei ha dovuto lasciare gli studi all’università per ragioni economiche.
Nour usa i social per rilanciare per i suoi amici e amiche all’estero le tragiche notizie dell’occupazione e dalla repressione Israeliana a Gaza e in Cisgiordania, con il suo quotidiano stillicidio di vittime casuali e giovanissime. Al tempo stesso condivide con i suoi contatti in Palestina le immagini delle mobilitazioni pro Palestina in tutto il mondo.
Nour si fa nodo, come molti giovani, di questo continuo scambio di notizie: la denuncia dei crimini da un lato e le notizie sulle mobilitazione di solidarietà dall’altro.
Gaza da anni era una prigione a cielo aperto da cui loro non potevano uscire e in cui noi non potevamo entrare senza il lasciapassare dei carcerieri.
Non è sempre stato così: dopo gli accordi di pace Arafat fece costruire un aeroporto, la via del mare era aperta e i valichi con l’Egitto e Israele non erano sigillati… ma tutto questo è ormai un lontano ricordo.
Il primo messaggio personale che ricevo è una rosa e la mano che la porge è rivestita con la bandiera palestinese. Da quel momento inizia un lunghissimo scambio epistolare che trasforma il contatto in amicizia e infine in ingresso nella famiglia come uno zio di Roma (che poi in effetti non diciamo che siamo tutti fratelli e sorelle?)
Nour non si limita a un impegno strettamente militante: nei suoi post racconta e mostra la vita quotidiana di Gaza City e della campagna circostante. Mostra i lavori dei campi e i prodotti di una terra generosa, la raccolta delle olive, dei limoni, delle arance, invia foto dei mercati, presenta le mostre degli artisti di Gaza, i piatti tipici, i costumi tradizionali, le feste, la musica, i balli, fa vedere con orgoglio le scuole e l’Università che è stata costretta ad abbandonare. Mostra la vita quotidiana di un popolo che resiste affermando la propria identità culturale.
Rileggendo i suoi post precedenti al 7 ottobre è impossibile non vedere la continuità tra il prima e il dopo: innegabilmente anche prima Gaza era una prigione a cielo aperto sottoposta a periodici bombardamenti come rappresaglia e punizione collettiva con il pretesto del lancio dei razzi (patetica, inutile e odiosa manifestazione di lotta armata, costantemente utilizzata dal governo israeliano per giustificare le stragi di civili agli occhi della propria opinione pubblica e contro il diritto internazionale).
Il punto di riferimento suo e della sua famiglia è Arafat, padre del popolo palestinese. Rifiuta la generalizzazione di chi considera le donne di Gaza sottomesse agli uomini: mio marito mi ama e mi rispetta, dice, anche se ammette che nei Paesi arabi per le donne ci sono ancora limitazioni.
Incalzata, esprime contrarietà verso azioni che creano indiscriminatamente vittime civili, anche perché si ripercuotono sulla povera gente di Gaza.
Dopo il 7 ottobre inizia la vendetta senza quartiere di Israele, paradossalmente perfino incurante della vita dei propri cittadini presi in ostaggio; questi in parte vengono liberati all’inizio del conflitto insieme a migliaia di prigionieri palestinesi, a seguito di trattative che avevano portato a una breve tregua e fatto sperare la stremata popolazione di Gaza e i parenti degli ostaggi israeliani.
Nour documenta i primi bombardamenti, denuncia l’uso di fosforo bianco, vero crimine di guerra, mostra l’università ridotta in macerie.
Gaza, 29 novembre 2023
Purtroppo non sto bene. Sono senza rifugio, per la strada. Una casa accanto alla nostra è stata bombardata e i vetri ci cadevano addosso. Siamo miracolosamente sopravvissuti. Ti giuro che io e i miei figli stiamo morendo di fame e di freddo …
Gaza, 30 novembre 2023
Mi dispiace, spesso non ho accesso a Internet e non posso risponderti.
7 dicembre 2023
Spero che staremo bene e che la guerra finisca presto.
10 dicembre 2023
Un caloroso abbraccio da parte mia, di mio marito e dei miei figli piccoli.
Il 18 dicembre mi arriva l’ultimo messaggio: è una faccina sorridente e un cuoricino rosso. Da allora dura questo silenzio assordante, che prosegue a tutt’oggi, con mia profonda angoscia.
Nour diceva che per lei io ero come un fratello e io la chiamavo la mia sorellina di Gaza. Quando nacque la sua bambina mi mandò la foto scrivendo “saluti dalla tua nipotina”.
Così questa guerra maledetta, subito trasformatosi in un mostruoso genocidio, è entrata nella rassicurante quotidianità della mia vita.