Al di là delle buone intenzioni, di cui, come è risaputo, è lastricata la via dell’inferno, io sono sempre più convinto che la missione militare italiana nel Sud del Libano, la più corposa missione militare italiana all’estero con oltre mille soldati, sia stata a suo tempo un grave errore politico e che, ad ogni modo, debba essere al più presto ritirata.
I nostri soldati sono posti a protezione dei confini Nord di Israele, in una fascia libanese della cui smilitarizzazione devono farsi garanti.
Non contesto in sé e per sé il valore della missione, a suo tempo accettata da tutte le parti in conflitto, contesto il fatto che oggi come oggi un ruolo di pacificazione possa essere svolto dall’Italia.
Penso che l’Italia non sia più in grado di svolgere questo ruolo, perché la relativa autonomia nella politica mediorientale, manifestata per tutti gli anni Ottanta, si è da tempo completamente esaurita, anche se per un certo periodo di tempo i governi che si sono succeduti nei decenni successivi hanno potuto campare di rendita.
Le mie considerazioni sono queste: un’operazione di peacekeeping può essere svolta soltanto da un Paese neutrale; l’Italia non lo è mai stata e ora non lo è per nulla.
Essere neutrali, per chiarirci, non significa astenersi sulle risoluzioni di condanna di Israele all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ma al contrario significa stare sempre e comunque dalla parte del diritto internazionale e della difesa dei diritti umani, senza condizionamenti, senza “guardare in faccia nessuno”.
Il governo italiano non ha avuto il buonsenso di condannare Israele neppure di fronte a un genocidio e quindi non ha alcuna autorità morale per poter svolgere ruoli di pacificazione.
Ormai il nostro ruolo in Libano potrebbe, Dio non voglia, essere letto da qualche fazione armata libanese unicamente come funzionale alla difesa del confine Nord di Israele, mentre nessuna missione dei Caschi Blu ha mai difeso lo Stato di Palestina, non solo dall’occupazione dei militari israeliani e di oltre ottocentomila coloni ultra fanatici, ma neppure la popolazione palestinese dei territori occupati dal genocidio.
Facciamo tornare a casa i nostri soldati prima che sia troppo tardi e iniziamo a fare una vera politica estera di pace, cooperazione, solidarietà e fratellanza tra I popoli.