Il governo canadese ha recentemente affermato che il NORAD (North American Aerospace Defence Command) e la NATO garantiranno la sovranità canadese sull’Artico. Ma il NORAD, guidato dagli Stati Uniti, ha sede a Colorado Springs, mentre la sede della NATO è a Bruxelles. Questa decisione del governo federale conferisce loro un controllo sproporzionato sull’Artico canadese e minaccia la sovranità degli Inuit e il già fragile equilibrio dell’ecosistema artico.

In realtà, le popolazioni Inuit dell’Artico hanno rivendicato la sovranità sul loro territorio fin dall’inizio della Confederazione canadese, ma solo nel 2009 i leader Inuit di Groenlandia, Canada, Alaska e Russia hanno redatto la Dichiarazione circumpolare Inuit sulla sovranità artica, che afferma il loro diritto all’autodeterminazione. Si tratta di una dichiarazione di sovranità eccezionale che è stata approvata da diversi capi di Stato.

Inoltre, il progetto militare minaccia di minare ulteriormente l’ecosistema artico, duramente colpito dai cambiamenti climatici.  In occasione di un seminario sull’Artico nel 2022, organizzato dalla Facoltà di Scienze Forestali dell’Università della British Columbia, l’ecologista Myers-Smith dell’Università di Edimburgo ha esposto alcuni fatti importanti sugli effetti del cambiamento climatico nell’Artico:

“Qualche anno fa abbiamo avvertito che l’Artico si sta riscaldando a una velocità doppia rispetto al resto del pianeta, ma l’anno scorso alcuni studi hanno dimostrato che si sta riscaldando a una velocità tripla e poi, nel dicembre 2023, abbiamo notato che si stava riscaldando a una velocità quadrupla”, ha spiegato lo scienziato.

Da allora, diversi rapporti scientifici pubblicati sulle riviste Nature e Geophysical Research Letters hanno confermato gli studi di Myers-Smith. L’Artico è un ecosistema oceanico molto vulnerabile e si sta riscaldando quattro volte più velocemente di qualsiasi altra parte del pianeta.

Secondo il Sesto rapporto di valutazione del Gruppo Intergovernativo di esperti sul Cambiamento Climatico, pubblicato lo scorso anno, l’Artico è una parte cruciale della criosfera, la zona ghiacciata della Terra e svolge un ruolo importante nella regolazione del sistema climatico globale. La regione si sta riscaldando rapidamente e sta sperimentando l’aumento del livello del mare e l’erosione delle coste. Il rapporto IPCC avverte che il cambiamento climatico sta avendo gravi conseguenze nel Nord, come incendi più intensi e inondazioni. Ad esempio, nell’estate del 2023, la città canadese di Yellowknife è stata evacuata a causa di un incendio boschivo massiccio e praticamente incontrollabile.

Secondo Myers-Smith, gli studi scientifici sull’Artico si concentrano su ciò che accade in superficie, ma la maggior parte delle domande veramente importanti riguarda ciò che accade sotto la superficie, dove è immagazzinata una grande quantità di carbonio.

“Si tratta, in un certo senso, di un congelatore per il pianeta, che immagazzina carbonio congelato. Per questo l’espressione usata dai climatologi, “Ciò che accade nell’Artico non rimane nell’Artico”, è diventata un luogo comune tra gli scienziati. Con il cambiamento climatico, abbiamo aperto la porta di questo congelatore”, spiega Isla Myers-Smith. Da un giorno all’altro, gli scienziati del team possono constatare l’erosione costiera. Ogni giorno non potevamo camminare dove avevamo camminato il giorno prima”, racconta Isla Myers-Smith.

Nell’ultimo secolo, infatti, il livello medio del mare a livello globale è aumentato di circa 20 centimetri. Inoltre, con lo scioglimento dei ghiacci artici, l’aumento del livello del mare è destinato ad accelerare drasticamente. Gli esperti stimano che il livello del mare aumenterà fino a 7 metri entro il 2100, se non si interviene per proteggere i circoli polari, l’Artico e l’Antartico. Questi cambiamenti potrebbero causare danni incalcolabili e irreversibili in tutto il pianeta. Tutte le principali città costiere rischiano di essere sommerse, così come diversi piccoli Paesi insulari.

Per limitare i danni, gli Inuit del Canada settentrionale vogliono continuare a proteggere il loro territorio, la loro cultura e l’ambiente. Vogliono mantenere la sovranità sul loro territorio e si rifiutano di permettere che l’Inuit Nunangat, la loro patria ancestrale, venga usata come bottino di guerra e che le grandi potenze militari se ne approprino per estrarre le sue enormi risorse. L’Inuit Nunangat non comprende solo la terra ma anche l’acqua, il mare e il ghiaccio. Rappresenta il 40% della superficie del Canada e oltre il 70% della sua costa. Le popolazioni aborigene costituiscono la metà della popolazione dell’Artico canadese, circa 200.000 persone, e vivono in 51 comunità sparse nel territorio.

Danni causati dall’esercito durante la Guerra Fredda

Durante la Guerra Fredda, negli anni Cinquanta, gli Stati Uniti e il Canada costruirono tre linee radar di preallarme attraverso il continente nordamericano per rilevare gli attacchi missilistici nucleari dell’Unione Sovietica. Molti di questi siti erano strutturati come basi militari e occupati da personale delle forze aeree statunitensi e canadesi. Alla fine degli anni ’80, Canada e Stati Uniti hanno abbandonato la maggior parte di questi siti radar, compresi gli edifici, i serbatoi di carburante, i barili di sgrassatore e antigelo, le batterie, i veicoli e le discariche, lasciandoli semplicemente decomporre e contaminare la terra e l’acqua circostanti. Ci sono voluti anni e centinaia di milioni di dollari per ripulire questi siti.

Durante quel periodo, il governo canadese trasferì con la forza 92 Inuit in isole sperdute nell’Alto Artico. Questi spostamenti hanno portato a dolorose separazioni e traumi tra le famiglie Inuit, documentati dalla Commissione reale sui popoli aborigeni nel 1996. Nel frattempo, il rapporto finale della Commissione per la verità Qikiqtani del 2014 descrive i disastrosi impatti a lungo termine delle pratiche coloniali sugli Inuit del Nord. Queste commissioni hanno rivelato che il governo federale non ha mai consultato gli Inuit sulle politiche e le decisioni relative al loro territorio e ha trascurato le esigenze delle comunità indigene per diversi decenni.

La militarizzazione aggrava il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità

Durante la loro conferenza stampa congiunta nel Nunavut (territorio settentrionale del Canada, N.d.T.), il Ministro della Difesa canadese Blair e la Ministra degli Esteri Joly non hanno riconosciuto gli impatti climatici e ambientali disastrosi nell’Artico causati dalla modernizzazione del NORAD e delle operazioni della NATO da parte del Canada.

Con lo scioglimento del permafrost e l’acidificazione degli oceani, la fauna artica è sempre più minacciata. Il rapporto Canada’s Species at Risk: Nunavut mostra che i cambiamenti climatici stanno mettendo a rischio un numero di specie mai visto prima, tra cui caribù, orsi polari, pesci, foche e balene. Il dispiegamento di aerei e navi militari di NORAD e NATO nella regione provocherà più rumore, più specie invasive e danni ambientali, peggiorando l’ambiente per le specie già a rischio. La perdita di biodiversità nel Nord avrà un impatto negativo sulle pratiche di caccia e raccolta degli Inuit e sulla loro sicurezza alimentare.

Nei discorsi e nelle interviste, il Ministro della Difesa Blair non ha mai menzionato l’impatto dell’esercito sulle comunità Inuit o sul clima. Blair ha solo detto che il cambiamento climatico sta rendendo l’Oceano Artico più accessibile a Russia e Cina. In un certo senso, questa situazione giustifica la decisione del Canada di militarizzare l’Artico.

Verso una zona artica di pace

I governi canadese, europeo e russo farebbero bene a seguire l’esempio dei popoli Inuit dell’Artico, che collaborano e si impegnano per la costruzione della pace attraverso il Consiglio circumpolare Inuit (CCI) e il Consiglio artico (CA). Il CCI è un’organizzazione non governativa fondata nel 1977. Rappresenta circa 180.000 Inuit in Canada, Alaska, Groenlandia e Russia e ha uno status consultivo presso le Nazioni Unite. Nel 1989, Mary Simon, allora presidente del CCI, pubblicò sulla rivista canadese Peace Research un articolo intitolato Towards an Arctic Zone of Peace: An Inuit Perspective. In esso, la Simon metteva in guardia i suoi colleghi da un probabile futuro:

“Un’eccessiva presenza militare nel Nord serve solo a dividere l’Artico, a perpetuare le tensioni Est-Ovest e la corsa agli armamenti e a mettere i nostri popoli su fronti opposti. Per queste e altre ragioni, la militarizzazione dell’Artico non è nell’interesse degli Inuit del Canada, della Russia, dell’Alaska e della Groenlandia, né tali preparativi militari contribuiscono alla sicurezza o alla pace mondiale.”

All’epoca Simon propose delle misure per convincere gli Stati artici a impegnarsi a ratificare un trattato che designasse la regione come zona di pace e zona libera da armi nucleari (NWFZ).  Nel suo articolo, Simon sottolinea che la salvaguardia dell’ambiente artico deve avere la precedenza sulle esercitazioni e le attività militari. Simon è ora governatrice generale del Canada.  Il suo appello affinché l’Artico diventi una zona di pace e una NWFTA deve essere rinnovato con urgenza con l’aggravarsi della crisi climatica e l’intensificarsi dei conflitti internazionali.

Nella Dichiarazione di Utqiaġvik del 2018 e nel Quadro di politica artica e settentrionale del 2019, gli Inuit sono stati espliciti nel chiedere pace e cooperazione. Il quadro afferma che:

“I partecipanti di tutte le regioni hanno lanciato messaggi coerenti sulle questioni internazionali. Tra questi, il desiderio di mantenere l’Artico circumpolare come una regione di pace e cooperazione attraverso gli sforzi per rafforzare le regole e le istituzioni internazionali che lo governano. Il mantenimento del ruolo del Consiglio artico come principale forum per la cooperazione circumpolare è stato indicato come una priorità da molti partecipanti.”

Nel febbraio 2022, la Russia ha assunto la presidenza ma, in seguito all’invasione dell’Ucraina, gli altri sette membri permanenti (Europa e Canada) hanno deciso di boicottare le riunioni del Consiglio. Così, invece di sostenere i negoziati volti a proteggere l’ecosistema artico e la pace tra i diversi popoli del Nord, il Canada e gli altri sei membri permanenti del Consiglio artico vogliono militarizzare il territorio. L’atteggiamento bellicoso di questi governi contraddice l’approccio Inuit. Come il Consiglio circumpolare Inuit ha ricordato al Consiglio artico in una dichiarazione pubblica del 7 marzo 2022:

“Gli Inuit sono determinati a far sì che l’Artico rimanga una zona di pace (espressione coniata dall’ex presidente dell’URSS Mikhail Gorbaciov). Il CCI ha ribadito questo messaggio in tutti i suoi documenti di governo, più recentemente nella Dichiarazione di Utqiaġvik del 2018, in cui è stata incaricata di gettare le basi per la dichiarazione dell’Artico come zona di pace.”

L’attuale presidente del CCI, Lisa Qiluqqi Koperqualuk, ha ribadito il diritto degli Inuit alla pace e la priorità di rendere la loro patria una zona di pace nella sua presentazione allo studio del Senato sull’Artico nel novembre 2022. Ha sottolineato i valori del CCI:

  • disarmo
  • risoluzione nonviolenta dei conflitti
  • cooperazione internazionale, anche con la Russia.

Per proteggere le comunità indigene e l’ecosistema artico, i conflitti tra gli Stati artici devono essere risolti con la diplomazia e il diritto internazionale, non con armi e aerei da guerra. Il governo canadese deve lavorare in collaborazione con tutti i membri del Consiglio artico e aderire alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e alla Commissione sui limiti della piattaforma continentale. Infine, il governo canadese deve rispettare la dichiarazione di sovranità degli Inuit e la loro richiesta di pace, cooperazione e sviluppo sostenibile nell’Artico. Il governo Trudeau deve quindi cancellare tutti i piani di militarizzazione del NORAD e della NATO nel Nord, perché gli effetti sull’intera umanità e sulle comunità Inuit saranno irreversibili.

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*Fonte: questo testo è in parte una traduzione di un articolo pubblicato da Tamara Lorincz, dottoranda presso la Balsillie School of International Affairs della Wilfrid Laurier University, sul sito mronline.org.

Traduzione dal francese di Thomas Schmid. Rilettura di Anna Polo