Quando i genitori hanno un basso livello di istruzione quasi un quarto dei giovani (24%) abbandona precocemente gli studi e poco più del 10% raggiunge il titolo terziario, mentre se almeno un genitore è laureato, le quote diventano rispettivamente 2% e circa 70%. Lo certifica il recente report dell’Istat su “Livelli d’istruzione e ritorni occupazionali – 2023”. 

Resta invariato il vantaggio occupazionale della laurea sul diploma: nella popolazione di età compresa tra i 25 e i 64 anni il tasso di occupazione aumenta, tra il 2022 e il 2023, di circa un punto percentuale per qualsiasi titolo di studio: +0,8 p.p. per i bassi, +1,0 p.p. per i medie +0,9 p.p. per i titoli di studio alti; i differenziali tra i tassi di occupazione dei diversi livelli di istruzione rimangono pertanto invariati. Nel 2023, tra chi possiede un titolo terziario, il tasso di occupazione raggiunge l’84,3%, valore superiore di 11 punti percentuali rispetto a quello di chi ha un titolo secondario superiore (73,3%) e di 30 punti percentuali rispetto a chi ha conseguito al più un titolo secondario inferiore (54,1%). Si conferma, dunque, l’evidente “premio” occupazionale dell’istruzione, in termini di aumento della quota di occupati al crescere del titolo di studio conseguito. Anche il lavoro a termine è più diffuso tra chi ha un basso livello di istruzione: tra i dipendenti 25-64enni coloro che hanno un contratto a termine sono il 13,6%, quota che tra i 25-34enni raggiunge il 23,8% se uomini e il 29,6% se donne. 

Nel nostro Paese però continuano ad esserci meno laureati tra i giovani rispetto alla media europea, anche se nel 2023 la quota di giovani adulti in possesso di un titolo di studio terziario è leggermente cresciuta, attestandosi al 30,6. Una quota che resta lontana dall’obiettivo europeo (45%), decisamente inferiore alla media europea (43,1% nell’Ue27) ed è molto al di sotto dei valori, comunque in crescita, degli altri grandi Paesi (51,9% Francia, 52,0% Spagna e 38,4% Germania).

E, come sottolinea l’ISTAT, anche sull’occupazione continuiamo a stare indietro: “Nel nostro Paese le opportunità occupazionali rimangono più basse di quelle medie europee anche per chi raggiunge un titolo terziario: il tasso di occupazione medio nell’Ue27 (87,6%) è superiore a quello dell’Italia di 3,3 punti percentuali, differenza solo leggermente inferiore a quella osservata per i titoli medio-bassi.”

Continua ad esserci poi il triste paradosso delle donne più istuite, ma meno occupate. Nel 2023, il 68,0% delle 25-64enni ha almeno un diploma o una qualifica (62,9% tra gli uomini) e coloro in possesso di un titolo terziario raggiungono il 24,9% (18,3% tra gli uomini). Le differenze di genere risultano più marcate di quelle osservate nella media Ue27. Eppure, il vantaggio femminile nell’istruzione non si traduce in un vantaggio lavorativo: il tasso di occupazione femminile è molto più basso di quello maschile (59,0% contro 79,3%). Lo svantaggio delle donne rispetto agli uomini nei ritorni occupazionali è decisamente ampio tra i laureati in discipline socio-economiche e giuridiche e raggiunge il massimo per le lauree STEM. Tale risultato, tuttavia, non dipende dalla bassa incidenza di donne laureate nelle aree disciplinari STEM in cui l’occupazione raggiunge i valori più elevati (ossia l’area informatica, ingegneria e architettura), ma dal fatto che il divario di genere persiste anche a parità di macro area STEM.

E ancora una volta si certifica il divario tra il Nord del Paese e il Mezzogiorno: la popolazione (25-64 anni) residente nel Mezzogiorno è meno istruita rispetto a quella del Centro-nord, con il 39,6% che ha un titolo secondario superiore e con solo il 18,1% che ha raggiunto un titolo terziario; nel Nord e nel Centro la quota dei diplomati supera il 45% (rispettivamente il 46,5% e il 45,2%) e quella dei laureati il 22% (22,4% e 25,6%). Inoltre, nel Mezzogiorno il tasso di occupazione è molto più basso che nel resto del Paese e quello di disoccupazione molto più alto, anche tra chi ha un titolo di studio elevato.

A diminuire sono invece i NEET, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono più inseriti in un percorso scolastico/formativo e non sono impegnati in un’attività lavorativa: la quota di NEET sul totale dei 15-29enni, stimata al 16,1% per il 2023, registra un ulteriore importante calo (-2,9 punti percentuali rispetto al 2022) e si attesta su un valore inferiore a quello del 2007 (18,8%). Una diminuzione che non può certamente soddisfarci, poiché nell’Ue il valore italiano resta inferiore soltanto a quello della Romania (19,3%) e decisamente più elevato di quello medio europeo (11,2%), di quello spagnolo e francese (12,3%, entrambi) e di quello tedesco (8,8%).

Al contrario, cresce la partecipazione degli adulti a corsi e ad attività formative: nel 2023, l’11,6% della popolazione tra i 25 e i 64 anni ha partecipato ad attività formative nelle quattro settimane precedenti l’intervista (l’11,3% della componente maschile e l’11,8% di quella femminile); la quota ha registrato un’importante crescita (+2 p.p.) rispetto al valore 2022 (9,6%), dopo la stazionarietà protrattasi per diversi anni e il significativo calo rilevato nel 2020 dovuto alle restrizioni e chiusure durante la crisi pandemica. Il valore medio Ue è pari al 12,7%, in aumento di 0,8 p.p. rispetto al 2022, e l’Italia, pur posizionandosi sopra la Germania (8,3%), resta significativamente al di sotto di Francia (14,9%) e Spagna (15,8%).

Qui il Report dell’ISTAT: https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/07/REPORT-livelli-istruzione.pdf