L’appello della famiglia: “Aiutateci a fare luce sulla verità”
Edwin Jara, uomo di 45 anni di nazionalità ecuadoriana alto 1.74m, è scomparso al confine tra Grecia e Turchia dopo aver tentato di attraversare il fiume Evros nella zona di Didymoteichos. Il giorno della scomparsa indossava una giacca marca The North Face grigia e nera, con sotto una tuta leggera di colore nero.
L’ultimo contatto telefonico risale alla notte tra il 14 e il 15 dicembre 2023. Da allora i familiari continuano le ricerche e rivolgono un appello a tutte le persone e organizzazioni tra Italia, Grecia e Turchia, affinché condividano ogni informazione utile a ritrovarlo e a far luce su quanto gli è successo.
Edwin Jara si trovava “in trappola” in Turchia da circa un mese. Aveva lasciato l’Ecuador con l’obiettivo di stabilirsi in Italia, dove già alcuni suoi parenti vivono stabilmente da diversi anni.
È la sorella Isis a raccontarci la sua storia in un’intervista.
Il viaggio di Edwin
«Lui inizialmente ha provato a farlo in modo legale perché noi qua abbiamo i documenti, siamo qua in regola. Le mie due sorelle sono cittadine italiane da cinque anni più o meno e mio padre da poco, anche io da poco sono cittadina italiana».
Nonostante ciò, i costi e i requisiti economici necessari a ottenere un visto Schengen e l’urgenza di partire per una condizione di rischio in Ecuador incompatibile con i relativi tempi di attesa lo hanno spinto a cercare un modo per fuggire il prima possibile. Così è giunto in Turchia, ritrovandosi ben presto in trappola, nell’impossibilità di varcare ulteriori confini in maniera legale.
Edwin è rimasto un mese in Turchia tentando un modo per raggiungere i suoi familiari, che dall’Italia lo hanno visitato più volte nella speranza di poter trovare una soluzione insieme. In ultimo, Edwin non ha trovato altra alternativa che tentare la fortuna affidandosi a chi, almeno a parole, poteva facilitare il suo ingresso in Europa in maniera non autorizzata.
«Siamo riusciti a entrare all’account di Google di Edwin, di mio fratello, in cui ci sono delle traduzioni che dicono che lui traduceva dallo spagnolo al turco dicendo: ‘mi puoi portare al paesino dei tassisti? Quanto mi può costare il viaggio da qui – cioè dal posto in cui era lui – al paesino dei tassisti?’ (…) Perché a quanto pare questi tassisti portavano le persone. Non so in che modo, ma riuscivano ad attraversare il confine Turchia-Grecia senza farsi beccare dalle autorità».
Il respingimento sul fiume Evros
La famiglia riceve un ultimo messaggio di Edwin nella notte tra il 14 e il 15 dicembre 2023. Li informava che da lì in avanti non avrebbe avuto internet, li rassicurava che se mai fosse stato preso e detenuto dalla polizia greca, anche se ci sarebbero voluti mesi, li avrebbe contattati per informarli in qualche modo alla prima opportunità. A distanza di 7 mesi, tuttavia, questo è rimasto l’ultimo contatto diretto con Edwin.
La notte della scomparsa, la sorella Gabriella riceve dei messaggi preoccupanti da alcuni compagni di viaggio, mentre si trovavano sulla sponda greca del fiume Evros, nella zona di Didymoteichos.
“Una persona che era insieme a lui ha scritto a mia sorella Gabriella dicendo ‘sì adesso siamo qua’ e le ha inviato anche dei video in cui le autorità greche avevano una pistola con le palline di plastica (…) E loro in questo piccolo video, perché poi non dura più di tanto, dicevano: ‘dai lasciateci stare, così state violando i nostri diritti umani!’ ”
Le comunicazioni si interrompono per qualche ora, finché verso le 5 del mattino non riescono a ricontattarli, quando erano ormai stati respinti di nuovo in Turchia. Questi raccontano che erano stati portati fino alla sponda turca del fiume, dove gli hanno detto: “Se volete, lì è il confine greco. Chi ha coraggio, attraversi!”. Così hanno attraversato il fiume a nuoto.
Un video inviato alla famiglia dalle persone che erano con Edwin sul fiume Evros
“L’acqua era fredda, era l’inverno.. lui è riuscito a passare il confine, ad andare alla riva che fa parte della parte greca. (…) Poi è successa questa cosa che sono arrivati subito i militari, sia greci che turchi, dall’altra parte del fiume Evros. E poi mi hanno detto che mio fratello è rimasto sulla riva senza coscienza, lì sdraiato. (…) Ci hanno detto ‘è lì non risponde, adesso cosa facciamo? Chiamiamo qualcuno? Chi ci può aiutare?’ E poi, secondo il suo racconto, ha detto che adesso sta bene, si è alzato, sta camminando. Ci hanno inviato una foto, ma non si vede niente, non si riesce a riconoscere se sia lui o no. Ci hanno detto che è tutto a posto, ma non ci hanno mai fatto sentire la sua voce. Niente ‘Edwin, dì qualcosa alla tua famiglia, che stai bene, grida qualcosa!’ per sapere se è lui.”
In base al racconto di questi testimoni, la polizia greca ha respinto il gruppo costringendoli a tornare nuovamente a nuoto sulla sponda turca.
«Sono stati maltrattati, picchiati da quelle turche, gli hanno fatto di nuovo attraversare con una barca. Hanno fatto avanti e indietro, perché nessuna delle autorità voleva prendersi queste persone. (…) E poi hanno detto che li hanno torturati, nel senso che li hanno messi sotto l’acqua e così li congelavano. E hanno detto che lì c’era ancora mio fratello, che anche mio fratello era stato torturato e visto che mio fratello aveva un problema al ginocchio, dopo questo lui non aveva più la forza. Proprio in questo momento le autorità si sono allontanate e loro sono riusciti a scappare, ma visto che le gambe di mio fratello non reggevano più, è rimasto lì».
Le ricerche
Dopo essere fuggiti, i compagni di viaggio di Edwin hanno inviato una posizione alla famiglia, dicendo “Lui è lì, andate a prenderlo!”. La posizione portava a un punto sulla sponda del fiume Evros nella zona greca, ma in un secondo momento hanno inviato un’altra posizione localizzata in territorio turco.
La famiglia si è messa immediatamente in macchina e una volta giunta in Turchia ha tentato di sporgere denuncia alle autorità, riscontrando gravi difficoltà per la mancanza di traduzione. Hanno solo capito che le autorità consigliavano di recarsi presso un centro detentivo a chiedere informazioni, ma aspettando il lunedì perché chiuso nel weekend.
Hanno dunque deciso di recarsi direttamente alla posizione inviata con la loro macchina, ma una volta giunti a destinazione – un luogo privo di sbarre, segnali o limitazioni d’accesso – sono stati circondati da militari turchi, che gli hanno intimato di allontanarsi minacciandoli con le armi.
«Ovviamente i miei fratelli si sono spaventati, sono rientrati in macchina e poi sono arrivati ancora più militari. Gli hanno circondato la macchina e gli puntavano addosso le pistole. Loro si sono spaventati, gli stavano parlando in turco, loro ovviamente non capivano e l’unica cosa che mia sorella è riuscita a dire è ‘Adesso chiamo la Farnesina!’. A quel punto i militari turchi hanno sentito questo nome e si sono spaventati, hanno subito abbassato le pistole.. Perché lei diceva ‘io sono italiana, io sono italiana!’ quindi è lì che si sono spaventati (…) I militari li hanno portati in ospedale per accertare che stessero bene, perché appunto hanno avuto paura che mia sorella essendo italiana potesse accusarli di qualche violazione».
Solo a quel punto sono riusciti a ottenere assistenza dall’ambasciata italiana in Turchia, che tuttavia si è limitata a fornire una persona che potesse tradurre.
«Ci hanno detto che potevano aiutare soltanto mia sorella che è italiana, ma per mio fratello che non lo è, non potevano fare niente, quindi non ci poteva aiutare. (…) mia sorella continuava a dire: ‘Ma io sto cercando mio fratello, aiutatemi!’ ma dicevano, ‘non possiamo fare niente per tuo fratello perché non è italiano’».
Nessun aiuto dall’Italia in Turchia, nessun aiuto dall’ambasciata Ecuadoriana in Italia. Il poco supporto che hanno ricevuto arriva dall’associazione Milano Senza Frontiere e dai contatti personali della famiglia.
Ancora oggi nessuna novità su Edwin, ma la famiglia continua a chiedere che vengano avviate delle ricerche e soprattutto che venga fatta luce su quanto è successo.
Chiunque abbia avvistato Edwin, o sia in possesso di informazioni utili a cercarlo, ad attivare delle ricerche o a ricostruire la verità è pregato di contattare la redazione all’indirizzo email: collaborazioni@meltingpot.org