Ho un ricordo vivido di Danilo Dolci durante la sua permanenza a Cagliari, ospite più volte della comunità di San Rocco, in via San Mauro. Imponente di statura, incuteva quasi timore, che si stemperava immediatamente col saluto e nella conversazione. La prima volta nel 1986 (non ho rintracciato una data precisa) tenne delle conversazioni sulla bozza di un manifesto sulla comunicazione, sulla necessità di smascherare l’imbroglio delle parole: trasmettere non necessariamente significa comunicare. Parteciparono alcune persone della comunità e altre gravitanti nella sua orbita. Le conversazioni maieutiche sulla tematica della comunicazione di massa si svolsero nella chiesetta dedicata a San Rocco, il cui retro confina col giardino dell’abitazione della comunità.  Le conversazioni, condotte in modalità circolare, terminavano con una scrittura collettiva, alla quale ciascuno/a dei partecipanti dava un suo apporto personale.

Conservo ancora la prima stesura della Bozza di Manifesto, dal trasmettere al comunicare. All’educatore che è ognuno al mondo, a cura di Danilo Dolci, Edizioni Sonda, Milano, 1989. Parte integrante del testo un poster di Bruno Munari, con una versione breve del Manifesto e una grafica che ne sintetizza il contenuto. Ecco l’incipit: «Non dobbiamo temere la diagnosi. Una malattia ci intossica e impedisce: la vita del mondo è affetta dal virus del dominio, pericolosamente soffre di rapporti sbagliati. […] L’antico virus trama strategie inedite. Una frode sottile degenera il mondo, acuta, sistematica: l’inoculazione, la trasmissione propagandista, vengono più e più camuffate da comunicazione. Malgrado denunce, finora inadeguate, questa strategia (gestita da persone, gruppi, Stati) subdolamente tende a strumentalizzare la gente ignara, rendendola indifesa e acquiescente».

In questa prima Bozza di Manifesto vengono riportati i commenti di esponenti della cultura mondiale, tra cui Noam Chomsky, Edgar Morin, Paulo Freire, Anna Fromman, e di attivisti/e del movimento pacifista internazionale come Daniel Berrigan S.J. Vengono trascritte, inoltre, riflessioni di personalità italiane appartenenti al  mondo scientifico o impegnate nel campo dell’educazione dei giovani: Carlo Rubbia, Mario Lodi, Raffaele La Porta, Daniele Novara, Luigi Ciotti e i nostri conterranei Elisa Nivola ed Ettore Cannavera. Nella seconda parte del testo troviamo alcune delle risposte sulla tematica della comunicazione, frutto delle conversazioni maieutiche tenute da Danilo Dolci in Istituti scolastici o in gruppi e comunità. Dettagliati i luoghi e i nomi delle persone partecipanti.

L’esperienza nella comunità cagliaritana è riportata alle pagine 44 – 45: «Dal CENTRO DI SAN ROCCO, IN CAGLIARI, una comunità in cui collaborano (e convivono) operai (la metà), artigiani, casalinghe, professionisti (atei e religiosi, giovani di 20 e di oltre 60 anni». Riporto un breve passo: «Le parole del Manifesto sono un messaggio di speranza ma anche uno schiaffo per chi si nasconde dietro il proprio dito. Per giungere nel paese dell’utopia occorre che chi spera e chi ha voglia di vivere si cerchi: per non divenire complice e ignaro portatore del virus del dominio. Ognuno che riesce a vedere non può sottrarsi alla lotta: siamo tutti nella stessa barca. Affonderemo o ci salveremo assieme».

Il secondo passaggio di Danilo Dolci a Cagliari fu nei mesi di novembre e dicembre del 1987. Insegnanti aderenti al MCE (Movimento di Cooperazione Educativa) e il gruppo Passaparola organizzarono un seminario che si svolse dall’1 al 5 dicembre nella chiesetta presso la comunità di San Rocco. Qualche mattinata, Danilo la trascorse a incontrare ragazzi e insegnanti a scuola. Di questi incontri si racconta nel suo libro, DAL TRASMETTERE del virus del dominio AL COMUNICARE della struttura creativa, Edizioni Sonda, Milano, 1988.

L’autore riflette sulle conversazioni maieutiche e riporta, tra le altre, anche l’esperienza fatta a Cagliari nel capitolo dal titolo Come i fuochi nella notte (pp. 180 – 185).  Dell’incontro a scuola del Dolci poeta, egli trascrive alcune suggestioni dei partecipanti: «In un dominio sull’altro non ci può essere amore. […] Discutendo abbiamo capito. La poesia è qualcosa si grande che abbiamo dentro, ma può essere grande solo partecipando agli altri. Discutere è qualcosa di nuovo ma tanto antico, come i fuochi che riuniscono la gente nella notte».

Al seminario si iscrissero quarantasei persone: «Diverse le aspettative, diversi i bisogni, diverse le persone (educatori dalla scuola elementare all’Università, studenti, animatori), ma tutte con un desiderio che le unisce: conoscere, conoscersi, comunicare, intendere cosa è comunicare. La cappella della Comunità di san Rocco, col suo giardino di mandarini nel centro storico, adatta alla meditazione, è uno spazio aperto che molti non conoscevano».

Alla professoressa Elisa Nivola (era stata assistente universitaria di Aldo Capitini) fu affidato l’intervento conclusivo. È un bilancio lungo e articolato, di cui posso riportare solo uno stralcio: «[…] Sì. Trasmettere non è comunicare. Siamo piccoli e pochi a frenare questa contraffazione, questa alluvione. Eppure bisogna contare sulla forza operosa dei piccoli gruppi, ognuno che nasce è un incremento di valore. Bisogna creare dal basso in ogni luogo centri per “l’auto-educazione delle comunità”, come dice anche Laporta, contrastare o sfidare la produzione del sapere ambiguo che sta nell’accademia e nel mercato delle idee senza raggiungere il fondo oscuro dei problemi (anche l’Università è sovente sorda a questa ipotesi, luogo di accumulazione caotica e frammentatrice) mentre tanta vita è sprecata nella frenesia della velocità e del rumore» (p. 183).

Sull’esperienza dolciana in Sardegna, che prosegue negli anni successivi, è interessante la lettura del saggio di Maria Francesca Ghiaccio,  Abitando i confini. Breve riflessione sull’esperienza dolciana a Lula, in Studium Educationis – Anno XIII – N: 3 – ottobre 2012 (pdf online), pp. 77-89. «Il saggio riflette su un lavoro di ricerca, nato attorno alla cattedra di Pedagogia generale sociale, della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Sassari volto a ricostruire le esperienze educative promosse da Danilo Dolci nei due paesi sardi che l’ospitarono, Lula e Villanovaforru».

Danilo Dolci arrivò a Lula per la prima volta nel dicembre del 1995. Dal 1992 Lula era un paese bloccato; gli amministratori si erano dimessi in seguito ad attentati. Nel luglio il Ministro della Difesa inviò 470 soldati, un’operazione militare denominata Forza Paris. Non tutti approvarono la decisione del Consiglio comunale di accettare l’operazione; si susseguirono disordini e attentati. L’intera giunta comunale fu destituita il 4 agosto dello stesso anno. La piccola comunità ancora dominata dalla paura. Il “maieuta” Dolci si proponeva di attivare il superamento del silenzio e della solitudine «coltivando quesiti e incitando alla problematizzazione continua».

Il primo seminario maieutico si svolse dal 22 al 24 dicembre, il cui tema centrale fu la comunicazione: dal dominio al potere, dal trasmettere al comunicare, condizioni per concretare una struttura che favorisca la creatività. La tematica dell’azione maieutica ed educativa degli ultimi anni di vita del Gandhi italiano. Un breve brano dall’intervista di Maria Teresa Rosu, bibliotecaria, tra le persone che parteciparono al seminario: «(L’attenzione di Danilo) si fermò sui rapporti spezzati, sulle parole non dette, sui pensieri non espressi, sui silenzi e sulle solitudini. Stimolare al confronto di tutto questo con i problemi del mondo, era come catapultare un paese al centro della riflessione filosofica e planetaria per fargli acquisire le giuste proporzioni del suo malessere e la certezza di poter contribuire all’armonia dell’universo» (p. 84).

Danilo Dolci oltrepassò il mare ancora nell’estate del 1996 e scelse Villanovaforru e Lula come sedi per un seminario nazionale dal titolo Struttura maieutica e complessità: «Un seminario di 7 giorni (dal 21 al 27 luglio) che nella sua articolazione logistica, meglio di qualsiasi altra strategia, riuscì ad attivare un tacito raffronto tra una comunità ricca di cultura e di pianificazione politica e una collettività che ancora continuava a negarsi alla sua cosa pubblica» (ivi).

In seguito a diversi suicidi avvenuti fra i giovani de La Maddalena, Danilo fu invitato partecipare a un Seminario, che si svolse dal 28 Settembre al 5 Ottobre 1996, con giovani, educatori, famigliari e associazioni volontarie. Prese allora coscienza della presenza dall’agosto del 1972 all’interno della base Nato  sede di sommergibili statunitensi dotati di ordigni nucleari, costituitasi segretamente, senza alcuna autorizzazione parlamentare e operante al di fuori di qualsiasi possibilità di controllo da parte del Governo italiano e degli enti locali,  con il risvolto pernicioso e devastante sulla salute pubblica.

La Maddalena, S. Stefano, base militare (da Nautica Report)

Nel 1997 da Trappeto, pur gravemente ammalato, Danilo Dolci si prodigò nella preparazione di una grande marcia per la pace in Sardegna, che sarebbe dovuta concludersi davanti alla base NATO di La Maddalena.  Non potè vedere realizzato il suo desiderio di recarsi ancora in Sardegna. Si spense il 30 dicembre 1997. Gli americani abbandonarono la base nel gennaio del 2008.

In un mondo dominato dalla violenza delle armi e dalle discriminazioni economiche, sociali e culturali, resta sempre da seguire la via tracciata da Danilo Dolci: smascherare il sistema di menzogna, andare nei luoghi in cui sono evidenti le contraddizioni della società capitalista, «dare la parola a chi non ha parola, dare il potere a chi non ha potere».