Giovedì 11 luglio 2024 si è tenuta la conferenza stampa dal titolo “Più Armi Più Lavoro. Una falsa tesi” presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati per illustrare un primo documento promosso dal Laboratorio permanente sulla politica industriale di pace in Italia.
Nello scenario sempre più inquietante della guerra mondiale a pezzi l’Italia si colloca tra i primi esportatori di armi su scala planetaria come esito di una scelta di politica economica e industriale condivisa trasversalmente dalle coalizioni dei partiti che si sono alternati al governo del nostro Paese negli ultimi decenni.
Leonardo, già Finmeccanica, società controllata dal capitale pubblico, è il perno di questa strategia di lungo periodo che ha portato a dismettere asset industriali rilevanti in campo civile, in termini di livelli occupazionali e innovazione tecnologica, a favore del settore della Difesa grazie anche alle scappatoie usate per aggirare la legge 185/90 che pone limiti alla produzione e invio di armi nei Paesi in guerra e/o che violano i diritti umani.
Il recente caso della cessione da parte di Leonardo del capitale di controllo di Industria italiana autobus dimostra la volontà di concentrare le risorse nell’ambito degli armamenti a discapito della filiera del trasporto pubblico e privato che sarà sempre più decisivo per la transizione ecologica.
D’altra parte, – come ha sottolineato Gianni Alioti di Weapon Watch- «l’Italia ha perso negli ultimi anni il controllo di imprese d’avanguardia», ad esempio nel settore ferroviario sempre a favore del comparto della Difesa regolarmente promosso nelle grandi Expo di armi come il recente World Defense Show che si è tenuto in Arabia Saudita lo scorso febbraio 2024.
«La stessa legge 185/90, approvata per dare applicazione all’articolo 11 della Costituzione, è – come ha dichiarato Chiara Bonaiuti di Ires Toscana – sotto l’attacco di una riforma in via di approvazione che mira essenzialmente a svuotarne l’efficacia impedendo, tra l’altro, la conoscibilità del coinvolgimento delle banche nel finanziamento e sostegno alle imprese delle armi».
Già nel maggio 2023, – ha fatto notare Cinzia Guaita del Comitato riconversione Rwm- «l’attuale governo ha rimosso il bando imposto nel 2020 all’esportazione di missili e bombe prodotte dalla Rwm in Italia e dirette in Arabia Saudita (uno dei maggiori Paesi importatori di sistemi d’arma) per “l’attenuazione del rischio” di utilizzo sulla popolazione civile nel conflitto dimenticato in Yemen».
Quel divieto era stato imposto proprio grazie all’applicazione della legge 185/90 fortemente sollecitata da una parte della società civile responsabile e organizzata in Italia e, in primis, dal comitato riconversione Rwm che chiede un’economia di pace per il Sulcis Iglesiente in Sardegna, area destinataria assieme a quella dell’ex Ilva di Taranto, del Just Transition Fund stanziato dalla Ue per i territori a difficile transizione ecologica. Il comitato ha dato vita ad una rete di imprese impegnate a costruire un’economia libera dalla guerra, e dal suo ricatto occupazionale, riconoscibili dal marchio Warfree registrato a livello internazionale e aperto alla più ampia adesione.
La stessa legge 185/90 prevede un fondo per la riconversione industriale dal bellico al civile che non si è mai finanziato per evidente opposizione del complesso militar industriale che ora è al centro del clima di corsa agli armamenti – ha detto Maurizio Simoncelli di Iriad – «anche nell’Unione Europea che già da sola, cioè senza la Gran Bretagna, spende per la “difesa” il triplo della Russia. L’Italia si è impegnata, come ribadito nel vertice Nato di Washington, a raggiungere il 2% del Pil in spesa militare, come chiesto dall’Alleanza atlantica», chiedendo l’esclusione di tali cifre dai limiti imposti dal patto di stabilità ristabilito nell’Europa post pandemia e che inciderà, invece, sui mancati finanziamenti per spese sociali, scuola e sanità pubblica.
L’assuefazione dell’opinione pubblica verso l’inevitabilità di tali scelte si spiega, secondo Carlo Cefaloni di Economia Disarmata – «con l’egemonia della cultura della guerra diffusa dai principali media che ridicolizzano, osteggiano e ignorano le voci competenti di chi, come ad esempio Rete Italiana Pace e Disarmo, cerca di opporsi alla deriva del “sonnambulismo” delle coscienze, sperimentato in altre epoche della storia recente, che rischia sempre di più di precipitare il nostro Paese, l’Europa e il mondo interno sul piano inclinato della guerra senza ritorno nell’era della possibile mezzanotte nucleare».
In tale opera di convincimento della convenienza ad essere parte di nuove inutili stragi, una leva ricorrente è la tesi che associa la produzione bellica ai ritorni positivi sui livelli occupazionali: le armi danno lavoro.
La messa in discussione di tale convinzione diffusa è al centro di un vademecum offerto alla più larga divulgazione dall’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo assieme a Weapon Watch come primo contributo al Laboratorio permanente sulla politica industriale di pace in Italia incentrato su alcuni casi emblematici in Italia a partire da quelli del Sulcis Iglesiente e della città di Torino dove la decrescita progressiva del settore auto apre la strada al progetto di Leonardo di farne una città delle armi nel contesto della guerra mondiale a pezzi che si stanno ricomponendo tra di loro.
Il Laboratorio intende dare seguito alla riflessione affrontata dal Gruppo di Lavoro “Economia Società Ambiente” di Rete italiana Pace e Disarmo e al grande lavoro di approfondimento offerto da Sbilanciamoci.
Il percorso del Laboratorio è condiviso, alla data attuale, da: Centro studi Sereno Regis Torino, Economia Disarmata Focolari Italia, Comitato riconversione Rwm, Pastorale Sociale Piemonte e Valle d’Aosta, Archivio Disarmo, Centro Studi Pax Christi, The Weapon Watch – Osservatorio sulle armi nei porti europei e del Mediterraneo, Fondazione Finanza Etica, Rete italiana Pace e Disarmo
La conferenza stampa “Più Armi Più Lavoro. Una falsa tesi” è stata resa possibile grazie alla disponibilità dell’onorevole Paolo Ciani.