Lo scorso 13 giugno abbiamo scritto del libro curato da Daniela Bezzi ed edito da Multimage che raccoglie significative testimonianze di diversi membri dei Combatants for Peace, l’associazione israelo-palestinese di ex soldati ebrei ed ex militanti di Fatah e Hamas germinata da Parents Circle, cerchio che accoglie genitori e parenti di vittime di entrambi i fronti, accomunati da empatia e desiderio di superamento della paura e dell’odio.
Il libro di cui ci occupiamo adesso, edito da Feltrinelli, ricostruisce in particolare le vicende di due dei fondatori di CFP, Rami Elhanan, padre di Smadar (bocciolo di vigna), saltata in aria a tredici anni durante un attentato suicida nel 1997 a Gerusalemme, e Bassam Aramin, padre di Abir (fragranza di fiore), uccisa da un proiettile di gomma dell’esercito occupante a dieci anni nel 2007.
Le loro vite e quelle dei loro cari si intrecciano, generazione dopo generazione, alla storia della Palestina, terra martoriata almeno a partire dalla fine della Grande Guerra con l’inizio del mandato britannico. Si intersecano in due saghe familiari che si allargano alla storia di due popoli e poi di molti altri ancora, nello scenario del colonialismo occidentale.
Si snodano in un romanzo che l’autore, Colum McCann, docente irlandese di letteratura allo Hunter College di New York, definisce “ibrido”. È il frutto, infatti, di numerosi anni di ricerche d’archivio, viaggi, interviste, esame critico delle fonti reperite. “In alcuni casi le fonti si contraddicevano direttamente l’una con l’altra, e perfino gli esperti erano in contrasto fra loro”. Questo perché la Storia, tessuta di multicolori storie, ha un infinito numero di lati, come un apeirogon, un poligono i cui lati sono infiniti ma numerabili, la figura geometrica che più si avvicina al cerchio senza mai eguagliarlo.
E così la struttura di questo romanzo-verità è un ininterrotto andirivieni tra passato e presente, da una frontiera all’altra: “la geografia è tutto”… I documenti si alternano alle foto, i dialoghi quotidiani alle vicende antiche della tradizione mediorientale, i reperti e i riferimenti a personaggi storici in qualche modo legati alla Palestina punteggiano le memorie e le speranze dei sopravvissuti all’incessante Nakba.
I capitoli sono numerati da 1 a 500, brevi come sure coraniche o versetti biblici, e 500 è ripetuto due volte, per la biografia di ciascuno dei due protagonisti; poi decrescono da 500 a 1, un perimetro percorso nei due sensi, attraverso le due prospettive degli amici inseparabili.
Ma non si perde mai il filo. In realtà, la cornice del racconto si racchiude in un solo giorno, un giorno qualunque, in cui Bassam e Rami, come sempre, tengono una conferenza, a partire dal loro vissuto, per far comprendere che l’Occupazione distrugge tanto l’occupante quanto l’occupato e che l’unica jihad possibile è fatta di parole e di ascolto reciproco.
“Gli ordigni [che uccisero Smadar] esplosero vicino all’incrocio fra via Ben Yehuda e Ben Hillel Street, conosciuta anche come Hillel Street, chiamata così da Hillel il Vecchio, autore, nel primo secolo a.C. dell’etica della reciprocità: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.
Ben Yehuda, come Einstein, disse che ebrei e arabi erano mishpacha, una famiglia, e che avrebbero dovuto condividere la terra e vivere insieme. Molte delle nuove parole ebraiche che lui aiutò a coniare avevano radici arabe. Le due lingue, disse, erano sorelle che, proprio come le due popolazioni, avrebbero potuto convivere l’una accanto all’altra.”
La scrittura è asciutta e sapida, talvolta veloce talaltra meditata, non indulge mai alla commozione, non sciaborda in una aggettivazione prolissa, non ammicca al lettore per conquistarne una pietosa attenzione. È lucida ed essenziale, scarnifica gli eventi, ti getta in faccia la ruvidità dei fatti e dei misfatti.
“Quando dividi la morte per la vita trovi un cerchio”, ci avverte McCann. È un libro che si legge con gratitudine, il suo.
Colum McCann, Apeirogon, Feltrinelli, Milano 2022