> MERIDIOGLOCALNEWS – RASSEGNA SULLE SOGGETTIV₳ZIONI METICCE <

La guerra genera non solo morti e distruzione, ma anche profitti… per pochi. Vendite record di armi per Israele, il genocidio dei palestinesi è la vetrina ottimale per l’expo militare

Le esportazioni militari israeliane hanno raggiunto la cifra di 13 miliardi di dollari, a conferma che i nuovi sistemi d’arma stanno guadagnando crescente interesse sui mercati. Un paese in guerra che riceve ingenti quantitativi di armi dagli Stati Uniti, ma al contempo ne esporta in quantità maggiori all’estero, questa è la veritiera fotografia dello Stato di Israele fuori dalla classica retorica del paese assediato e aggredito e per questo costretto a difendersi_

Da decenni ormai, almeno dai primissimi anni Settanta, l’apparato industriale militare USA ha fatto passo da giganti, attrezzandosi per massicce esportazioni, oltre a dotarsi di una fitta rete costituita da centri di ricerca, applicazioni innovative, laboratori pubblici e privati asserviti alla causa della guerra. A leggere le dichiarazioni dei politici israeliani, la grande capacità di produrre armi di ultima generazione rappresenta un autentico vanto nazionale, una sorta di realizzazione della creatività e delle capacità dell’apparato industriale e del suo stesso popolo. L’industria militare di Israele non è solo concepita ad uso difensivo, come sono soliti asserire i leader politici del Paese, esistono innumerevoli accordi di cooperazione che hanno messo insieme start up, centri di ricerca, industrie israeliane con quelle dei principali Paesi a capitalismo avanzato. Le esportazioni riguardano armi leggere e pesanti, ma soprattutto sistemi missilistici, di spionaggio che raccolgono un terzo delle vendite e tra i partner commerciali non ci sono solo gli USA, ma Paesi come Italia, Germania e Finlandia, parliamo di accordi per centinaia di milioni di dollari. Nel corso degli ultimi due anni si è diversificata la produzione e l’esportazione di armi, se prima la facevano da padroni droni e sistemi UAV oggi sono stati in parte soppiantati da missili, razzi e sistemi di difesa aerea. Non ci coglie di sorpresa il grande attivismo nella vendita di innumerevoli sistemi d’arma, di sistemi di intelligence, informazione e cyber oltre a satelliti e sistemi spaziali destinati in prevalenza nell’area asiatica e del Pacifico. Se fino a un paio di anni or sono le esportazioni erano massicce verso i Paesi inclusi negli accordi di Abramo, oggi pesano assai meno in termini commerciali a conferma che la mattanza del popolo palestinese ha attirato compratori da ogni area del globo. In meno di cinque anni le esportazioni sono raddoppiate e l’intelligenza artificiale a uso militare ha permesso un salto di qualità sia nella creazione di efferati, per numero di morti civili (definiti effetti collaterali), sistemi militari che nelle esportazioni delle stesse. E l’ultimo prodotto ad alta tecnologia è rappresentato da IRON BEAM, leggiamo testualmente sul sito della industria produttrice: è un sistema di armi laser ad alta energia (HELWS) di classe 100 kW che dovrebbe diventare il primo sistema operativo della sua categoria . Affronta e neutralizza rapidamente ed efficacemente un’ampia gamma di minacce da un raggio di centinaia di metri a diversi chilometri . Agisce alla velocità della luce, IRON BEAM ha un caricatore illimitato, con un costo quasi pari a zero per intercettazione e provoca danni collaterali minimi. Complementare a IRON DOME di RAFAEL, può essere integrato con una gamma di piattaforme e può diventare parte di qualsiasi sistema di difesa multistrato. RAFAEL è considerato un leader globale nel settore e da oltre 30 anni sviluppa sistemi Directed Energy, inclusi i sistemi HEL. L’azienda lavora a stretto contatto con il Ministero della Difesa israeliano e funge da Centro nazionale di eccellenza HEL e Laboratorio nazionale di letalità.

report Osservatorionomilscuola

 

Le parole di Mohammed Almajdalawi mentre scappa con la sua famiglia dalle bombe in mezzo a migliaia di persone disperate

Nel riportare la drammatica testimonianza di Mohammed Almajdalawi, ripresa dalla pagina social  Gaza FREEstyle, si propone parimenti la visione del  video, le cui immagini documentano la fuga da Khan younis di questa notte_

“Ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza è ancora e ancora, lo sfollamento di decine di migliaia di famiglie, abbiamo cambiato già 7 volte luoghi dello sfollamento. Abbiamo cambiato posto più di sette volte, spostandoci da un luogo all’altro, e ogni volta abbiamo dovuto ripartire: grattare, cercare un posto, costruire una tenda, scavare una buca nel terreno per scaricare l’acqua del bagno, costruire un bagno, cercare fonti d’acqua, trasportare l’acqua e cercare fonti di elettricità per la Ricarica della batteria, il telefono e vivere una vita di attesa per tutto. Certo, ci sono molte famiglie che non hanno i soldi per trasferirsi o noleggiare un’auto perché costa molto, se disponibile, un litro di gasolio costa tantissimo, ci sono tanti malati, feriti e anziani. Immaginate la difficoltà di trasportarli, eppure molti di loro stanno camminando per la strada e scappano, e molti di loro in questo momento dicono di voler Morire In breve tempo. Ognuno di noi muore mille volte al giorno, e molte persone muoiono per mancanza di forza e cibo. Viviamo, camminiamo, respiriamo, mangiamo e beviamo con la morte che ci accompagna da tanto tempo.
Non dimenticatevi di noi”.

GazaFREE

 

’Ucraina è vicina al default finanziario: se non riuscirà a negoziare un accordo di ristrutturazione del debito con i suoi creditori fallirà

Secondo The Economist sembrerebbe che l’Ucraina ha ora solo due opzioni: ottenere una proroga della sospensione dei pagamenti fino al 2027 o dichiararsi insolvente. “In ogni caso, i pagamenti ucraini non riprenderanno”, ha aggiunto, spiegando che questo porterebbe “a una preoccupante mancanza di fiducia degli investitori privati nell’impegno dell’Occidente”, e a lungo termine, potrebbe significare un disastro per la ripresa del paese_

Nel febbraio 2022, i detentori di obbligazioni hanno permesso all’Ucraina di sospendere i pagamenti del debito per due anni in vista del conflitto con la Russia. Tuttavia, questo accordo scade il 1° agosto. Secondo The Economist, l’accordo rappresenta il 15% del PIL annuale dell’Ucraina, il secondo capitolo di spesa dopo quello della difesa. Il conflitto con la Russia ha inferto un duro colpo all’economia ucraina, che si è contratta del 25 per cento dall’inizio delle ostilità, mentre la banca centrale sta terminando le riserve valutarie del paese. Il rapporto debito\PIL si avvicinerà al 94 per cento entro la fine di quest’anno, nonostante l’appoggio degli alleati dell’Occidente, composto in prevalenza da “artiglieria, carri armati e fondi assegnati, piuttosto che contanti”, nota l’articolo. “L’Ucraina ha un mese per evitare di dichiararsi insolvente”, dice il giornale, aggiungendo che il Fondo Monetario Internazionale è disposto a negoziare un piano di ristrutturazione del debito, ma è improbabile che sia raggiunto in tempo per scongiurare il default. Il mese scorso, il governo ucraino non è riuscito a raggiungere un accordo con un gruppo di investitori sulla ristrutturazione di circa 20 miliardi di dollari del suo debito internazionale. Kiev intendeva ridurre i suoi obblighi del 60 per cento del suo valore attuale, ma i creditori hanno rifiutato affermando che il 22 per cento era “più che ragionevole”. Tuttavia, il FMI assicura che anche con un accordo “così drastico” come quello proposto dall’Ucraina, il paese potrebbe a malapena sopravvivere.

fonte: occhisulmondo

 

Compleanno di Mani Tese, sessant’anni di solidarietà e sviluppo sostenibile

A Catania, l’evento per festeggiare questo anniversario si svolgerà il 7 luglio, dalle 18,30 fino alle 23,00, in via Palermo 541, presso lo spazio FIERI. Ci saranno attività di promozione dell’artigianato, un mercatino dell’usato, sessioni di yoga, cena sociale e musica_

Sessant’anni, un numero importante. Sei decenni di impegno, in tutto il mondo, per contribuire alla lotta contro l’emergenza climatica, lo sfruttamento e le diseguaglianze. Stiamo parlando dell’anniversario di Mani Tese, l’associazione fondata nel 1964 a Milano da tre sacerdoti (Amelio Crotti, Giacomo Girardi e Piero Gheddo), con l’obiettivo di creare un nuovo ordine internazionale, imperniato su sostenibilità e giustizia. Un impegno che, a oggi, si è concretizzato nella promozione di oltre 2000 progetti. I progetti promossi hanno sempre puntato sulle esperienze di cambiamento vissute in prima persona, attraverso la promozione di iniziative in grado di incentivare gli stili di vita sostenibili. Coerentemente con questa finalità, dal Veneto alla Sicilia, molte organizzazioni di volontariato e di promozione sociale si sono collegate con Mani Tese, condividendo l’obiettivo di colmare i bisogni e le potenzialità delle comunità locali, promuovendo azioni di cambiamento e sensibilizzazione. Forze, queste ultime, che si uniscono ai 5.000 volontari che ogni anno donano il proprio tempo e le proprie energie per sostenere le attività di Mani Tese. Tra cui ricordiamo, in particolare, l’educazione alla cittadinanza globale, nelle scuole e nei campi di volontariato, che mette al centro la consapevolezza dell’importanza di agire responsabilmente a livello globale. Con i mercatini del riuso e le iniziative delle Cooperative, inoltre, vengono promossi circuiti virtuosi legati ai consumi, alla mobilità sostenibile e all’inclusione delle marginalità, contribuendo a costruire un mondo più equo e solidale. All’estero (Africa, America Latina e Asia) l’azione di Mani Tese si concretizza attraverso progetti di autodeterminazione della popolazione locale e apporta un prezioso contributo alla lotta contro l’emergenza climatica, la povertà e le disuguaglianze. In sostanza, un impegno che continua, e cresce, per contribuire al cammino verso un futuro più giusto e sostenibile per tutti.

leggi il programma su argocatania

 

2024 Mediterraneo- II° semestre. Dal report risultano 2.038 i profughi/migranti morti o dispersi nei primi sei mesi dell’anno sulle vie di fuga verso l’Europa

Il calcolo dei morti o dispersi è assolutamente drammatico: «152 negli itinerari “di terra”, spesso proprio alle porte della fortezza europea, e 1.886 inghiotti dal mare, nel Mediterraneo o nell’Atlantico verso le Canarie. In totale, 564 in meno rispetto alle 2.602 (a terra 104 e in mare 2.498) registrate al 30 giugno dello scorso anno, ma a fronte di un calo di almeno il 40 per cento degli arrivi e tenendo conto che nel “conto di morte” dei primi sei mesi del 2023 è entrata la strage di Pylos, nelle acque greche dello Jonio, con circa 700 vittime»

Dal confronto di cui sopra, il rapporto di mortalità rispetto agli arrivi resta elevatissimo: 1 migrante morto o disperso ogni 37,4 arrivati sulle tre rotte. La via di fuga più pericolosa si conferma largamente quella verso la Spagna, soprattutto a causa dell’elevatissimo numero di vittime nell’Atlantico, sulla difficile, lunghissima rotta verso le isole Canarie dalle coste dell’Africa occidentale (Marocco, Mauritania, Senegal, Gambia, perfino Guinea): 1.054 vittime a fronte di 24.747, arrivi pari a un indice di un morto ogni 23,5 migranti arrivati. E il dato potrebbe essere molto sottostimato: la Ong Caminando Fronteras, che monitora in particolare le rotte spagnole, nei primi sei mesi di quest’anno segnala infatti 5.054 profughi/migranti scomparsi nel tentativo di raggiungere la Spagna, dei quali oltre 4.500 nell’Atlantico, tenendo conto di decine di “naufragi fantasma” senza superstiti. Segue, per tasso di mortalità, la rotta del Mediterraneo centrale, verso l’Italia e Malta, con 754 vittime: una ogni 34,6 arrivi. Nel Mediterraneo orientale e nell’Egeo, infine, 78 morti o dispersi, con un indice di 1 ogni 223,8 arrivi. E’ il risultato delle crescenti difficoltà e dei rischi sempre più gravi che devono affrontare i disperati che bussano alle porte dell’Unione Europea a causa del moltiplicarsi delle barriere e dei respingimenti voluti dalla “politica migratoria” condotta dalla Ue e dall’Italia, inclusa la “guerra” mossa alle navi umanitarie delle Ong, rimaste le uniche a tentare di assicurare una rete di soccorso in mare. E le prospettive del secondo semestre 2024 non sono migliori. Al contrario.

per approfondimenti vedi nuovidesaparecidos

 

Il caos creato ad arte dell’autonomia differenziata: maggioranza e minoranza in Parlamento sono divisi, ma anche all’interno dei vari schieramenti esistono posizioni differenti e in taluni casi inconciliabili

Alcune regioni del centro sinistra spingono per un referendum contro l’autonomia differenziata licenziata dal Governo. Ma in sostanza siamo arrivati a questo punto di non ritorno proprio a causa delle mire maggioritarie e federaliste di quel centro-sinistra costituitosi informalmente come seconda gamba del “Partito del Nord”_

Sono del tutto legittime le critiche delle regioni meridionali consapevoli che l’autonomia differenziata andrà destinando maggiori risorse al Nord a mero discapito del Sud arretrato economicamente, ostaggio del lavoro nero e con servizi sanitari e scolastici pubblici decisamente lontani dagli standard europei. Se l’Italia è un paese in crisi economica, l’autonomia differenziata non rappresenta certo la soluzione, alcune regioni necessitano di fondi statali senza i quali il servizio sanitario nazionale sarà destinato al collasso favorendo ulteriori, e nefasti, processi di privatizzazione. Il Testo di legge approvato dal Governo in teoria stabilirebbe il principio della “proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna Regione” ma è proprio questo principio dettato da ideologie che non tengono conto dei reali fabbisogni, per dirla in altre parole dubitiamo fortemente che la distribuzione futura delle risorse possa rispondere ai requisiti di equità sociale se pensiamo che a dominare la distribuzione del vil denaro saranno principi di efficienza alquanto discutibili. Si va costruendo un modello statale assai contorto, un insieme di leggi destinate ad alimentare confusioni normative che potranno portare alcune Regioni a rivendicare la gestione di risorse e di materie rilevanti come il commercio con l’estero, la previdenza integrativa, la protezione civile, le banche regionali, le politiche di formazione e di orientamento in materia di lavoro. Se l’autonomia differenziata nasce per ridurre il peso della burocrazia è assai probabile che partoriremo l’effetto contrario. Pensiamo alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, alla gestione di porti e aeroporti, alle reti di trasporto e di navigazione, alcune Regioni potranno attrarre investimenti a discapito di altre anche con normative favorevoli a possibili investitori, saranno insomma acuite le differenze economiche e sociali tra le varie aree geografiche. E stiamo parlando di materie che dovrebbero essere invece essere di competenza dello Stato e non di singole entità Regionali, quanto poi alla contrattazione politica tra governo e Regioni permangono innumerevoli criticità legate al peso economico e politico dei vari interlocutori. Perfino settori del padronato italiano sono alquanto scettici verso questo impianto normativo e legislativo, temono l’ aumento dei costi e dell’ inefficienza proprio nella gestione dei beni e servizi pubblici con effetti negativi sull’intero paese. In queste ore la Regione Veneto ha chiesto alla presidente del Consiglio il via libera per attuare l’Autonomia differenziata in tutte le materie che non richiedono l’individuazione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni), la bagarre è appena iniziata e, ammesso che la Cassazione accolga il quesito referendario delle Regioni del centro sinistra, ci attendo mesi di caos istituzionale e di spinte destinate a disintegrare quanto resta della democrazia nel nostro paese.

leggi integralmente la nota dei Delegati Lavoratori indipendenti

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