Con l’elezione di Mimmo Lucano, per la quarta volta, a Sindaco di Riace e la sua clamorosa affermazione alle elezioni europee del 2024, si chiude un periodo quantomeno straordinario per la vita di un uomo del nostro Sud che ha pochi precedenti. E in quella storia, a tratti epica, a tratti paradossale, è racchiusa una lezione di storia civile e di politica che non dobbiamo dimenticare.

Il colpo è avvenuto in una sola giornata, il 10 giugno, data tragica per il nostro popolo che richiama alla mente la dichiarazione di guerra di Mussolini alle “plutocrazie” occidentali. In quel giorno, dopo pochi mesi dall’assoluzione in appello, Mimmo è passato dalle polveri agli altari, chiudendo, almeno per il momento, una favola che sembrava avviata a diventare una tragedia.

La vita di Mimmo Lucano ripercorre, per certi versi, quella dell’omerico Ulisse che, cresciuto e vissuto sulle coste di quella che fu la Magna Grecia, si trova improvvisamente a dover prendere la lancia e lo scudo per difendere la sua terra e la sua casa, minacciata da forze esterne che non aveva mai considerato prima, uomini aggressivi e gruppi di potere che lo hanno ritenuto il principale bersaglio da colpire. Costretto ad un viaggio per mari ostili e terre lontane durato cinque anni, come Ulisse che torna da Troia, ha dovuto cercare la via di casa, tormentato dall’opposizione degli dei (della politica nostrana).

Ma cosa aveva fatto di male il piccolo Ulisse per meritare tanto? Ce lo siamo chiesti per anni, scrutando i bollettini delle Prefetture calabresi che gli imputavano il traffico di clandestini e l’uso distorto dei fondi per l’accoglienza, cercando una credibile ragione di colpevolezza, una leggerezza amministrativa che nascondesse una seria ipotesi di reato, ma non l’abbiamo mai trovata e non l’hanno trovata i maligni giornalisti né i giudici più maliziosi. Mimmo aveva scoperto un modo di far lavorare la sua gente e non farla partire per terre lontane, frenando quell’emorragia di braccia e menti che per secoli ha prosciugato il tessuto sociale della Calabria, riducendola alla regione più povera d’Europa. La sua, in fondo, era la scoperta dell’acqua calda, basata sulla capacità di popolare un territorio a vocazione agreste, intercettando i flussi umani che attraversano il Mare Mediterraneo in cerca di un futuro, sostenendo il suo progetto con i fondi destinati ai migranti.

Atteso che il suo Paese, l’Italia, è da sempre in prima fila sul percorso delle grandi migrazioni verso l’Europa e che la sua Calabria, da 3000 ani, è il primo naturale approdo di gente che attraversa il mare, Mimmo ha creduto giusto offrire approdo e ospitalità a questi esseri umani smarriti e di trasformarli nell’energia positiva, creativa, di cui la Calabria ha fame atavica.

Se dalla fine dell’Ottocento i Calabresi sono stati la linfa vitale di interi continenti e di rivoluzioni industriali che hanno fatto la fortuna di algide regioni settentrionali, se lo stesso secondo dopoguerra ha spinto i meridionali ad una diaspora senza ritorno verso l’America latina e l’Australia, se neppure gli anni 70 del secolo scorso hanno garantito un ritorno a casa di chi era partito per farsi arruolare nella Fiat di Agnelli o nelle fabbriche lombarde, a Mimmo era sembrato il momento giusto per vivere un nuovo protagonismo e rendere la Calabria l’Eldorado degli africani e degli asiatici nell’era della globalizzazione, sotto la guida, finalmente serena, della sua gente che non sarebbe mai più partita.

In fondo, agli inizi del 2000, si era detto da più parti che il mondo era, ormai, uno per tutti e che la flessibilità era la ricetta del successo, della ricerca della propria felicità. Peccato che anche questo fosse un miraggio agitato dai padroni del nuovo vapore e che le rotte delle migrazioni non fossero quelle più logiche e necessarie, ma piuttosto quelle dettate dalle nuove schiavitù. Ed è per questo che il tentativo di Mimmo di far fermare in Calabria i migranti provenienti dalle rotte del Sahara o dal sud est asiatico è stato preso come una disobbedienza alle strategie del capitale finanziario e quindi indicato come un pericolo di invasione imminente del fianco sud dell’Europa.

Mimmo si è trovato in rotta di collisione con i mercanti di braccia che non cercano il riscatto dei popoli del Sud, ma hanno solo bisogno di corpi a buon mercato per ingrassare i latifondisti terrieri e alimentare la catena dello sfruttamento umano, per assicurare a costi bassi i prodotti di largo consumo, sulla pelle di chi cerca una vita migliore, in nome della quale è disponibile a farsi spremere come un limone. E siccome il sistema di sfruttamento capitalistico è arrivato a lucrare la risorse di base come la terra, l’aria e l’acqua o i beni del sottosuolo, Mimmo è diventato un ostacolo sulla rotta dei grandi capitali, del mercato di carne umana che ininterrottamente alimenta l’Europa.

Schiavitù, questo è il progetto più ambizioso dell’Europa nei confronti dei Paesi Poveri, altro che accoglienza e integrazione! E ne abbiamo avuto conferma leggendo i nuovi regolamenti sul confinamento dei migranti che l’Europa, spudoratamente, ha approvato solo pochi giorni prima delle consultazioni del giugno 2024.

La disobbedienza del piccolo Ulisse, cioè la sua obbedienza ai veri principi Costituzionali, è stata il motivo della sua condanna perché, dietro i principi dell’accoglienza, le leggi europee nascondono nuove ghettizzazioni, emarginazioni, razzismi e chi riesce ad intuire questi cortocircuiti non può che ribellarsi, disobbedire, per affermare l’umanità a tutti i costi.

Oggi il gioco del potere è scoperto e inequivocabile. Le destre che governano l’Italia e l’Europa pretendono di fermare i flussi migratori alle porte d’Europa, di scoraggiare coloro che cercano di entrare in Europa e di contenerli, per lunghi mesi, nei campi di confinamento, raggirando leggi e regolamenti, per criminalizzare chi ha il solo bisogno urgente di ritrovare la propria vita fuori dalle violenze delle guerre, delle persecuzioni e delle carestie.

E’ la nuova sfida dei governi europei: fermare da un lato le navi umanitarie e il soccorso in mare, intercettare tutte le imbarcazioni al largo e deviarle verso i Paesi extraeuropei che si prestano, a fronte di lauti compensi ed investimenti, a trattenere le masse di migranti in transito in apposite strutture carcerarie, eufemisticamente definite “di prima accoglienza”. Non si tratta di una vera e propria politica migratoria, quanto piuttosto di un crudele gioco allo sfiancamento che si realizza attraverso investimenti massicci che nascondono favori alle lobby criminali e degli avventurieri, tappe di una via Crucis che si svolgono alle porte d’Europa, opportunamente lontane dai nostri occhi.

Tutto questo avviene in barba ai princìpi dei regolamenti internazionali, in manifesta contraddizione col diritto internazionale e marittimo, col diritto d’asilo e umanitario, violando alcune delle leggi più antiche che regolano la convivenza umana. Ma nonostante la sua debolezza e l’accanirsi delle polizie e dei magistrati che difendono le frontiere d’Europa, il piccolo eroe di Riace, l’Ulisse dei giorni nostri, è riuscito a sfuggire ai Lestrigoni e alle fascinazioni delle Sirene, al racconto di Didone e alle minacce dei Ciclopi ed ha ritrovato la strada di Itaca. Ma, e qui è il punto, non ha dimenticato i Proci che, in tutti questi anni di calunnie e sabotaggi, gli avevano distrutto il lavoro svolto in venti anni di paziente tessitura. Itaca, pardon Riace, è in rovina, i progetti di sviluppo e di lavoro sono fermi a prima dell’attacco della Lega e della ‘ndrangheta, molti amici sono andati via, altri morti e alcuni hanno cambiato strada. Ma le porte del suo paesello non sono mai state chiuse e le case, quelle poche rimaste, sono ancora aperte al vento di mare che portò la nave dei Curdi a fermarsi ai piedi delle colline. Ce n’è abbastanza per ricominciare.

E c’è pure la tela di Penelope, un po’ stropicciata, lacerata qui e là, ma ancora mantiene il suo profumo di mani di donna. I Proci, nel frattempo, hanno pensato bene di fuggire e lasciare a chi arriva i danni del loro vivere inutile, della loro incapacità di amare una terra, di ascoltare i suoi fermenti e valorizzare le sue tradizioni.

C’è tanta voglia di ricominciare, ma Ulisse non sa da dove, c’è tanto da fare però il mare sembra più grande di prima, più pieno di insidie, le strade di collina che portano al Paese, più in salita. Si può vincere la guerra di Troia, ma le guerre non finiscono, lasciano i segni, restano solo i ricordi, i sentori di ginestra, il caldo delle braci appena spente e la certezza di non arrendersi, mai, al fato.

E allora non rimane che mettersi di vedetta al balcone del palazzo, in cima al Paese, e guardare verso il mare. Ci sarà sicuramente un altro veliero carico di speranza che si avvicina alla costa, il vento è sempre lo stesso e se non giri la testa dall’altra parte, a momenti sentirai il grido di un bambino che chiama la mamma e chiede quanto manca alla terra.  Dài Ulisse, cercano te, sono Troiani che hanno perso le loro case e chiedono nuova terra dove vivere senza guerra, apri l’uscio che si ricomincia. Nessuno può fermare la loro storia che è anche la tua. L’Odissea non è finita, adesso lo sai.