Un anello, un neo, una cicatrice: i familiari delle vittime del naufragio che sono arrivati da diversi Paesi europei a Roccella Jonica osservano i dettagli per riconoscere i loro cari. Cercano i particolari per trovare un fratello, un cugino, una nipote tra quei corpi ormai irriconoscibili recuperati dal mare. Un team di Medici Senza Frontiere (MSF), composto da una psicologa, mediatori e mediatrici interculturali, li ha assistiti durante il riconoscimento delle salme.
Tra loro c’era anche M., che ha fatto pattugliare il mare prima con un elicottero poi con uno yacht pagati a sue spese pur di ritrovare i fratelli. “Sono disposta a spendere qualsiasi cifra per ritrovare i loro corpi. Uno dei due aveva i segni delle torture subite in Iran, diverse cicatrici sul corpo, ma non è tra nessuna delle salme recuperate” ha raccontato M. ai team di MSF, dopo essere arrivata dalla Svezia.
“Quando ero soldato ho visto centinaia di morti, ma è straziante non riconoscere mio cugino e la sua famiglia tra queste foto”. A., iracheno, è arrivato da Londra e ha guardato una ad una le foto dei corpi recuperati cercando il cugino e sua moglie – incinta al nono mese – e le loro figlie di 9 e 12 anni. “Mia cugina ha venduto i suoi orecchini in Turchia per racimolare i soldi, hanno pagato per il viaggio della morte. Mia zia mi ha detto: ‘Portami almeno una parte del corpo di mio figlio, dobbiamo seppellirlo’”.
Dopo quasi un anno e mezzo dal naufragio di Cutro, le richieste di azioni serie e concrete continuano a risuonare a vuoto, mentre le grida di dolore si amplificano di fronte al silenzio delle istituzioni. Da allora nessuna iniziativa specifica è stata portata avanti, se non politiche di deterrenza e accordi con Paesi terzi pensati per fermare le partenze che continuano a causare tragedie in mare.
Oltre al primo decreto-legge del 2023 che ha messo in atto misure sempre più rigide per ridurre la capacità delle ONG attive nel Mediterraneo di essere presenti in mare e di effettuare soccorsi, il decreto Cutro, elaborato all’indomani della strage, non affronta le cause effettive che costringono le persone a fare viaggi sempre più pericolosi in assenza di vie legali e sicure, ma riduce la possibilità di protezione, minaccia con la detenzione chi sopravvive, riduce i diritti dei richiedenti asilo, introduce nuove misure di inammissibilità, facilita le espulsioni, aumenta le procedure accelerate di frontiera ed espone migliaia di persone migranti alla condizione di irregolarità. Misure che hanno il chiaro obiettivo di dissuadere e impedire gli sbarchi sulle coste italiane, anche se il prezzo da pagare sono le vite delle persone. Il recente accordo tra Italia e Albania si muove esattamente in questa direzione.
“Le storie di queste persone dimostrano come la mancanza di canali legali e sicuri siano la causa diretta della loro morte” dichiara Monica Minardi, presidente di MSF Italia. “Il governo italiano e i Paesi europei facciano qualcosa per prevenire ulteriori tragedie e le istituzioni si attivino per proteggere le persone nel rispetto della dignità di chi in mare è morto a causa della stessa inazione dei governi. Mentre politiche disumane distruggono intere famiglie, le coscienze dei decisori politici si sporcano con le vite di altri esseri umani cercando di passarlo sotto silenzio”.
A seguito di questo ultimo naufragio avvenuto di fronte alle coste italiane, MSF chiede che venga rispettata la dignità di chi è sopravvissuto, di chi è morto e dei familiari delle vittime, e che il governo si faccia carico delle spese per il rimpatrio delle salme e si organizzi un momento di commemorazione per le vittime del naufragio. Sono necessari, inoltre, un maggiore coordinamento e organizzazione per la gestione di emergenze simili e infine risposte, azioni e responsabilità da parte delle istituzioni italiane ed europee per impedire altre morti in mare, ripristinando innanzitutto un efficace dispositivo di ricerca e soccorso nel Mediterraneo.