Chi di voi ha mai provato a stare sei mesi senza stipendio? Chi di voi lo ha fatto dopo tre anni di lotta e un anno di cassa integrazione, arrivata in ritardo e a spizzichi e bocconi nel luglio dello scorso anno, dopo otto mesi senza reddito? Solo chi ha provato tutto questo può capire davvero quello che gli operai ex Gkn hanno chiamato “lo sciopero della vita”. E solo mettendosi in questa ottica si capisce come lo sciopero della fame sia una disperata e dignitosa forma di lotta, sospesa solo quando è stato avviato l’iter della legge regionale sui consorzi di sviluppo industriale, che potrebbe sbloccare la reindustrializzazione e quindi il reddito alla ex Gkn, fornendo allo stesso tempo uno strumento per tutte le altre crisi industriali. Lo sciopero della fame non si è concluso, è stato sospeso perché un primo risultato è arrivato, ma loro si dicono pronti a riprenderlo nel caso in cui la legge dovesse di nuovo arenarsi nei tempi della burocrazia.
Il tempo. Questo è il vero tema. C’è chi ne ha da sprecare in chiacchiere elettorali, chi ne ha da far passare in attesa che la disperazione porti sempre più persone a licenziarsi e chi invece non ne ha più. Lo sciopero della fame ha reso plastica questa asimmetria: il tempo, il tempo della fame, il tempo della violenza del capitale, il tempo della speranza.
Tutta la vicenda della ex Gkn è la storia di lotte, sempre diverse, capaci ogni volta di stupire ed entusiasmare, proprio perché propongono vie di uscita non solo per quegli operai, ma potenzialmente per tutte e tutti noi. È la storia dei risultati che queste lotte hanno portato, con la controparte obbligata a cambiare costantemente strategia, con le istituzioni costrette a farsi carico delle proposte degli operai e della comunità solidale che da tre anni li sostiene.
Lo sciopero della fame ha sbloccato l’iter di una legge arrivata sulle scrivanie virtuali della Regione all’inizio di aprile e ha portato il Presidente della Regione Toscana a chiedere ufficialmente il commissariamento di Qf. Quanto tempo ci è voluto? Il tempo del secondo festival di letteratura Working Class con 5mila persone in tre giorni sul piazzale davanti alla fabbrica; il tempo di un corteo di 10mila persone; il tempo di una tendata di oltre un mese, prima sotto la Regione poi in piazza Indipendenza; il tempo dei 13 giorni di sciopero della fame.
Rimane il tema degli stipendi, di quel reddito che proprio la legge regionale e la reindustrializzazione potrebbero sbloccare, prima con un ammortizzatore sociale legato al progetto di riconversione industriale della cooperativa operaia, poi con il ritorno a lavorare, produrre, pagare gli stipendi.
Prima però si deve commissariare Qf che, come definito anche dal Tribunale nella prima sentenza pilota, deve gli stipendi pieni ai 140 dipendenti rimasti, da gennaio ad oggi, ossia da quando la seconda procedura di licenziamento è stata annullata per comportamento antisindacale. Stipendi che continua a dire di non avere nessuna intenzione di pagare, in barba ad ogni legge dello Stato, ad ogni sentenza di Tribunale, ad ogni legittimità sociale conquistata sul campo.
La manifestazione del 18 maggio e la tendata che ne è seguita hanno tre obiettivi: stipendi, commissariamento di Qf, legge regionale. Uno sembra essere sulla buona strada, sugli altri invece il Governo continua a tacere. E allora no, non si torna a casa. Il presidio in piazza Indipendenza va avanti e si arricchisce di eventi. Sui monumenti della città si continuano a proiettare le parole d’ordine di questa lotta collettiva. La comunità si stringe sempre di più agli operai. Prendono forza le autoproduzioni, birra e cargobike, per sostenere chi sta resistendo alla violenza del capitale. E si prepara un nuovo grande evento per il 12 luglio, al terzo anniversario dell’inizio dell’assemblea permanente.
La lotta paga. È vero. E il Collettivo di Fabbrica ce lo ha dimostrato ancora una volta. Però, per parafrasare il monologo finale dello spettacolo “Il Capitale. Un libro che ancora non abbiamo letto” di Kepler-452: “Che cazzo di stanchezza”.