In Italia, circa 1,7 milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni non studiano, non lavorano e non sono impegnate/i in un percorso formativo da almeno 6 mesi, anche se tra il 2014 e il 2023 il tasso di incidenza NEET in Italia delle e dei giovani tra i 15 e i 29 anni è sceso di circa 10 punti percentuali: dal 26,3% si è passati al 16,1%. I principali miglioramenti si sono percepiti negli ultimi due anni. La quota di NEET nel 2023 è infatti diminuita di 3 punti percentuali rispetto all’anno precedente, e quasi 7,6 rispetto al 2020. Nonostante tale miglioramento, l’Italia si conferma però ancora come il secondo Paese nell’Ue con il più alto tasso di NEET, preceduto solo dalla Romania (19,8%), e lontano dalla media europea dell’11,7%. E’ quanto si legge nel policy paper di ActionAid e Cgil, diffuso in questi giorni.  

Occorre però puntualizzare che nel nostro Paese, come si sottolinea nel policy paper, quando si parla di NEET si fa riferimento alle e ai giovani di età compresa tra i 15-34 anni. Per questa fascia di età il tasso non è pari al 16,1%, bensì raggiunge il 18%. La maggior incidenza è dovuta al fatto che sono proprio le e i NEET di età compresa tra i 30 e i 34 anni a rappresentare la quota maggiore (34,7%) di giovani che non studiano e non lavorano, a cui fanno seguito le fasce di età 25-29 anni (31,2%), 20-24 anni (25,6%), e in ultimo 15-19 (8,4%).

Indagando un po’ più a fondo su chi sono i NEET, si scopre che l’88% di giovani che non studia e non lavora ha un livello di istruzione medio-basso. In particolare, il 51% ha un diploma – di scuola superiore di secondo grado (44%) o di qualifica professionale (8%) -, il 33% ha la licenza media e solo il 13% ha una laurea triennale o un titolo più alto. I dati Istat rivelano quindi che il titolo di studio può incidere sulla probabilità di entrare o uscire dalla condizione di NEET. Evidenziano, inoltre, un’importante correlazione tra la tendenza a ricadere in una condizione di inattività e il livello di istruzione medio-basso: tra le e i NEET inattive/i, infatti, il 50% è in possesso di un diploma di maturità o di scuola professionale, il 35% ha la licenza media, solo il 10% ha un titolo equiparabile o superiore alla laurea e il 4% ha la licenza elementare o non ha alcun titolo di studio. Un po’ più alti i titoli di studio delle persone in cerca di occupazione, di cui il 53% ha conseguito un diploma di maturità superiore o di scuola professionale, il 29% ha la licenza media e il 17% un titolo di studio universitario.

E anche sui NEET c’è una questione di genere: nell’ultimo decennio, la quota di donne NEET è rimasta sempre molto alta rispetto a quella degli uomini, peggiorando nell’ultimo anno. Nel 2023 il tasso è aumentato di circa un punto di percentuale, arrivando a sfiorare il 59%; e confermando, da un lato, la loro maggiore difficoltà a uscire da questa condizione e, dall’altro, la miopia delle politiche attuate rispetto ai bisogni specifici delle ragazze. La percentuale di donne NEET aumenta nel caso delle giovani di origine straniera arrivando a toccare il 73%. La maggiore incidenza di donne che non studiano e non lavorano si registra nei territori del Sud Italia e nelle Isole (Sicilia, Campania, Calabria, Puglia). Complessivamente, le donne hanno un’età maggiore rispetto agli uomini, il 40% ha infatti tra i 30 e i 34 anni, il 33% tra i 25 e i 29 anni, il 21% tra i 20 e i 24 anni e il 6% tra i 15 e i 19 anni. La quota più ampia di ragazzi in condizione di NEET ha invece tra i 20 e i 24 anni (32%); più numerosi rispetto alle donne risultano essere anche i giovani NEET tra 15 e 19 anni (12%). “Le ragioni di tale disparità, si legge nel report, possono essere diverse: da un lato, potrebbe esserci una maggiore tendenza dei ragazzi ad abbandonare precocemente i percorsi di istruzione, confermata anche dai dati riguardanti i titoli di studio che contano una quota di giovani NEET laureate (15%) maggiore di quella dei loro coetanei uomini (10%); dall’altro, la maggiore presenza di donne NEET nella fascia 30-34 anni potrebbe essere correlata alla tendenza delle giovani ad uscire dal mercato del lavoro a causa della necessità di gestire carichi di cura familiari. Una supposizione, quest’ultima, che potrebbe trovare conferma nei dati riguardanti le e i NEET inattive/i di cui le ragazze rappresentano la quota maggiore (65%): di queste, il 46% afferma che vorrebbe lavorare anche se non sta cercando un’occupazione, mentre tra le restanti il 30%, dichiara di non essere alla ricerca di lavoro perché impegnata nella gestione dei carichi di cura familiari di minorenni o persone non autosufficienti e il 21% per altri motivi familiari (es. è casalinga).” 

Sono il sud e le isole a registrare in generale più NEET: il 56% delle e dei giovani NEET risiede nei territori del Sud Italia e delle Isole, il 30% al Nord e il 14% al Centro. In particolare, il Sud Italia e le Isole registrano la più alta percentuale di NEET sia in termini di incidenza che di distribuzione. La Regione Sicilia ha il tasso di incidenza più alto (32,2%), seguita dalla Campania (31,2%) e dalla Calabria (30,3%). Se si considera, invece, la distribuzione delle e dei NEET a livello territoriale, al terzo posto, dopo Sicilia (18,5%) e Campania (15,9%), si trova la Lombardia (8,1%), che è però la regione con la maggiore densità di popolazione della penisola.

La CGIL e ActionAid lanciano però un forte allarme: si rischia di perdere ingenti risorse destinate ai NEET. Per far fronte al forte aumento di giovani in condizione di NEET, come si ricorderò, l’Unione europea ha promosso il primo intervento di politiche attive strutturato, Iniziativa occupazione Giovani (IOG), il principale strumento di attuazione del programma Garanzia Giovani (Youth Guarantee), rivolto agli Stati membri con un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 25%. Il nostro Paese è stato tra quelli destinatari delle risorse previste da IOG per l’attuazione di Garanzia Giovani (GG), con una dotazione finanziaria di circa 2,7 miliardi di euro (2,2miliardi a valere su fondi europei e circa 500 milioni di cofinanziamento nazionale a valere sul Fondo di rotazione. Tuttavia, secondo i dati resi disponibili da Anpal, nell’ambito del Comitato di sorveglianza del programma, ad aprile 2023 l’Italia risultava non aver speso il 37% della dotazione complessiva stanziata. Una tendenza, quest’ultima che trova riscontro anche nei dati più recenti della Ragioneria generale dello Stato, secondo cui le risorse ancora da impegnare sono pari a circa il 28% dei fondi del PON-IOG. A febbraio 2024, risultavano infatti impegnati solo 1,9 miliardi di euro, mentre i pagamenti certificati ammontavano a 1,6 miliardi, ovvero il 62% dei fondi stanziati. È doveroso però specificare che si tratta di dati che restituiscono un quadro provvisorio che, se confermato al termine della rendicontazione, richiederà all’Italia di restituire all’Unione europea circa 1 miliardo di euro, mancando l’opportunità di contrastare un fenomeno che si stima costi allo Stato italiano circa 25 miliardi l’anno, l’1,4% del PIL italiano23.

Qui il Report: https://actionaid-it.imgix.net/uploads/2024/06/GIovani_in_pausa_policy_paper.pdf.