Il caso di due donne, Marjan Jamali e Maysoon Majdi, arrestate dalla fine del 2023 dalle autorità italiane con accuse false e pretestuose di “scafismo”, e ancora dopo oltre 5 mesi sottoposte al regime di detenzione in Calabria, non può essere annoverato “semplicemente” come uno dei tanti che purtroppo conosciamo e che rappresentano una vergogna italiana, con centinaia di innocenti che dopo aver rischiato la vita in mare, diventano i capri espiatori utili alla narrazione governativa della “lotta agli scafisti”.

Perché queste due donne sono inseguite dal regime khomeinista iraniano e nel tentativo di fuggire alla sua furia stragista hanno dovuto intraprendere un viaggio per terra e per mare che le autorità democratiche e civili del nostro Paese continuano a trattare come “illegale”. Qui di illegale, e vergognoso, c’è solo il fatto che persone che fuggono da regimi sanguinari siano costrette ad affidarsi a viaggi pericolosi per poter salvare la loro vita e quella dei loro figli, perché non trovano altro modo possibile. Dove sono tutte le prese di posizione contro l’Iran e la sua dittatura dell’orrore, quando si tratta di ascoltare le richieste di aiuto di persone innocenti che chiedono asilo?

Ma qui, oltre all’ipocrisia, c’è qualcosa di più: Maysoon e Marjan sono state sbattute in galera appena sono arrivate vive sulle nostre coste. Attraverso false ricostruzioni, ottenute da testimoni che non avevano idea di cosa gli stessero facendo firmare contro Maysoon e Marjan, apparati legati alla Guardia di Finanza italiana e ai suoi “reparti speciali” hanno costruito l’accusa per queste due donne coraggiose di essere le “scafiste” e le hanno sbattute in cella nelle carceri di Castrovillari e di Reggio Calabria.

Dopo mesi solo Marjan ha ottenuto gli arresti domiciliari, mentre a Maysoon continuano a essere negati; entrambe hanno a loro carico reati che non solo non hanno commesso, ma che prevedrebbero pesantissime pene. Ma che significa che “avrebbero distribuito acqua e viveri” a bordo alle altre persone migranti? Che significa “che collaboravano con chi guidava per evitare che succedessero incidenti”? Quale sarebbe la colpa di due donne, in fuga dalla misogina follia di una dittatura brutale, che cercano di arrivare vive insieme ai loro compagni di sventura?

In realtà, per come sono state condotte le indagini, per i grossolani errori a partire dalla mancanza di traduttori decenti, per il trattamento duro fatto subire anche a una madre, Marjan, che è stata separata dal figlio di otto anni, abbiamo il legittimo dubbio che sotto questa storia già vergognosa di suo, si nasconda anche dell’altro. L’accanimento ingiustificabile non si spiega se non per i probabili rapporti internazionali di polizia, usati formalmente per “reprimere la criminalità e la tratta di migranti”, ma di fatto resi efficaci nel colpire due donne, una delle quali attivista riconosciuta, che si sono opposte al regime. Non è così? Lo dimostrino le forze di polizia e gli apparati di Stato italiani che non ci hanno messo lo zampino per fare un favore ai loro omologhi iraniani e turchi. Nei fatti la persecuzione contro Maysoon e Marjan è sotto gli occhi di tutti. Avviene in un Paese che dovrebbe proteggere, e non arrestare con accuse ridicole, chi fugge dalle dittature.

Ci uniamo a quante e quanti in questi mesi, a partire dalle realtà calabresi in difesa dei diritti umani, hanno tentato di far accendere i riflettori su questo incredibile caso. Il fondamentalismo, la sua logica di morte alla quale si oppongono donne e uomini coraggiosi in Paesi come l’Iran, che solo lo scorso anno ne ha impiccati a centinaia, evidentemente ha degli alleati anche dalle nostre parti. E quei Pubblici Ministeri che hanno imprigionato due donne innocenti, facendogli rivivere l’incubo dal quale credevano di essersi salvate, che cosa hanno da dire? Dormono sonni tranquilli? Si sentono a posto con la coscienza?

Il fallimento delle attuali politiche migratorie diventa sempre più evidente e straziante, a ogni naufragio, a ogni persona morta di stenti o di freddo lungo una frontiera, a ogni grido di dolore o richiesta di aiuto rimasta inascoltata. Nessuna frontiera esternalizzata, nessun lager, nessuna sottrazione di diritti può fermare persone che continuano a mettersi in movimento nel tentativo di garantire per sé e i propri cari una vita degna. Davanti a questi fallimenti, i nostri governi non hanno trovato soluzione migliore della criminalizzazione, non solo di chi si mette in movimento, ma anche di chiunque porga una mano, supporti, intervenga nel tentativo di salvare il maggior numero di vite possibili. È quello che succede ai cosiddetti “capitani”, vale a dire a quegli uomini e donne su cui si scarica indiscriminatamente la responsabilità delle rotte migratorie marittime. Uomini e donne arrestate sulla base di sommarie testimonianze prima ancora che riescano a mettere piede sulla banchina, traversate in mare che finiscono in carcere con la presunzione che essere anche solo seduti accanto a un motore significhi essere “scafisti”.

Poco importa se questa accusa infondata, spaventosa, che paventa decenni di carcerazione, è fatta contro persone inconsapevoli e incolpevoli. Poco importa se queste persone sono donne in fuga da regimi, come quello iraniano, che mettono in discussione proprio l’autodeterminazione e la libertà di espressione. Poco importa se alcune di quelle donne non hanno trovato altro modo di scappare dall’Iran se non salendo su un’imbarcazione di fortuna. Poco importa se quelle due donne si sono battute per quei diritti civili per i quali anche tantǝ nostrǝ rappresentantǝ di governo si sono schierati, tagliando ciocche di capelli o ripetendo, a favore di telecamera, il potente grido di lotta dell’Iran insorto: “Donna, vita, libertà”. Oggi due di quelle donne, che si sono battute in Iran per la vita e la libertà, sono detenute in Italia, in Calabria, dopo aver rischiato la vita in mare, con accuse infondate e pesantissime dalla fine del 2023.

Per Marjan Jamali, detenuta nel carcere di Reggio Calabria dallo scorso 27 ottobre, separata dal figlio di otto anni con cui era riuscita a fuggire, solo alla fine del mese di maggio sono stati previsti gli arresti domiciliari, nonostante l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina penda ancora sulla sua testa, accusa basata sulla testimonianza di chi, durante il viaggio, aveva tentato di stuprarle.

Per Maysoon Majdi, invece, la condizione è ancora più dura. Detenuta nel carcere di Castrovillari subito dopo l’arrivo sulle coste calabresi il 31 dicembre del 2023, provata da un lungo sciopero della fame, a oggi la sua detenzione per la medesima accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina non trova nessuno sbocco, nessuna decisione, nessuna soluzione. Lanciamo, accanto alla società civile calabrese, subito una mobilitazione perché Maysoon esca dal carcere ORA! Siamo stanchi di piangere morti per cui era possibile intervenire in tempo! Chiediamo l’immediata scarcerazione di Maysoon!

Chiediamo che vengano fatte cadere le assurde accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per le Capitane!

Maysoon e Marjian libere subito!