I laureati sono sempre meno disponibili ad accettare lavori a basso reddito o non coerenti con il proprio percorso formativo. A un anno dal titolo, infatti, tra i laureati di primo e di secondo livello, non occupati e in cerca di lavoro, la quota di chi accetterebbe una retribuzione a più di 1.250 euro è pari, rispettivamente, al 38,1% e al 32,9%; tali valori risultano in calo, nell’ultimo anno, rispettivamente, di 8,9 e di 6,8 punti percentuali. Inoltre, si dichiara disponibile ad accettare un lavoro non coerente con gli studi il 76,9% dei laureati di primo e il 73,0% di quelli di secondo livello; anche in tal caso si tratta di valori in calo, nell’ultimo anno, rispettivamente di 5,9 e 3,0 punti percentuali. Ciò si associa, peraltro, a un aumento della quota di chi dichiara di non lavorare e di non cercare lavoro per mancanza di opportunità di lavoro. Sono alcuni dei risultati della XXVI Indagine sulla Condizione occupazionale dei Laureati – Rapporto AlmaLaurea 2024.
Nel 2023 il tasso di occupazione è pari, a un anno dal conseguimento del titolo, al 74,1% tra i laureati di primo livello e al 75,7% tra i laureati di secondo livello del 2022. Si tratta di valori in calo nell’ultimo anno (-1,3 e -1,4 punti percentuali, rispettivamente). I laureati a tre e a cinque anni dal conseguimento del titolo evidenziano invece livelli occupazionali decisamente elevati: a tre anni dal conseguimento del titolo il tasso di occupazione raggiunge il 90,5% tra i laureati di primo livello e l’85,4% tra i laureati di secondo livello (rispettivamente, +0,2 e -0,5 punti percentuali, rispetto al 2022). A cinque anni dal conseguimento del titolo il tasso di occupazione è pari al 93,6% per i laureati di primo livello e all’88,2% per quelli di secondo livello. Il confronto con le precedenti rilevazioni conferma il trend di miglioramento dei livelli occupazionali dei laureati di primo livello, che nel 2023 raggiungono il più alto valore osservato in oltre un decennio (nell’ultimo anno l’aumento è di 1,5 punti percentuali). Tra i laureati di secondo livello, invece, il tasso di occupazione risulta in calo rispetto alla rilevazione del 2022 (-0,5 punti percentuali), pur rimanendo su valori molto elevati.
Anche le differenze territoriali, in termini di ripartizione geografica sia di residenza sia di studio, si confermano significative: quanti risiedono al Nord presentano una maggiore probabilità di essere occupati (+20,8%) rispetto a quanti risiedono nel Mezzogiorno; analogamente, per quanto riguarda la ripartizione geografica di studio, i laureati del Nord hanno il 39,3% in più di probabilità di essere occupati rispetto a quelli del Mezzogiorno. I laureati provenienti da famiglie nelle quali almeno un genitore è laureato mostrano una minore probabilità di occupazione (-9,4%) a un anno dal titolo, rispetto a quanti hanno genitori con titolo di studio non universitario. L’ipotesi sottesa a tale risultato è che il contesto familiare consenta ai laureati di poter scegliere di posticipare l’entrata nel mercato del lavoro, in attesa di una migliore collocazione. Ciò si inserisce in un contesto più ampio in cui la famiglia d’origine influenza sia le scelte formative sia quelle occupazionali dei laureati. A tal proposito, specifici approfondimenti hanno messo in relazione il percorso di studio universitario dei laureati con quello dei propri genitori, evidenziando come il fenomeno dell’ereditarietà del titolo di laurea risulti diffuso soprattutto tra i laureati dei percorsi universitari quali medicina e giurisprudenza che danno accesso alla libera professione. Peraltro, come è noto, si tratta di percorsi che richiedono un ulteriore ciclo di specializzazione per l’avvio della libera professione.
L’indagine evidenzia come anche le competenze informatiche esercitino un effetto positivo sulla possibilità di trovare un impiego entro il primo anno dal conseguimento del titolo: la probabilità di essere occupati, tra chi conosce almeno cinque strumenti informatici, è del 24,4% più alta rispetto a chi conosce al più due strumenti, confermando come la conoscenza di tali strumenti sia divenuta indispensabile nella società attuale. Uno studio specifico realizzato da AlmaLaurea ha approfondito la conoscenza degli strumenti informatici distintamente per uomini e donne, evidenziando l’esistenza di differenze nelle performance occupazionali e nelle caratteristiche del lavoro
Per quanto riguarda le retribuzioni, nel 2023, a un anno dal titolo, la retribuzione mensile netta è, in media, pari a 1.384 euro per i laureati di primo livello e a 1.432 euro per i laureati di secondo livello, valori, in termini reali, in calo nell’ultimo anno dell’1,4% per i laureati di primo livello e dello 0,5% per quelli di secondo livello. A tre anni dalla laurea la retribuzione mensile netta raggiunge i 1.606 euro per i laureati di primo livello e i 1.602 euro per i laureati di secondo livello, registrando un calo nell’ultimo anno (-0,7% e -1,6%, rispettivamente). A cinque anni dal conseguimento del titolo la retribuzione mensile netta è pari a 1.706 euro per i laureati di primo livello e a 1.768 euro per quelli di secondo livello. Anche a cinque anni dalla laurea si osserva una riduzione delle retribuzioni reali rispetto all’analoga rilevazione del 2022: -1,0% per i laureati di primo livello e -1,2% per quelli di secondo livello. ese. Si rilevano differenziali retributivi anche in termini territoriali: rispetto a chi è occupato nel Mezzogiorno, chi lavora al Nord percepisce, in media, 40 euro mensili netti in più, mentre chi lavora al Centro 26 euro in più. Ma è soprattutto tra i laureati che lavorano all’estero che il vantaggio retributivo si accentua sensibilmente (si tratta di circa 661 euro netti mensili in più rispetto a chi lavora nel Mezzogiorno). È opportuno, tuttavia, ricordare che le differenze nel costo della vita che caratterizzano i diversi Paesi, e le aree territoriali all’interno del medesimo Paese, sortiscono un impatto sulle retribuzioni, come evidenziato anche in vari studi su dati AlmaLaurea.
L’età alla laurea, per il complesso dei laureati nel 2023, è pari a 25,7 anni. L’età alla laurea si è ridotta in misura apprezzabile negli ultimi anni (era 26,6 anni nel 2013), anche se nell’ultimo anno la decrescita si è arrestata (+0,1 anni rispetto al 2022). Il 61,5% dei laureati del 2023 ha concluso il corso di laurea nei tempi previsti dagli ordinamenti. Fino al 2022 si è registrato un miglioramento costante e marcato della regolarità negli studi (anche per effetto della proroga della chiusura dell’anno accademico concessa agli studenti per l’emergenza Covid-19); nel 2023 si è però assistito, per la prima volta dopo 12 anni, a un lieve ridimensionamento della quota di laureati regolari (-1,0 punto percentuale rispetto al 2022, nonostante la conferma della proroga della chiusura dell’anno accademico).
Il Profilo dei laureati 2023 conferma che la mobilità per ragioni di studio è in tendenziale aumento. Si conferma la direzione Sud-Nord: il 28,5% dei laureati che ha conseguito il diploma al Mezzogiorno ha scelto un ateneo di una ripartizione geografica diversa (il 14,5% tra i laureati diplomati al Centro e il 4,0% tra quelli del Nord). Tale quota è in costante aumento: era il 23,2% nel 2013. Inoltre, si conferma la maggiore propensione alla mobilità per ragioni di studio dei laureati che provengono da contesti più favoriti: il 33,5% dei laureati del Sud che si sposta in atenei del Centro-Nord proviene da contesti più favoriti rispetto al 23,6% di chi invece proviene da contesti meno favoriti.
Si conferma, infine, che oltre la metà dei laureati in Italia è di genere femminile: nel 2023 è il 60,0%, quota che risulta tendenzialmente stabile negli ultimi dieci anni. Le donne hanno un’incidenza più alta nei corsi magistrali a ciclo unico: 68,6% rispetto al 57,7% nei magistrali biennali e al 59,7% nei corsi di primo livello.
Qui per la documentazione completa relativa al Rapporto AlmaLaurea 2024: www.almalaurea.it/i-dati/le-nostre-indagini/condizione-occupazionale-laureati.