1. Per Marjan Jamali, cittadina iraniana fuggita dal suo paese da violenze familiari dalle quali non trovava alcuna protezione, anche l’arrivo in Italia si è trasformato in una vera e propria persecuzione, questa volta a livello istituzionale. Marjan, assistita dall’avvocato Giancarlo Liberati, è stata portata negli scorsi giorni davanti il Tribunale di Locri nel processo che la vede imputata con l’accusa di aver svolto il ruolo di scafista, dopo lo sbarco e l’arresto nel porto di Roccella Jonica, nell’ottobre 2023. Un processo avviato sulla base di accuse assunte come indizi di prova dagli inquirenti, provenienti da tre uomini che la avrebbero abusata, ma che sono stati ritenuti nei primi interrogatori come testimoni attendibili. Dopo le prime settimane in carcere, è stata rinchiusa addirittura nel carcere psichiatrico di Barcellona Pozzo di Gotto, sotto osservazione, per un mese, dopo avere assunto sedici pillole di calmanti. anche a seguito della separazione del figlioletto di 8 anni. Lo scorso marzo il Tribunale del riesame di Reggio Calabria aveva rigettato la richiesta degli arresti domiciliari avanzata dal suo avvocato. Marjan, il 27 maggio, ha finalmente ottenuto dal Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, gli arresti domiciliari e si è potuta ricongiungere con il suo bambino.
Numerose irregolarità, ed un clima di opacità, hanno caratterizzato le indagini e le fasi preliminari del processo, anche per l’assenza di mediatori linguistico-culturali. Come denunciato dalla “Rete 26 febbraio”, il Tribunale di Locri aveva infatti rigettato la richiesta di poter effettuare riprese fotografiche, al fine di “evitare un’eccessiva esposizione mediatica del processo”. L’avvocato difensore ha sottolineato le difficoltà riscontrate nell’accesso agli atti del procedimento ed ha depositato contestualmente la ricevuta del pagamento dei 14.000 dollari versato dalla famiglia di Marjan ad un’agenzia turca, come pagamento del viaggio suo e del figlio per l’Europa. La prossima udienza è fissata per l’8 luglio, anche se appare sempre più evidente come la ragazza sia stata vittima oltre che di violenza sessuale anche di calunnia.
Secondo quanto riferito dal ministro Nordio, a seguito di una interrogazione parlamentare sul caso, “dalle relazioni trasmesse dal presidente della Corte d’appello di Reggio e dal procuratore generale è emersa l’assoluta linearità dell’operato dell’autorità giudiziaria. Con riguardo, ai rilievi circa l’assenza di un interprete della lingua madre della donna in occasione del compimento dei primi atti processuali, secondo quanto riferito dalle autorità interpellate durante le operazioni di soccorso, le persone sottoposte a fermo, tra cui la donna, sono state assistite da due ausiliari nominati dalla Polizia giudiziaria, di cui uno di lingua curdo iraniana”. Evidentemente però gli interpreti nominati dalla polizia non sono riusciti a trasmettere le accuse di Marjan contro i suoi aguzzini, o la polizia ha preferito ritenere più attendibile la loro versione dei fatti. Fatti che sorprendono, non risultano infatti altri casi in cui una “scafista” abbia compiuto una traversata portandosi dietro il proprio bambino.
Adesso, con il prevalere della logica del capro espiatorio, si utilizzano le prime deposizioni assunte subito dopo lo sbarco (S.I.T.) per individuare “scafisti”, anche giovani donne, del tutto estranee ad organizzazioni criminali, ma da dare in pasto ad una opinione pubblica indifferente alle continue stragi, come quelle che si sono verificate in questi ultimi giorni, ma compiaciuta delle false rassicurazioni sul contrasto dell’immigrazione irregolare, che accompagnano ritualmente questi arresti. Soprattutto dopo il cd. Decreto Cutro sembra quasi sfumare la distinzione tra scafisti e trafficanti. E magari i veri trafficanti, o gli scafisti inseriti nelle organizzazioni criminali, che orchestrano queste trappole, nelle quali cadono inquirenti sempre più ansiosi di fornire bilanci eclatanti per il numero degli arrestati, riescono a fuggire. Nessuno sembra percepire le violenze e gli abusi che le donne possono subire, nel loro paese di origine, nei paesi di transito, e durante la traversata verso le coste italiane. E la violenza finale consiste nella calunnia, nell’accusare persone innocenti per facilitare la fuga di trafficanti e scafisti. Oppure si tratta di accuse estorte con la promessa di un rilascio immediato, e quindi chi trova conveniente accusare un compagno di viaggio, magari con la connivenza, se non l’insipienza, di un interprete, riesce a proseguire la sua fuga verso il paese europeo di destinazione.
2. Si trova ancora detenuta nel carcere di Castrovillari, Maysoon Majidi, regista ed attivista che in Iran si batteva per i diritti umani, per questo perseguitata dal regime e costretta alla fuga, prima in Iraq e poi dalla Turchia, verso l’Italia. Maysoon, subito dopo lo sbarco in Calabria, il 31 dicembre 2023, veniva arrestata con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
A marzo scorso, dal Tribunale di Crotone, era stato fissato un incidente probatorio con i due testimoni di accusa che, secondo gli inquirenti, avrebbero denunciato il ruolo di “scafista” della donna, perchè durante la traversata avrebbe distribuito il cibo agli altri migranti a bordo del battello in navigazione verso l’Italia. Come si è verificato in molti altri casi simili, i due testimoni avevano poi lasciato l’Italia per trasferirsi nel paese di destinazione finale, uno di loro in Germania. Nelle loro successive dichiarazioni escludevano che la donna fosse una scafista. La principale accusa rimasta in piedi contro Maysoon sembra costituita da una ripresa proveniente dal telefonino dalla stessa attivista durante la navigazione, che, secondo gli investigatori, sarebbe la conferma che lei era una scafista in quanto avrebbe avuto libero accesso alla coperta della barca. Una tesi contro cui l’avvocato di Maysoon ha presentato al gip un altro video, girato da un migrante che era su quella stessa barca, e nel quale si vedono decine di persone in coperta. Dovrebbe essere infatti di comune esperienza, e putroppo e’ confermato anche dagli sviluppi delle indagini sulla strage davanti Steccato di Cutro, come sui barconi in rotta dalla Turchia verso l’Italia le persone venano tenute generalmente sotto coperta, per sfuggire alle rilevazioni aeree dei mezzi di Frontex, ed ai controlli a vista effettuati dalle motovedette della Guardia di finanza, e vengono portate all’aperto ogni tanto, solo per qualche minuto, tanto per respirare un poco di aria pulita. Magari poi, in prossimità delle coste italiane, i video vengono inviati ai parenti per confermare la sopravvivenza alla traversata. Come è successo a bordo del caicco naufragato sulle secche di Steccato di Cutro, come succedeva a bordo del barcone sul quale si trovava Maysoon, che almeno non è affondato.
Il primo interrogatorio di polizia giudiziaria subito dopo lo sbarco, definito come SIT (sommaria informazione testi), non è stato registrato e si è svolto con interpreti che non erano in grado di comprendere compiutamente quanto dichiarato da Maysoon. Da qui molte discrepanze su quanto poi accertato dagli inquirenti. Successivamente uno dei due testimoni, raggiunto dall’avvocato difensore in un centro per richiedenti asilo in Germania, mentre la polizia italiana non aveva saputo (o voluto) rinntracciarlo attraverso canali istituzionali, ha spiegato di non avere accusato la donna di essere una complice dello scafista, come confermato anche da quest’ultimo dopo l’arresto. E in un successivo interrogatorio durato ben nove ore Maysoon forniva tutte le spiegazioni richieste dagli inquirenti. Lo scorso 14 maggio però, la Giudice delle indagini preliminari (GIP) del Tribunale del Riesame di Crotone ha respinto una nuova istanza di concessione dei domiciliari che era stata avanzata dal difensore, l’avvocato Giancarlo Liberati, all’esito di questo interrogatorio, non ravvisando elementi di novità. Come riferisce il Quotidiano del sud, “nel provvedimento viene richiamato il parere contrario della pm Rosaria Multari fondato su una serie di elementi discordanti tra la versione dell’indagata e le risultanze della guardia di finanza che ha condotto le indagini sullo sbarco del 31 dicembre scorso”.
Nell’ordinanza del GIP del Tribunale di Crotone che si conforma al parere contrario del
Pubblico Ministero, l’istanza difensiva veniva rigettata in quanto secondo il magistrato giudicante, in merito alla sussistenza degli indizi gravi “… si fonda essenzialmente su una rilettura del compendio indiziario e sul tentativo di confutarne l’inequivocità – per come ritenuta nell’ordinanza di convalida e applicazione di misura” ed ancora perché “…le deduzioni e le argomentazioni espresse nell’istanza…” non venivano ritenute “…idonee a scalfire le valutazioni espresse nell’ordinanza suddetta…omissis…dove a carico dell’indagata emergevano plurimi elementi oggettivi relativamente al fumus del delitto a lei ascritto”
Il ricorso dell’avvocato di Maysoon, per ottenere almeno gli arresti domiciliari, è stato respinto in quanto il giudice delle indagini preliminari ha ritenuto che proprio il fatto che l’avvocato avesse potuto contattare testimoni in Germania, a suo dire “irritualmente”, costituiva una prova ulteriore del pericolo di fuga dell’imputata. Secondo la procura, quindi, non ci sarebbero elementi “per ritenere attenuata le esigenze cautelari posto che non può escludersi il pericolo di fuga alla luce del tentativo di fuga del 31/12/2023 ed alla manifesta volontà della Maysoon di raggiungere la Germania espressa in sede di interrogatorio ed il pericolo di inquinamento probatorio posto che, come emerso in sede di incidente probatorio, per dichiarazioni del difensore dell’indagata, questi avrebbe contatti costanti con i migranti escussi come testimoni”. In questo modo però si cancella la portata sostanziale dei diritti di difesa dell’imputato che, attraverso il proprio avvocato, deve essere messo nella condizione di acquisire e produrre davanti all’autorità giudiziaria tutti gli elementi di prova a suo discarico.
Era stato lo stesso avvocato, nel pieno esercizio dei suoi poteri di svolgere indagini difensive, e non Mayson dunque, che aveva fatto una videochiamata ad uno dei due testimoni di accusa adesso in Germania, alla quale l’uomo ha risposto senza problemi: Era lo stesso difensore ad affermare: “Secondo la polizia giudiziaria, ovverosia la squadra navale della Guardia di Finanza di Crotone, il testimone è irreperibile. Io vi ho dimostrato che può essere contattato senza problemi. Lui si trova in un centro immigrazione gestito dallo Stato tedesco, il Campo Tegel di Berlino e non ci vuole niente a contattarlo. Non capisco come mai la polizia tedesca, ove sollecitata da quella italiana, non abbia trovato quest’uomo”. Lo stesso faceva poi notare una serie di anomalie nelle fasi iniziali del procedimento: “Il primo errore madornale, oserei dire grossolano, è che la richiesta di incidente probatorio è stata formalizzata il 26 febbraio, quindi dopo circa due mesi dallo sbarco. L’incidente probatorio si fa dopo una settimana, entro tempi precisi. Il 26 febbraio è una data troppo lontana nel tempo e in quei mesi i migranti testimoni non sono rimasti in Italia ad aspettare di essere convocati: se ne sono andati in nazioni dove loro ritengono siano più tutelati, nella fattispecie la Germania e l’Inghilterra”.