1. Di fronte al blocco delle procedure accelerate in frontiera, ed alla impraticabilità della loro esternalizzazione in Albania, il ministro dell’interno Piantedosi è stato costretto ad adottare l’ennesimo decreto per evitare censure sulla questione della garanzia finanziaria come misura alternativa al trattenimento amministrativo per i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine definiti “sicuri”. Questioni in parte rilevate anche dalla Corte di Cassazione, ed attualmente sotto esame da parte della Corte di Giustizia dell’Unione europea, su ricorsi dell’Avvocatura dello Stato, dopo che i giudici del Tribunale di Catania avevano deciso che gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33/UE “devono essere interpretati nel senso che ostano, in primo luogo, a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità, in secondo luogo, a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga il trattenimento e senza che siano state esaminate la necessità e la proporzionalità di una siffatta misura” (CGUE -Grande Sezione-, 14 maggio 2020, cause riunite C-924/19 PPU e C-925/19 PPU)”. Magari in questo modo il governo pensa di eliminare ulteriori ostacoli legali per l’avvio dei centri previsti dal Protocollo Italia-Albania.

I richiedenti asilo, provenienti da “paesi di origine sicuri”, per evitare il trattenimento amministrativo dopo il loro arrivo in Italia potranno versare, o fare versare da propri congiunti, una cauzione da 2.500 a 5.000 euro, determinata “senza indugio dal questore”, con valutazione “caso per caso e tenuto conto della situazione individuale dello straniero”. Lo prevede un decreto del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi del 10 maggio 2024, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 19 giugno scorso, che modifica il precedente decreto ministeriale del 14 settembre 2023 “al fine di assicurare la flessibilità alla prestazione della garanzia finanziaria anche dal punto di vista soggettivo, sulla base di una valutazione effettuata caso per caso”.

 

2. Con il decreto firmato da Piantedosi il governo riconosce il proprio errore, frutto di una prima applicazione del decreto Cutro (legge n.50 del 2023), dando di fatto ragione ai giudici del Tribunale di Catania che lo scorso anno, con diverse decisioni, non avevano convalidato provvedimenti di trattenimento amministrativo adottati in modo generalizzato dal questore di Ragusa nei confronti di richiedenti asilo provenienti da “paesi di origine sicuri” e ristretti nel centro “hotspot” di Pozzallo-Modica. In quell’occasione la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva insultato i magistrati dichiarando che “un pezzo di Italia fa tutto il possibile per favorire l’immigrazione illegale” innescando una campagna denigratoria che aveva toccato anche la sfera personale dei giudici catanesi, che si erano orientati in senso difforme da quanto atteso dal governo, nella quale si sarebbe potuto configurare anche un grave vilipendio dell’ordine giudiziario.

Dopo le prime decisioni della dott.ssa Apostolico, per settimane al centro di un vero e proprio linciaggio mediatico, con il contributo del vice-premier Salvini, Giorgia Meloni dichiarava di essere “basita di fronte alla sentenza del giudice di Catania, che con motivazioni incredibili (le caratteristiche fisiche del migrante, che i cercatori d’oro in Tunisia considerano favorevoli allo svolgimento della loro attività) rimette in libertà un immigrato illegale, già destinatario di un provvedimento di espulsione, dichiarando unilateralmente la Tunisia Paese non sicuro (compito che non spetta alla magistratura) e scagliandosi contro i provvedimenti di un governo democraticamente eletto”. Ed il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva annunciato l’intenzione di impugnare la prima decisione, e poi tutte le altre, della dott.ssa Apostolico del dott. Cupri in Cassazione: “Dalla lettura dell’atto siamo convinti che abbiamo ragioni da sostenere”. Adesso quelle ragioni sono smentite per decreto a firma dello stesso ministro dell’interno.

 

3. Nei casi di mancata convalida dei trattenimenti nel centro Hotspot di Pozzallo, il giudice Cupri metteva in evidenza la questione nodale :“preme sottolineare che il trattenimento deve considerarsi misura eccezionale e limitativa della libertà personale” e che “la misura del trattenimento deve essere regolata e adottata sempre nei limiti e secondo le previsioni del diritto comunitario”. Si richiamava poi l’indirizzo della Corte Costituzionale secondo cui “la normativa interna incompatibile con quella dell’Unione va disapplicata dal giudice nazionale”. Infine, questo giudice condivideva le “precedenti decisioni” del tribunale di Catania (della dott.ssa Apostolico) osservando a sua volta che la “garanzia finanziaria non si configura, in realtà, come misura alternativa al trattenimento bensì come requisito amministrativo imposto al richiedente prima di riconoscere i diritti conferiti dalla direttiva 2013/33/Ue per il solo fatto che chiede protezione internazionale”.

Il nuovo decreto ministeriale che adesso corregge la normativa in materia di cauzione che potrebbe essere versata “caso per caso” dai richiedenti asilo provenienti da “paesi di origine sicuri”, per evitare il trattenimento amministrativo, non modifica altre parti del Decreto Cutro (legge n.50 del 2023) che rimangono in contrasto con le vigenti direttive europee in materia di protezione internazionale. Questioni che non potranno sfuggire al vaglio della Corte di Giustizia UE, e che rendono ancora impraticabili, anche da un punto di vista giuridico, oltre che per i ritardi nella logistica, le procedure accelerate in frontiera nei nuovi centri di detenzione che si vorrebbero avviare in Albania.  La Corte di giustizia UE può rilevare d’ufficio “sulla base degli elementi del facicolo portati a sua conoscenza, come integrati o chiariti nel corso del contraddittorio espletato dinanzi ad essa, l’eventuale mancato rispetto di un presupposto di legittimità, sebbene non dedotto dall’interessato” (Corte di Giustizia, grande sezione, 8 novembre 2022, cause C-704/20 e C-39/21).  La giurisprudenza della Corte di Giustizia UE ha un effetto immediato nell’ordinamento interno e riconosce nel suo complesso al giudice nazionale il potere di disapplicare la norma interna che contrasta con il diritto dell’Unione europea. E nello stesso senso è orientata la Corte costituzionale italiana. La normativa interna incompatibile con quella dell’Unione va dunque disapplicata dal giudice nazionale (Corte cost., 11 luglio 1989, n. 389).

leggi anche la versione A-dif