L’uccisione del diciassettenne Thomas Luciani a Pescara ha colpito l’opinione pubblica per vari motivi. Primo, la ferocia con cui è stato compiuto il delitto e il totale disprezzo della vittima: 25 coltellate inferte senza pietà da due coetanei i quali, mentre il ragazzo stava morendo, gli dicevano “stai zitto” e, sembra, gli sputavano addosso e gli spegnevano anche la sigaretta sul viso. Secondo, la futilità della motivazione: un debito per droga di 200 euro. Terzo, Il comportamento del “branco” dopo l’omicidio: tutti sono andati al mare come se nulla fosse successo, non solo i due presunti assassini ma anche chi aveva assistito o comunque era venuto a sapere del delitto. Quarto, L’illusione di poterla fare franca: non si preoccupano neppure di occultare il cadavere e tra loro, a quanto sembra, fanno il patto di non parlarne ad altri. Solo uno dei ragazzi avrà un rimorso di coscienza e la sera stessa farà scoprire il tragico fatto di sangue. 

Non siamo di fronte ad un classico delitto di camorra, maturato in ambienti degradati culturalmente e socialmente. No, i presunti assassini di Thomas sono due liceali appartenenti a famiglie “per bene”, cioè della media borghesia, figli di una avvocata e di un maresciallo dei carabinieri. E’ questo che allarma di più e che fa assumere un significato ancora più inquietante alle domande: come è potuto succedere? Se è accaduto in una città come Pescara allora non potrebbe accadere ovunque? 

L’errore più grande da evitare è quello di pensare che da un lato vi siano adolescenti malati e dall’altro una realtà sana. Non si nasce assassini, né complici né omertosi. I giovani sono il prodotto di quel contenitore che chiamiamo società. La famiglia e la scuola incontrano sempre più difficoltà nello svolgere quella funzione formativa della personalità che per definizione spetta loro; Il ruolo delle istituzioni nell’attuare politiche giovanili e nel fornire spazi di crescita culturale e di socializzazione è pressoché nullo e le associazioni, di volontariato e non, solo in minima parte possono riempire il vuoto esistente. Gli adolescenti si rivolgono sempre di più a quei modelli che la società offre loro e che i media e soprattutto i social provvedono a diffondere e ad amplificare.  

Chi ha insegnato agli adolescenti a mettere al primo posto il dio denaro se non noi adulti? Chi li ha educati a pensare che quello che conta è avere il potere e il successo a tutti i costi se non noi adulti? Chi ha inoculato in loro il virus del cinismo, del disprezzo e dell’indifferenza verso i più deboli e le più deboli se non noi adulti? Se la considerazione che gli adulti hanno degli altri esseri umani è quella di lasciarli affogare mentre cercano disperatamente una possibilità di vita o di sfruttarli, lasciarli morire e poi abbandonarli come rifiuti, come si può pretendere che gli adolescenti seguano il principio di amare gli altri come se stessi? Se gli adulti, per regolare le loro controversie internazionali non conoscono altra soluzione che quella dell’assassinio di massa in guerre infinite in cui vengono utilizzate tutte le armi più micidiali, con quale credibilità si chiede ai nostri ragazzi di avere rispetto della vita umana? 

Certo, la legge dovrà fare il suo corso e chi si è macchiato di questo atroce delitto dovrà pagare per quello che ha fatto. Ma non si può pensare che basti l’applicazione delle pene, per quanto severe esse siano, per dire di aver fatto giustizia. Fino a quando non avremo il coraggio di rivoluzionare la nostra scala di  pseudo valori, non quelli ai quali ipocritamente diciamo di ispirarci, ma quelli che concretamente costituiscono i capisaldi della nostra società malata; fino a quando non saremo in grado di costruire una diversa prospettiva di futuro per i nostri figli, che non sia la legge della giungla ma  una vera convivenza umana, al di là di ogni frontiera nazionale, razziale e culturale, una convivenza che abbia come fondamenta il rispetto dell’altro, la solidarietà, la giustizia sociale  e  la nonviolenza, potremo strapparci le vesti di fronte a fatti terribili come quello di Pescara ma dovremo essere consapevoli di non aver fatto nulla per evitare che essi si ripetano.