Arrivo in ritardo all’assemblea prevista per le 19:30 all’Acampada di Viale delle Scienze: ho perso la cognizione del tempo, impegnata com’ero a perorare la causa della pace contro ogni guerra imperialista, a difesa di tutti e tutte le oppresse, nel grande mondo più o meno distante come nelle strade e nei quartieri della mia città di cui questo pomeriggio, in uno spazio recuperato al decoro, si è presentato un libro che ne racconta una magnifica stagione di politica a misura d’uomo, quella dell’esperienza di Una città per l’uomo, appunto, che vide protagonisti anche i miei genitori.

Ma il tempo corre veloce non solo per me e oggi sembra non raccogliere i frutti di quella stagione. Eppure io so dove andare. Dopo il concitato confronto di adulti che faticano a vedere nei più giovani impegno ed entusiasmo, io mi precipito da loro, i miei e le mie ragazze dell’Acampada. Quelli e quelle che, affrontando il disagio dell’attendarsi anche sotto la pioggia, dopo ventotto giorni di assemblee, dibattiti, cortei, cene a tarda sera e condivisione di spazi e tempi in condizioni non troppo agiate, stamattina hanno ottenuto quello che chiedevano, almeno in parte, come bene ha prima, dall’altra parte della città, sintetizzato anche il sociologo intervenuto alla presentazione del libro.

La differenza tra me e lui è che quello che chiedono ragazzi e ragazze, lo chiedo anch’io. Unipa, l’ateneo palermitano, interromperà tutti gli accordi con Israele.

Così ora loro levano le tende, ma non fermano la mobilitazione. Hanno chiarissimo che l’Acampada è ed è stata solo un momento straordinario dell’Intifada studentesca. Anche stasera li trovo seduti in cerchio, al buio, intenti in un confronto senza prevaricazioni nelle voci, con i giovani della comunità palestinese, rappresentanza di Voci nel silenzio, per il coordinamento regionale per la Palestina. L’applauso stasera è tutto per loro. Per questo successo, certo, ma anche per la capacità di guardare oltre, di cercare altre forme di lotta anche in vista della prossima seduta del Senato Accademico.

Non si faranno intimidire, non permetteranno che la diplomazia “democristiana” del potere li metta a tacere: vogliono lanciare il cuore oltre l’ostacolo, come ripetono. Le proposte di iniziative si moltiplicano, lì, presso l’edificio 1213, il loro spazio liberato, nella consapevolezza di essere, dopo il successo di oggi, elemento di spinta per tutte le altre mobilitazioni studentesche in Italia e di questo sentono forte la responsabilità.

Bisogna proteggere, tutelare, consolidare il risultato senza perdere di vista l’intervento sul piano nazionale. Se ci sarà una seconda ondata del movimento dell’Acampada, sono pronti a ricominciare. Oggi, mentre inizia a piovere, come quando hanno tirato su le tende, si apprestano a smontare il campo.

Questo, mi dicono, è solo un primo capitolo. L’obiettivo è la fine del colonialismo e la liberazione della Palestina.

Devono ancora cenare, ordineranno delle pizze. Così anch’io, prima di tornare a casa, ne compro una per me. Continueremo a condividere pasti e parole, pratiche e impegno anche ora che, come dice più d’uno di loro, “alleggerire il quotidiano” darà più tempo e slancio per parlare al mondo.