Poca visione e impegno non sufficiente sui nodi strutturali sono la causa delle crisi di oggi e di domani, sottolinea il “Civil 7” la coalizione della società civile di cui Rete Pace Disarmo è parte che – in vista del G7 – ha elaborato proposte collettive per un mondo più giusto e in Pace.
Le profonde disuguaglianze, la violazione dei diritti umani, le minacce al pianeta, la fragilità della pace globale richiedono la massima urgenza e azioni concrete di cooperazione multilaterale. È necessaria una “nuova agenda di pace” per superare l’attuale policrisi che colpisce soprattutto le donne, i bambini, i giovani e i più emarginati. Un’agenda in grado di garantire un futuro di diritti e di sviluppo sociale e personale per tutti, costruita sul rispetto di regole condivise, come il diritto internazionale, il diritto internazionale umanitario e i diritti umani, l’Agenda 2030. Un’agenda di pace capace di consolidare il ruolo degli organismi multilaterali internazionali chiamati a far rispettare queste regole, evitando doppi standard e attacchi alle istituzioni.
La sicurezza collettiva deve essere vista come un pilastro della “pace positiva”, a partire dall’idea che gli Stati debbano perseguire una sicurezza reciproca piuttosto che quella a spese di un altro Stato. Il G7 dovrebbe investire nella fiducia, nella solidarietà, nell’universalità e nel disarmo globale (sia nucleare che convenzionale) invece che in un “confronto muscolare”. Le risorse dovrebbero essere destinate ad affrontare le sfide strutturali e sistemiche, per perseguire la giustizia e la sostenibilità per tutti. È per questo che il sostegno quasi incondizionato del G7 all’Ucraina deve essere orientato in questa prospettiva.
Sul Medio Oriente: il C7 accoglie con favore il fatto che il G7 – per la prima volta – abbia riconosciuto il suo sostegno al ruolo centrale della società civile nella costruzione della pace, rispondendo all’appello della società civile globale. Allo stesso modo, va accolto con favore l’invito a un “cessate il fuoco immediato e totale” derivante dalla recente risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Tuttavia, nella dichiarazione più lunga degli ultimi anni del G7 su Israele-Palestina, non c’è un linguaggio preciso sull’occupazione militare israeliana, né chiarezza su come si possa costruire un percorso diplomatico capace di porvi fine e garantire sicurezza e autodeterminazione a entrambi i popoli.
Nel comunicato manca ancora un accenno all’accesso umanitario immediato e senza restrizioni per la popolazione, così come il riferimento a piani di partecipazione per la ricostruzione della Striscia di Gaza. Il G7 deve garantire che le sue politiche economiche e gli accordi con Israele non favoriscano un potenziale genocidio – un obbligo dei firmatari della Convenzione sul genocidio e del diritto umanitario internazionale – ricorrendo ad azioni conseguenti, come la sospensione della vendita di armi.
Solo poche righe sono dedicate al Libano, dove la situazione umanitaria è molto grave. Non possiamo permetterci alcuna escalation su quel fronte, perché avrebbe conseguenze pesanti per la popolazione civile già provata da anni di crisi economica e perché potrebbe innescare conseguenze nella regione difficilmente gestibili. Infine, è emblematico come la questione yemenita venga affrontata solo dal punto di vista degli interessi commerciali (occidentali) senza dedicare una sola parola al perdurare del conflitto nel Paese, al sostegno al processo di pace e al supporto a una popolazione stremata da anni di continue sofferenze e insicurezza alimentare.
Nessun progresso sulla riduzione del debito. Il comunicato del G7 riconosce l’aumento dell’onere del debito, ma si limita a promuovere l’attuazione del Quadro Comune, un processo che si è rivelato insufficiente per una risoluzione del debito. Inoltre, la citata Tavola Rotonda Globale sul Debito Sovrano (Global Sovereign Debt Roundtable, GSDR) è ancora uno spazio esclusivo, in cui non tutti i Paesi sono allo stesso tavolo. Il C7 ribadisce l’invito ad andare oltre il Quadro Comune, verso un quadro giuridico multilaterale sul debito con un processo che non sia coordinato dai creditori. Questo deve essere elemento chiave di una rinnovata architettura finanziaria internazionale, in grado di rispondere a un’analisi completa dei bisogni, che includa anche, ma non solo, le clausole di debito resilienti per il clima (CRDC), basate sulle Agende 2030 nazionali e globale, un sistema di tassazione internazionale più equo e che coinvolga la partecipazione della società civile per promuovere il monitoraggio pubblico e la trasparenza.
È tempo di agire sul clima. Servono piani e tappe concrete per uscire dai combustibili fossili. In tutto il mondo, comunità, persone e natura soffrono sempre di più per gli impatti della crisi climatica e della perdita di biodiversità. Gli effetti di eventi estremi e siccità ormai stanno “mordendo” le economie più ricche e devastando i Paesi più vulnerabili. I leader G7 hanno ripreso le conclusioni della Ministeriale Clima, Energia e Ambiente di Torino confermando l’impegno a limitare il riscaldamento globale a 1,5°C e la decisione della COP28 di Dubai di “transitare fuori dai combustibili fossili “. Tuttavia, dal summit di alcune delle maggiori economie del mondo ancora non sono venuti piani e tappe precisi per uscire dal gas e dal petrolio, mentre lo si è fatto sul carbone, decidendo di abbandonarne l’uso nei primi anni dal 2030
Inammissibile che ancora si pensi di investire sul gas, quando la scienza oggi ci dice che dobbiamo cominciare a smantellare le infrastrutture esistenti. Bene che si concordi di definire obiettivi di sostegno finanziario sia nell’ambito della Convenzione sul Clima/Accordo di Parigi, sia in quella della Convenzione sulla Biodiversità; ci aspettiamo che seguano passi concreti nei prossimi mesi. Sul clima e sulla difesa della natura, il G7 ha una responsabilità enormemente sproporzionata rispetto agli altri Paesi per la crisi climatica e la perdita di biodiversità, ma anche risorse e capacità di risposta smisurate: l’azione è ancora troppo lenta, mentre la crisi climatica va sempre più veloce.
Necessità di fatti sulle politiche alimentari. Il comunicato del G7 lancia alcuni segnali, ma non si vedono ancora i fatti. L’azione principale è il lancio dell’Apulia Initiative sui Sistemi Alimentari (AFSI), con il solo “compito” per i Ministri dello Sviluppo di definire i dettagli nella riunione Ministeriale prevista per ottobre. Pur apprezzando il riferimento al miglioramento della “sostenibilità e della produttività delle filiere locali, regionali e globali” e alla necessità di “affrontare le regole e le norme discriminatorie che incidono sulla parità di genere”, il C7 ribadisce la necessità di processi partecipativi. Invece, nessun riferimento agli attori principali, ai piccoli agricoltori, alle loro associazioni e alla loro reti. Senza di loro, qualsiasi politica o programma non può essere efficace, sostenibile ed equo. L’impegno degli agricoltori e della società civile deve essere chiaro e forte nell’AFSI, nella citata iniziativa del G7 sul caffè, negli strumenti per prevenire le crisi alimentari e nelle iniziative sul commercio e sugli investimenti, come il PGII e altre. La trasformazione sostenibile, equa e giusta dei sistemi alimentari può essere costruita solo attraverso un approccio agroecologico e processi partecipativi e democratici a tutti i livelli, da quello locale fino al Comitato per la Sicurezza Alimentare mondiale delle Nazioni Unite.
La migrazione non è un’emergenza. La visione del G7 dovrebbe essere quella di spostare l’attenzione da un approccio emergenziale a uno a lungo termine, trasformando i flussi migratori in canali migratori prevedibili, sicuri, regolari e gestibili, garantendo il pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti, indipendentemente dal loro status migratorio. Ma la dichiarazione dei leader del G7 si concentra sulle “cause profonde della migrazione irregolare e degli spostamenti forzati” e non sulle cause profonde della migrazione indesiderata e della mobilità umana in sé. Non ci sono differenze tra queste cosiddette cause profonde, e l’attenzione dovrebbe concentrarsi sul miglioramento della migrazione regolare e sulla garanzia di percorsi sicuri per ogni tipo di migrazione.
Le migrazioni regolari sono inoltre fondamentali per combattere le cause profonde della povertà nei Paesi d’origine, facilitare la prosperità culturale ed economica, la flessibilità nel settore dell’occupazione e l’occupazione dignitosa nei Paesi di destinazione. Chiediamo alla Presidenza italiana del G7 di aderire nuovamente al Global Compact sulle migrazioni e ai membri del G7 di cambiare la narrativa sulle migrazioni, consapevoli che lo sviluppo porta a un aumento delle migrazioni nel breve e medio termine e che percorsi migratori regolari e sicuri avrebbero impatti positivi per tutte le parti coinvolte. Nel prossimo futuro i Paesi del G7 dovranno sostituire i loro approcci di politica migratoria, che oggi esternalizzano i confini, con una cooperazione incentrata sui diritti umani a sostegno del benessere dei migranti e delle comunità ospitanti, compreso l’ampliamento delle opportunità di lavoro nei Paesi di destinazione.
Un impegno più ambizioso per la Copertura Sanitaria Universale. Chiediamo maggiore volontà politica e contributi finanziari più sostanziosi, che rafforzino sistemi sanitari pubblici e comunitari sostenibili e resilienti e che garantiscano salute mentale e salute sessuale e riproduttiva fondate su evidenze scientifiche. Accogliamo con favore il doveroso riconoscimento del ruolo dell’OMS e di meccanismi come il Fondo Globale per la lotta contro AIDS, tbc e malaria e GAVI. Tuttavia non è sufficiente; chiediamo al G7 di assumere impegni chiari e ambiziosi per finanziare pienamente le loro prossime ricostituzioni, al fine di garantire l’equità sanitaria. Riaffermiamo la nostra preoccupazione per la mancanza di un adeguato riconoscimento del ruolo della società civile, delle popolazioni chiave e delle comunità nella governance della salute globale e chiediamo con forza la loro piena e significativa partecipazione. Solo con un approccio alla salute globale basato su diritti umani, equità, centralità delle persone e trasformativo dal punto di vista di genere, potremo effettivamente raggiungere gli Obiettivi dell’Agenda 2030, eliminando dalle politiche e pratiche sanitarie tutte le forme di discriminazione e criminalizzazione.
Rinnovato l’impegno di Hiroshima sulle politiche di genere. Sottolineiamo la necessità di politiche audaci sull’autodeterminazione delle donne e delle ragazze in tutta la loro diversità e accogliamo con favore l’impegno ad aumentare l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo per l’uguaglianza di genere, fondamentale per questo obiettivo a livello internazionale, ma manca l’indicazione dell’obiettivo verso cui indirizzarlo. Questo faciliterebbe anche il monitoraggio degli impegni per ciascun Paese.