In occasione di qualsivoglia tornata elettorale, la popolazione giovanile è generalmente il bersaglio prediletto da parte degli organi della stampa tradizionale, soprattutto in Italia, paese notoriamente ad alta e costante emigrazione in fasce di età sempre più basse. Tali attacchi sono spesso contraddistinti da superficialità di analisi e finanche penuria di dati affidabili, in un paese dominato da classi sociali e dirigenti che hanno storicamente marginalizzato la popolazione giovanile, limitandone gli spazi di partecipazione e protagonismo, soprattutto quando appartenente a gruppi non affiliati con quelli al potere o stigmatizzata in categorie non gradite agli stessi.

Le elezioni europee non sfuggono a tale tendenza, e i giornali nazionali italofoni cosi come le agenzie di stampa si sono già scatenati in materia, alternando la retorica del voto utile o la demagogia del “voto perché sì, è importante” senza far riferimento ad alcun programma fino ai paragoni azzardati e poco pertinenti con la limitata partecipazione giovanile in occasione di processi storici come il referendum che ha causato l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea attraverso la cosiddetta ‘Brexit’.

In entrambi i casi, sia per le elezioni europee a partire dal 1979 (data della prima elezione diretta per il Parlamento europeo) a oggi sia per il referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea del 23 giugno 2016, la complessità delle ragioni che determinano tali esiti, nonché gli ostacoli strutturali che ancora si frappongono alla partecipazione giovanile e al voto della cittadinanza europea cosiddetta “mobile” ancora in attesa di una riforma elettorale adeguata tale da consentirne l’esercizio del diritto al voto passano in secondo piano o non vengono neanche menzionate. In particolare, è importante ricordare che le cittadine e i cittadini protagonisti della mobilità intraeuropea di medio e lungo termine che potrebbero avere diritto al voto si stima possano essere tra i 12 e i 17 milioni di persone (secondo le diverse tipologie di studio e di rilevazione dei dati), ma risulta in ogni caso molto difficile determinarlo con esattezza data la sempre più frequente incidenza del lavoro in modalità remota e dall’assenza di obblighi per la registrazione anagrafica in molti paesi europei. L’aspetto che rimane, però, costante è quello legato alle difficoltà di esercitare il proprio diritto di voto passivo e, soprattutto, attivo ovvero quello di candidarsi. Quest’ultimo è limitato, in particolare, dalla persistenza di sistemi elettorali molto diversi da Paese a Paese e dalla propensione linguistica dei partiti nazionali che continuano a incoraggiare campagne elettorali condotte esclusivamente nelle lingue locali, spesso addirittura in dialetti. La disponibilità di una sofisticata e poderosa struttura di interpretariato nelle sedi del Parlamento europeo fornisce un ulteriore pretesto per ritardare ulteriormente l’adeguamento linguistico di liste e candidature, contando di far affidamento su tali servizi, e sui costi che continuano a ricadere sui contribuenti europei, per gli e le europarlamentari dopo l’elezione e il relativo staff al seguito degli/lle stesse.

 

Le potenzialità delle liste transnazionali

In maniera ancor più rilevante, la costante bocciatura delle liste transnazionali rappresenta ancora l’ostacolo principale alla formazione, al rafforzamento e alla credibilità dell’elettorato europeo, nonché al recupero della fiducia nei confronti delle stesse istituzioni.

Dopo numerose campagne di sensibilizzazione e progetti di riforma tali da assicurare una dimensione autenticamente transnazionale rispetto all’assetto attuale dell’Unione che risulta ancora profondamente ancorato ai limiti degli Stati membri e al dominio dei livelli locali più frammentati e suddivisi in circoscrizioni, soprattutto in occasione delle elezioni per il Parlamento europeo, nel 2022 si stava finalmente iniziando a vedere la luce con l’istituzione di un collegio transnazionale che sarebbe stato costituito attraverso l’elezione di 28 eurodeputati di diverse nazionalità, sulla base dei voti degli elettori ed elettrici dell’Unione. L’adozione delle liste transnazionali è stata, però, bocciata più volte dai partiti politici e dai rappresentanti dei governi dell’Unione votati a mantenere i propri interessi e le fidelizzazioni locali. Conseguentemente, neanche nel corso della corrente tornata elettorale sarà possibile votare per liste transnazionali e l’ultima rimasta in corsa, ovvero “Volt”, potrà presentare solo due candidati in una circoscrizione italiana all’interno della lista di un singolo partito nazionale, mentre i nomi di riferimento che finora hanno già maturato esperienze in qualità di europarlamentari, come per esempio Sophie In ‘T Veld e Damian Boeselager (già eletto con Volt nel 2019) si presentano in paesi diversi sotto l’ombrello di quella che hanno definito una “lista transnazionale simbolica”.

In Italia, le elezioni per il Parlamento europeo 2024 – 2029 hanno assunto un connotato prettamente locale e nazionale nel quale le politiche unionali sono pressoché assenti e il dibattito risulta focalizzato quasi esclusivamente su temi che non rientrano nelle competenze europee dirette e spesso neanche in quelle sussidiarie. L’invito al cosiddetto “voto utile” è costantemente presente negli appelli al voto e riflette prevalentemente le necessità di conferme nel breve periodo da parte dei principali partiti politici, anche in virtù del sistema elettorale che dal 2009 prevede una soglia di sbarramento del 4% e numerose difficoltà per la presentazione di liste con sottoscrizioni particolarmente impegnative al di fuori dei partiti o gruppi politici consolidati.

 

La partecipazione e presenza giovanile nel processo elettorale europeo

Nel frattempo, la partecipazione giovanile in Italia è tutt’altro che incoraggiata proprio dalla composizione delle stesse liste nelle quali ancora una volta i partiti tradizionali sono stati molto attenti a evitare di includere candidati e candidate al di sotto dei 30 anni di età. Questi ultimi risultano essere appena il 3,5% del totale, mentre la fascia di età maggiormente rappresentata è ancora quella tra i 46 e i 64 anni, oltre a ben 131 candidati e candidate al di sopra dei 64 anni di età. L’Italia “non è un paese per giovani”, come noto, e l’impegno costante dei partiti politici italiani è anche quello di far si che sia sempre meno un’Unione europea per le nuove generazioni, al di là della retorica sui programmi “Next Generation” e affini. Tale negazione delle generazioni del presente e del futuro, che saranno chiamate in ogni caso a pagare i costi del “Recovery Fund”, meglio noti come prestiti del PNRR, e dell’impegno bellico contro il quale i e le giovani si oppongono negli atenei e nelle piazze di tutto il continente europeo, non si limita ai numeri, ma si estende anche al vuoto dei programmi elettorali e alla totale assenza delle politiche giovanili all’interno di questi ultimi. Nonostante sul piano giuridico e stando ai Trattati, le politiche giovanili rientrino ancora tra le competenze nazionali rispetto alle quali l’Unione europea può solo limitarsi a svolgere un ruolo di supporto e indirizzo, nei fatti queste esistono prevalentemente grazie alla dimensione europea, in particolare in Italia in assenza di una legge nazionale in materia. In virtù di questo, è particolarmente significativo il fatto che nessuno dei programmi delle liste in corsa abbia ritenuto di tener conto seriamente degli importanti esiti, cosi come dei bisogni, della popolazione giovanile anche successivamente alla pandemia da Covid-19 e degli strumenti sviluppati a livello europeo come la Strategia UE per la gioventù 2019-2027 e l’Agenda europea per lo Youth Work 2020 – 2025, oltre ai risultati e agli obiettivi dell’Anno europeo per la Gioventù 2022 e al successivo Anno europeo delle competenze 2023. Il riferimento principale, e spesso l’unico, nei programmi associati alle liste italiane è ancora quello che si limita al programma Erasmus, più per sfruttarne la portata evocativa positiva che per l’effettivo legame con proposte concrete e innovative. In numerosi casi, infatti, si menziona in maniera impropria e non aggiornata il programma Erasmus proponendo misure specifiche che sono già state adottate nel 2014 quando la nuova versione aveva assorbito ben 7 programmi operativi nel periodo 2007-2013, in particolare per quanto riguarda le categorie di beneficiari/e (che già dal 2014 non sono più limitati/e alla sola popolazione studentesca), l’aumento dei finanziamenti e i partenariati con i paesi di vicinato.

L’estensione del voto al di sotto dei 18 anni

Nel frattempo, la situazione in altri paesi europei chiave, come per esempio il Belgio e la Germania, migliora per la popolazione giovanile proprio in questa tornata elettorale. In Germania, oltre 1,5 milioni di giovani al di sotto dei 18 anni hanno conquistato la possibilità di votare nel paese dal quale emergerà il numero più alto di europarlamentari (pari a 96 membri), mentre in Belgio 270.000 nuovi elettori ed elettrici di 16 e 17 anni saranno tenuti a farlo dato che la Corte Costituzionale Federale ha sancito in questo caso un vero e proprio obbligo di voto. La possibilità di votare al di sotto dei 18 anni è già prevista anche in Grecia (dai 17 anni a partire dall’anno 2016), in Austria (dai 16 anni già a partire dall’anno 2007) e a Malta (dai 16 anni già a partire dall’anno 2008).

In Italia questa possibilità, cosi come una rappresentatività maggiormente equa e dignitosa della popolazione giovanile nella composizione delle liste e nei contenuti dei programmi elettorali, sembra ancora molto lontana.

 

La sperimentazione del voto studentesco “fuori sede” anche in Italia

Nel frattempo, l’unica novità rilevante è data dalla possibilità per gli studenti e le studentesse “fuori sede”, ovvero coloro che studiano in città diverse da quelle di residenza, di poter esercitare il proprio diritto di voto nel luogo in cui ha sede l’ateneo di riferimento e, in alcuni casi, proprio negli stessi spazi universitari. È questo il caso dell’Università “La Sapienza” di Roma che per la prima volta ha allestito all’interno della Facoltà di Economia (via del Castro Laurenziano, 9A – Roma) le urne dedicate agli elettori e alle elettrici “fuori sede” che abbiano eletto domicilio da almeno tre mesi in un Comune fuori dalla propria regione di residenza e che abbiano completato le procedure di registrazione entro il 5 maggio 2024. In questa sede – ci racconta Greta – «si attendono ben 3.600 studenti e studentesse e il fatto che abbiano completato le procedure di registrazione e possano risparmiare i costi di viaggio (particolarmente onerosi nonostante lo sconto elettorale soprattutto nel caso della circoscrizione dell’Italia insulare, anche a causa del periodo elettorale che coincide con l’avvio della stagione turistica) permette anche di avere maggiori garanzie in merito alla loro partecipazione e di limitare l’astensionismo. Tutto questo è stato possibile anche e soprattutto grazie alla mobilitazione promossa dalla campagna ‘Voto dove Vivo’, in particolare attraverso il lavoro di Thomas Osborn nel corso degli ultimi anni».

Secondo i dati del Ministero dell’Interno, la domanda per il voto in modalità “fuori sede” introdotta in forma sperimentale attraverso il Decreto-legge n. 7/2024 è stata presentata tramite regolare istanza da un totale di 23.734 studenti e studentesse che in occasione delle urne aperte oggi 8 giugno e domani 9 giugno per l’elezione di 76 membri del Parlamento europeo candidati e candidate in Italia saranno comunque tenuti/e a votare per le liste relative alla propria circoscrizione territoriale di residenza.

Si tratta, in questa fase sperimentale, di una piccola fascia di popolazione mobile nella quale purtroppo rientrano soltanto gli studenti e le studentesse residenti in Italia che abbiano seguito le procedure previste dal Decreto-legge, ma ci si augura che tale possibilità possa essere presto estesa anche ad altre categorie di persone in mobilità per facilitare la partecipazione ai processi elettorali in un’epoca caratterizzata dal crescente astensionismo, per ragioni tanto volontarie quanto strutturali.