Dopo il libro di Gad Lerner è uscito in questi giorni un altro contributo di rilievo che si misura con l’orrore in corso da nove mesi in Palestina. Lo ha scritto Enzo Traverso, uno degli storici più autorevoli che abbiamo, autore di testi fondamentali: citiamo per tutti “La violenza nazista” del 2002 e il più recente “Rivoluzione”, un viaggio multidisciplinare affascinante nel controverso Novecento rivoluzionario.

“Gaza davanti alla storia”, edito da Laterza, è un pamphlet di una novantina di pagine, che trae origine da un articolo uscito sul Manifesto, un testo più lungo uscito su Jacobin e un’intervista data al quotidiano francese Mediapart. Affronta i nodi cruciali posti dalla mattanza in corso in quei territori martoriati da decenni di occupazione israeliana, e lo fa senza sconti, puntando il dito contro l’establishment occidentale, i suoi mass media, l’ipocrisia, la reticenza con cui si sono posti di fronte ai massacri, alla distruzione messi in atto dallo Stato israeliano dopo il 7 ottobre.

Quel sabato l’azione di Hamas, l’uccisione di centinanti di civili israeliani, con modalità anche raccapriccianti, che Traverso, come già fatto negli articoli citati, condanna senza tentennamenti, non viene dal nulla. E’ la reazione di una comunità che per decenni ha subito altrettante violenze di tutti i tipi, umiliazioni e distruzioni senza sosta, un regime di apartheid più volte documentato da coraggiose inchieste giornalistiche e dalle tante associazioni internazionali impegnate sul posto.

E nel libro sono citate, rimanendo agli ultimi vent’anni, le statistiche dei massacri subiti dai palestinesi: 1.400 morti nel 2008, 170 nel 2012, 2.200 nel 2014, 189 nel 2018 durante una protesta pacifica davanti ai reticolati che delimitano il confine. E nello stesso 2023 Tsahal giù aveva ucciso 248 palestinesi arrestandone 5.200. In quindici anni, 2008 – 2023, si contano 6.300 vittime.

In questi nove mesi siamo a circa 37.000 morti, in buona parte donne, bambini e persone inermi, un numero, come più volte sottolineato, che non trova riscontri in un lasso di tempo così limitato.

Un genocidio? Sulla tematica in questi mesi si è molto dibattuto. Usare una parola così pesante è complicato. Del resto nel tempo, proprio a causa di una narrazione occidentale tossica, il lessico politico è stato spesso stravolto, vedendo un “Hitler” e un “nazista” un po’ ovunque, secondo la convenienza. Durante l’assemblea di questa primavera convocata qualche mese fa dal gruppo “Voci ebraiche per la pace”, un giurista ha spiegato perché nel caso in questione, prendendo come riferimento, la Convenzione delle Nazioni Unite del 1948 citata anche nel libro, il termine non è applicabile. Viceversa altri esperti anche facendo riferimento alla valutazione della Corte Internazionale di Giustizia non hanno dubbi in proposito.

Traverso, che sposa questa seconda interpretazione, ricorda la riflessione dello storico Omer Barrow che ha evidenziato come la Convenzione delle Nazioni Unite, sotto l’influenza della Shoah, abbia “posto l’asticella molto in alto”, creando “un divario” tra una definizione legale di respiro decisamente ampio e un immaginario per cui per essere definito genocidio un massacro deve assomigliare molto all’Olocausto. Sicuramente ha ragione Traverso quando sottolinea come chiamare crimini di guerra ciò che da mesi stanno compiendo il governo Netanyahu e l’Idf è riduttivo, perché questi atti, intenzionali o accidentali che siano, “non sono la finalità di una guerra”; viceversa è evidente come a Gaza Israele persegua sistematicamente la distruzione dell’intero territorio, confermato dalle allucinanti dichiarazioni di autorevoli rappresentanti dell’esecutivo.

Altra questione sulla quale l’Occidente mostra il suo lato infido è la definizione di Hamas e il ruolo avuto in questi anni. Premesso, cosa banale, che chi scrive come tanti e tante che nel corso di questi mesi si sono mobilitati in solidarietà con il popolo palestinese, non ha nessuna simpatia, per usare un eufemismo, verso questa organizzazione, definire come “terrorista” quello che evidentemente, piaccia o no, è anche un soggetto politico a tutto tondo, è evidentemente un errore. Paola Caridi in un fondamentale testo, di cui a fine anno è uscita una seconda edizione, ha ampiamente documentato la genesi di Hamas, le sue caratteristiche e anche i passaggi cruciali che ne hanno trasformato l’assetto, con un mutamento che successivamente ha plasmato un vero e proprio regime, il quale proprio prima del 7 ottobre stava perdendo il consenso tra la popolazione palestinese, tendenza completamente invertita con gli accadimenti successivi.

Enzo Traverso evidenzia come l’uso dell’arma terroristica è stata notoriamente una prerogativa di molti movimenti di liberazione laici e progressisti, finanche la nostra stessa Resistenza. Inoltre anche in questo caso l’Occidente “dimentica” come la guerra sia l’atto terroristico più grande che esista e in questo campo ha disseminato decine di milioni di cadaveri, per rimanere al Novecento. Che l’azione del 7 ottobre il sequestro degli ostaggi siano un orrore è fuori discussione, ma rimuovere le ragioni che hanno portato all’ascesa, all’ampio consenso, nei confronti di Hamas è pura malafede.

Detto questo ci permettiamo di sollevare due  rilievi critici..

Il paragone ben presente nel libro con le dinamiche del regime nazista ci sembra non condivisibile. L’autore è uno storico troppo preparato – come abbiamo ricordato ha proposto sull’argomento un saggio imprescindibile –  per non avere presente che si tratta di un raffronto improponibile, come del resto ha lui stesso evidenziato nel testo proposto su Jacobin.

Altro problema delicato riguarda la scelta della resistenza armata. La mia generazione, la stessa di Enzo Traverso, per molto tempo ha creduto con Marx che “la violenza fosse la levatrice della storia”, con i conseguenti, anche drammatici errori che ciò ha comportato. Certamente ora, a mio avviso, dovremmo evitare di ritenere che lo possa essere la nonviolenza. Credo che dovremmo essere pragmatici e rapportarci con il contesto a cui si fa riferimento.

Il secolare conflitto di cui stiamo parlando, iniziato nei primi anni del Novecento, soprattutto dopo la “Dichiarazione Balfour” ben prima della nascita dello Stato di Israele, sul fronte palestinese ha mostrato come decenni di resistenza armata, anche con uno stragismo inaccettabile che ha mietuto, è bene ricordarlo, migliaia di vittime tra i civili israeliani, e nel mondo numerosi ebrei, e non solo,  non ha portato a nessuna vittoria. La stessa ipotesi dei due Stati, che Traverso giustamente critica perché ormai inattuabile vista la colonizzazione a 360 gradi da parte israeliana di buona parte del territorio, è un rituale senza riscontri.

Certamente in alcune momenti, vedi la prima Intifada e la stessa manifestazione del 2018 già citata, la resistenza palestinese ha usato mezzi sostanzialmente pacifici, lasciando sul terreno centinaia di morti.

Ma bisognerebbe tenere presente che come sottolineato dai tanti ebrei giovani, e no, che in questi mesi hanno partecipato alle decine di manifestazioni di protesta, i due popoli sono destinati a convivere e quindi percorsi “misti”, israeliani e palestinesi insieme, come quelli di “Parents Circle” o “Combatants for peace”, sono una luce, seppure tenue, nel buio dell’orrore di questi decenni, fino all’ultima ecatombe.

Del resto lo stesso Traverso al termine del saggio indica nella soluzione federale, binazionale, incentrata sui diritti di tutti i popoli che abitano quella terra insanguinata, l’unica prospettiva, certamente non vicina, che possa portare libertà, diritti e uguaglianza.