Ciò che Genova era riuscita a unire nel contro vertice del 2001, in uno schieramento che andava dai padri comboniani alle tute bianche, dalla Fiom ai Cobas, da Rifondazione Comunista alla Comunità di San Benedetto al Porto, portando in piazza per tre giorni consecutivi oltre trecentomila persone provenienti da tutta Europa e con delegazioni di Paesi degli altri continenti, si é divisa su due cortei con una partecipazione quasi totalmente regionale.
Il 14 giugno i promotori del primo corteo sono stati accolti nel Palazzo del Municipio, nel corso di una conferenza stampa in cui si è presentato un documento che indica una strada diametralmente opposta a quella portata avanti dagli Stati Uniti e dai loro alleati.
Ha fatto gli onori di casa il sindaco del Partito Democratico, (meno male penso e non lo dico certo polemicamente, magari cambiasse davvero quel partito, come accaduto in Spagna con il Psoe e ora in Francia con il Partito Socialista e si creassero le condizioni minime, anche in Italia per un Fronte Popolare antifascista che è allo stato attuale impensabile). Dalla Piazza del Municipio i partecipanti hanno raggiunto il punto di ritrovo stabilito e da lì il corteo ha sfilato per meno di un chilometro: è stato quindi un corteo con un tragitto assai breve, a cui hanno partecipato diverse centinaia di persone, ma, se non altro, con diverse performance teatrali e molti interventi interessanti dal palco.
Era promosso dalle strutture provinciali e regionali di CGIL, Arci, ANPI, Rete degli Studenti, Unione degli Universitari, Legambiente e cellule di realtà cattoliche. Unica forza politica visibile l’Alleanza Verdi Sinistra italiana.
Il giorno successivo, il temutissimo “corteo dei devastatori” è stato in realtà un corteo con parole d’ordine radicali, ma assolutamente pacifico, con persone “a volto scoperto, a testa alta e a mani nude”, come dice sempre il mio amico Valerio della Valsusa.
Era guidato dalla Confederazione Cobas, che ha sempre partecipato attivamente a questi appuntamenti, ma che ha una forza organizzativa assai limitata; a seguire vi era la folta partecipazione regionale delle studentesse e degli studenti medi di Osa, ossia l’Opposizione Studentesca di Alternativa, e degli universitari di Cambiare Rotta, poi Potere al Popolo, svariati comitati di solidarietà con il popolo palestinese, sostenitori del popolo curdo e alcuni gruppi internazionalisti e antimperialisti, che evidenziavano le politiche repressive e stragiste del premier indiano Modi.
Visibili con militanti, bandiere e striscione i ragazzi e le ragazze del Fronte della Gioventù Comunista. A completare il quadro uno striscione del Si. Cobas, un uomo con maglietta USB, due militanti con bandiera del Partito Comunista dei Lavoratori e un compagno con bandiera del Partito della Rifondazione Comunista.
In fondo a tutti il grande cavallo di Troia fatto di legno costruito e rimontato a regola d’arte da sei compagni olandesi e tedeschi di una organizzazione che si batte per la cancellazione del debito verso la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, debito che strangola i popoli del mondo a vantaggio di un pugno di ricchissimi. Dietro di esso numerosissimi giovani senza bandiere inneggiavano al cavallo, simbolo di lotta destinato a espugnare la Fortezza Europa o la cittadella del capitalismo.
Tra i pochi a partecipare a entrambe i cortei Alfio Nicotra di “Un Ponte per…” meritoria Ong che opera dai tempi della prima guerra del Golfo nel 1991.
Premetto che per me mobilitarsi in pochi è sempre meglio che non mobilitarsi affatto. Bisogna però dire che i partecipanti al primo corteo e al secondo, almeno tre volte maggiore, non erano affatto scarsi… per un corteo regionale, su un problema locale, ma assolutamente insufficienti per esprimere una protesta adeguata all’ampiezza del tema in gioco.
Certo, c’è stata una vergognosa campagna di intimidazione, volta a terrorizzare, che ha avuto come visibile effetto la serrata di tutte le attività commerciali per due pomeriggi consecutivi a Fasano, ma queste campagne le abbiamo vissute anche a Genova e i cortei furono imponenti.
Come ci hanno insegnato i sei ragazzi che hanno attraversato l’Europa in macchina con il cavallo di legno su un carrello, qui non era in ballo una questione locale, ma nodi internazionali che riguardano in primis la Pace o la Guerra, la vita o la morte di oltre otto miliardi di persone.
Francamente non comprendo come un appuntamento di questo tipo sia stato snobbato e rimosso dalle strutture nazionali di sindacati, partiti e soprattutto associazioni, che invece a livello locale si sono spese molto nella mobilitazione… locale.
Mi dicono che questi vertici non contano più nulla e così dovrebbe essere, ma purtroppo tra un pranzo e una cena qui si decidono ancora le sorti dell’umanità.
Alla fine sono sempre gli Stati Uniti e, dietro i presidenti, le grandi multinazionali, spesso di armamenti, a decidere, con l’avvallo dei loro sei grandi servi, e di chi è passato a riscuotere per i servigi resi all’affermazione del neoliberismo e della globalizzazione capitalista, come l’argentino Javier Milei, il premier indiano Narendra Modi e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e con la benedizione di chi, in buona fede, ma di buona fede è lastricata la via per l’inferno, si è prestato a fare da comparsa.