Nella 7^ edizione del Barometro dell’odio pubblicato in questi giorni da Amnesty International Italia, incentrato quest’anno sul tema del diritto di protesta, emerge una crescente preoccupazione per la repressione e la narrazione che ruotano intorno a questa tematica, sia a livello globale che nazionale. L’analisi, che ha preso in esame il dibattito sui social media e il racconto dei media mainstream dal 1° gennaio al 31 dicembre 2023, sottolinea un preoccupante trend verso la criminalizzazione del dissenso e la delegittimazione delle proteste, fenomeni che minano profondamente la democrazia e il diritto di espressione.
Il Barometro dell’odio 2023-24 rivela un aumento significativo dei contenuti problematici o hate speech: dal 2019 ad oggi il tasso di discorsi offensivi, discriminatori o che incitano all’odio è passato dal 10% al 15%. In particolare, i contenuti che incitano alla discriminazione e alla violenza sono triplicati, superando il 3% del corpus analizzato. Questo dato è particolarmente preoccupante se si considera l’analisi dei social media (Twitter e Facebook), poiché l’odio online, quando massiccio, può comportare conseguenze devastanti sulla salute mentale e fisica delle persone che vengono attaccate. Su Facebook, ad esempio, 4 commenti su 10, attinenti al tema del diritto di protesta, sono problematici e di questi il 15,6% incita all’odio, alla discriminazione e/o alla violenza. Le aggressioni digitali spesso si accompagnano a operazioni di diffamazione e violazione della privacy, con l’obiettivo di screditare e silenziare le voci dissenzienti. I 5 post che, nell’ambito dei casi studio osservati, hanno generato una più alta incidenza di hate speech sono tutti relativi ad azioni per la giustizia climatica. Due fanno riferimento all’azione che XR ha compiuto a Venezia colorando di verde il Canal Grande in modo reversibile e con un prodotto innocuo per richiamare l’attenzione su COP 28. Se 1 dei 2 è il post di una politica che definisce le persone attiviste “eco-vandali”, l’altra è la notizia neutra diffusa dal Corriere della Sera in cui tuttavia sono elencate le sanzioni e le denunce penali a carico di chi ha partecipato (multe, fogli di via, Daspo ecc.). Altri 2 dei post che hanno generato più odio fanno, invece, riferimento all’imbrattamento con del cacao e del fango della basilica di San Marco, a Venezia, realizzato da Ultima Generazione per denunciare “l’emergenza climatica, sociale ed economica”. Entrambi di politici non esitano a denigrare le persone attiviste: “ECO-CRIMINALI che di green non hanno assolutamente niente”, “Coglioni”, “Questa gentaglia va spedita a calci nel culo in galera.” Infine, un altro post del Corriere della Sera, anche questo neutro, per dare notizia di un blocco stradale di UG che ha visto le persone attiviste incollare le mani all’asfalto sulla RomaCivitavecchia. Un automobilista bloccato è sceso dalla macchina e ha aggredito un’attivista e, subito dopo, è risalito e ha provato a investirla, colpendola insieme a un altro attivista intervenuto. L’ondata di odio dei commenti a questo post e agli altri sullo stesso episodio è caratterizzata da un massiccio incitamento alla violenza: “Ma almeno ha fatto la retromarcia una volta investiti ? ”, “Olè pezzi di merda! Fate un piacere al mondo, fatevi investire tutti”, “Anche la mia macchina non frena bene…”, “W l’automobilista”, “Prima o poi qualcuno ci lascia la pelle. È solo questione di tempo”, “Spero di non trovarvi mai sulla mia strada, la galera sarebbe inevitabile”, “Speriamo che l’automobile non si sia danneggiata”, “doveva succedere avete rotto il cax” ecc..
Se si considera poi l’analisi fatta sui media mainstream che ha preso in esame 333 servizi andati in onda in prima serata sui sette principali telegiornali nazionali (Tg 1, Tg 2, Tg 3, Tg 4, Tg 5, Studio Aperto, Tg La7), ne risulta una chiara tendenza di questi ultimi a focalizzarsi più sugli “effetti collaterali” delle proteste, piuttosto che sulle motivazioni alla base. Spesso il tono utilizzato è critico e comprende l’uso di termini come “ecovandali” e “delinquenti” per descrivere le persone attiviste o manifestanti.
Da quest’ultima edizione del barometro emerge come la delegittimazione e la criminalizzazione del dissenso nella narrazione pubblica corrispondano a un’erosione degli spazi civici che avviene attraverso diverse modalità, dall’iper-burocratizzazione alla repressione fisica, fino a provvedimenti amministrativi repressivi. La criminalizzazione del dissenso e la delegittimazione delle proteste non solo limitano la libertà di espressione, ma hanno anche un impatto significativo sulla partecipazione democratica. Persone con background migratorio, appartenenti alla comunità Lgbtqia+, donne e ragazze, nonché coloro che non hanno la cittadinanza italiana, vanno incontro a rischi accresciuti di violazioni di diritti umani e discriminazioni quando scelgono di manifestare. Tale fenomeno porta spesso all’autoesclusione, aumentando ulteriormente la loro invisibilità. Inoltre, la narrazione dominante crea un clima in cui gli interventi repressivi sono giustificati o passano inosservati, minando ulteriormente i diritti di queste comunità.
Nell’ambito della ricerca per il Barometro dell’odio è stato inoltre condotto un sondaggio, in collaborazione con Ipsos, per rilevare quale fosse la posizione dell’opinione pubblica rispetto all’attivismo e alle varie forme di protesta. È emerso che il 48 per cento delle persone intervistate vede le manifestazioni come un passatempo o una moda, mentre il 17 per cento non crede che tutti, in Italia, dovrebbero avere il diritto di manifestare. Questa percezione pubblica conferma le preoccupazioni delle persone attiviste, che vedono le loro azioni delegittimate e criminalizzate, non solo dalle istituzioni ma anche dall’opinione pubblica.
Amnesty International Italia chiede un intervento deciso da parte delle istituzioni, nonché delle principali piattaforme social, per garantire e proteggere il diritto di protesta, un elemento fondamentale per il funzionamento di una democrazia sana e inclusiva, che rispetta i diritti umani.
Qui il Barometro dell’odio 2024: https://d21zrvtkxtd6ae.cloudfront.net/public/uploads/2024/05/Amnesty-Barometro-odio-2024.pdf.
Qui per firmare la petizione di Amnesty International per proteggere il diritto di protesta in Italia: https://www.amnesty.it/appelli/proteggere-il-diritto-di-protesta-in-italia/.