La mattina di mercoledi’ 26 giugno a Viterbo, in piazzale Antonio Gramsci, dinanzi alla lapide che ricorda le persone lì assassinate dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, ricorrendo l’anniversario della tragedia dei “fatti di Oglala” del 1975, il responsabile del “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera”, Peppe Sini, ha tenuto una conversazione per la liberazione di Leonard Peltier, l’illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell’intero mondo vivente, da 48 anni prigioniero innocente. Di seguito una estrema sintesi della conversazione e l’appello conclusivo.
Il 26 giugno 1975 nella riserva di Pine Ridge (una riserva indiana che si trova all’interno dello stato del Sud Dakota), nel terreno del ranch della famiglia Jumping Bull vi fu un conflitto a fuoco nel quale persero tragicamente la vita due agenti dell’FBI, Jack Coler e Ronald Williams, e un giovane militante dell’American Indian Movement, Joe Stuntz.
Il conflitto era stato preceduto negli anni e nei mesi precedenti dall’uccisione di molti indiani tradizionalisti da parte degli squadroni della morte dei “Goons” che nella riserva di Pine Ridge aggredivano sistematicamente gli indiani tradizionalisti. La popolazione locale chiese aiuto all’American Indian Movement affinchè i giovani attivisti li proteggessero dalla violenza dei “Goons”.
Ma in quel periodo contro i nativi non era scatenata solo la violenza dei “Goons” e di singoli o gruppi bianchi razzisti, c’era anche quella del famigerato programma “Cointelpro” con cui l’FBI si riproponeva la sistematica, brutale e fin sanguinaria repressione dei movimenti che si battevano per i diritti umani dei neri e degli indiani, come il Black Panther Party e l’American Indian Movement. In quegli anni i nativi americani avevano intrapreso grandi vertenze per rivendicare i loro diritti anche sulla base dei trattati ottocenteschi che il governo statunitense non aveva mai rispettato, e alle loro richieste il potere razzista rispondeva con la violenza, arrivando fino alla eliminazione fisica degli attivisti.
Il 26 giugno 1975 l’FBI penetrò nella proprietà privata della famiglia Jumping Bull che ospitava gli attivisti dell’American Indian Movement, dapprima con due agenti armati alla guida di due auto senza alcun contrassegno di identificazione, e subito dopo l’inizio del conflitto a fuoco con molti altri mezzi e molti armati dell’FBI e di altri corpi armati fiancheggiatori. La sparatoria si concluse con la morte di tre persone, due agenti dell’FBI e un attivista dell’American Indian Movement, e con la disperata fuga – dopo l’iniziale resistenza – degli indiani superstiti, uomini, donne e bambini, convinti che l’assalto avesse come scopo di ucciderli tutti.
L’FBI successivamente accusò dell’uccisione dei due agenti alcuni attivisti dell’American Indian Movement, ma i primi due attivisti nativi che furono processati (Dino Butler e Bob Robideau) furono assolti perchè fu riconosciuto dal tribunale che tutti gli attivisti indiani percependo di essere aggrediti e temendo per le loro vite avevano agito per legittima difesa.
L’FBI, perso il primo processo, accusò allora dell’uccisione dei due agenti il solo Leonard Peltier, che fu processato in un’altra città, notoriamente razzista, e in un altro tribunale, con una giuria di soli bianchi, in un clima di fortissima intimidazione e di fortissimo pregiudizio contro i nativi. Non avendo vere prove e vere testimonianze per far condannare Leonard Peltier, l’FBI fabbrico’ “testimonianze” false e “prove” false per ottenerne la condanna pur sapendolo innocente: e sulla base di queste flagranti falsità Leonard Peltier fu giudicato colpevole di un delitto che non aveva commesso. La flagrante falsitò delle “testimonianze” emerse immediatamente, e in prosieguo di tempo gli avvocati di Leonard Peltier ebbero accesso agli atti che l’FBI aveva tenuto segreti e che dimostravano definitivamente la falsitò anche delle “prove”.
Leonard Peltier è in carcere da 48 anni per un delitto che non ha commesso.
In questi 48 anni Leonard Peltier ha continuato dal carcere una lotta nonviolenta in difesa del suo popolo e di tutti i popoli oppressi, dei diritti umani di tutti gli esseri umani, della Madre Terra. Ha dipinto quadri, ha scritto poesie, ha pubblicato un libro, ha lottato per i diritti dei detenuti, ha promosso e sostenuto iniziative educative ed assistenziali, ha aiutato numerose iniziative nonviolente umanitarie, ecologiste, per il bene comune dell’umanità. E’ ormai vecchio (in settembre compirò 80 anni) ed è affetto da molteplici e gravi patologie che non possono essere curate adeguatamente in carcere. I suoi familiari chiedono che possa trascorrere con loro quel poco che resta della sua vita.
Il primo luglio la “United States Parole Commission” può decidere di concedergli la “liberta’ sulla parola” (l’equivalente statunitense della nostra “libertò vigilata”). Ci sono tutti i requisiti previsti dalla normativa in vigore per la concessione della misura. Ma il direttore dell’FBI ed alcune associazioni fiancheggiatrici hanno inviato alla “United States Parole Commission” lettere gremite di affermazioni non veritiere per ottenere che Leonard Peltier muoia in carcere.
Leonard Peltier è innocente.
Leonard Peltier ha diritto alla libertà.
La sua liberazione è stata chiesta da Nelson Mandela, da madre Teresa di Calcutta, da John Lennon, da Robert Redford, da Amnesty International, dall’ONU, dal Parlamento Europeo, da innumerevoli persone, associazioni ed istituzioni di tutto il mondo.
Facciamo sentire la voce dell’umanità: sia liberato Leonard Peltier. Non muoia in carcere un uomo innocente.
Il Comitato viterbese per la liberazione di Leonard Peltier