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STOP NUOVI OGM! Appello ai candidati alle prossime elezioni europee: si chiede un impegno per fermare la liberalizzazione di nuovi organismi geneticamente modificati garantendo il rigoroso rispetto del principio di precauzione

La Coalizione “Italia Libera da OGM”, che riunisce oltre 40 organizzazioni contadine, ambientaliste, del biologico e dei consumatori, ha inviato alle Liste e ai candidati alle prossime elezioni europee del 8-9 giugno un appello ad assumere l’impegno di contrastare nel nuovo Parlamento europeo il tentativo di deregolamentare le varietà vegetali ottenute con le biotecnologie di nuova generazione denominate NGT (New Genomic Technicques), in Italia rinominate TEA (Tecniche di Evoluzione Assistita) 

Le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno equiparato le NGT agli OGM e ribadito che esse non possano essere considerate fuori dal perimetro della Direttiva 2001/18/CE, che definisce gli OGM e li regola imponendo la valutazione del rischio, la tracciabilità e l’etichettatura per assicurare ai consumatori la massima trasparenza e corrette informazioni sul cibo che consumano. A livello Europeo ad oggi esiste una proposta di regolamento “Proposal for a new Regulation on plants produced by certain new genomic techniques”, passata in prima lettura al Parlamento europeo e ancora in discussione al Consiglio degli Stati Membri in attesa che si avvii il negoziato del Trilogo. Il Consiglio dei Ministri dell’agricoltura UE non ha però, ad oggi, raggiunto una maggioranza qualificata sulla proposta in quanto diversi Stati Membri hanno espresso contrarietà o perplessità nel procedere costituendo una minoranza di blocco. In particolare le preoccupazioni espresse sono relative all’assenza della garanzia di poter separare le filiere biologiche da quelle OGM per proteggerle dalla contaminazione; alla cancellazione della possibilità di restringere o vietare la coltivazione di OGM sul territorio nazionale; all’impatto dei brevetti che questi nuovi OGM avranno in termini di concentrazione del mercato in poche mani e nell’espropriare gli agricoltori del diritto alla risemina del proprio raccolto, diritto, in particolare, garantito dalla legislazione italiana. L’esito delle prossime Elezioni europee sarà determinante per la prosecuzione dell’iter di approvazione della nuova normativa comunitaria per la regolamentazione dei nuovi OGM. Per questo le Associazioni della Coalizione “Italia libera da OGM” hanno inviato a tutte le Liste e a singoli candidati la richiesta di sottoscrivere una posizione contraria al  nuovo regolamento comunitario che vuole escludere le NBT/TEA dalla normativa sugli OGM.

leggi su greenpeace.org i punti ritenuti irrinunciabili richiesti ai candidati dalla Coalizione per assumere l’impegno affinché la nuova normativa europea garantisca con rigore l’applicazione del principio di precauzione e trasparenza

 

Chiude il Museo dedicato alle vittime del Mediterraneo a Lampedusa: era l’unico nel suo genere nel mondo

Il “Comitato 3 ottobre” annuncia la chiusura del Museo dedicato alle vittime del Mediterraneo a Lampedusa: per la convenzione il nuovo Ente gestore pubblico chiede 10.000 euro all’anno 

Dopo sette anni dall’inaugurazione, nel corso dei quali è stato raggiunto un discreto risultato con oltre 75.000 ingressi registrati e con una ricca attività didattica e  culturale con  «mostre permanenti, visite guidate, corsi di formazione per gli studenti e studentesse lampedusane»,  il Comitato ritiene non esserci più le condizioni per mantenere vivo il presidio museale, alla luce anche di una manifestazione d’interesse bandita dal Parco Archeologico Valle dei Templi di Agrigento. Nel merito – così come riportato da Redattore Sociale –  Tareke Brhane (presidente del Comitato 3 ottobre) ha sottolineato: “Sono davvero rammaricato, ma prendo atto che, nonostante gli sforzi e il lavoro fatto, non ci sia stata e non ci sia la volontà di continuare ad avere a Lampedusa un Museo dedicato alle migrazioni. Dal nuovo Ente gestore ci è stata fatta una proposta di convenzione a titolo oneroso per noi irricevibile: 10.000 euro all’anno per solo due stanze di circa 50 mq in totale, con il vincolo di dover concordare il tipo di installazioni. Mi spiace constatare, altresì, che il Parco Archeologico Valle dei Templi di Agrigento non abbia ritenuto opportuno mantenere vivo la parte dedicata alle vittime delle migrazioni, del dialogo e della memoria nonostante il fatto che l’anno prossimo Agrigento (e Lampedusa di conseguenza) sarà la Capitale Italiana della Cultura”. Il Museo della fiducia e del dialogo , ricorda RS «venne inaugurato nel 2016 dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che usò queste parole: “Sono qui a Lampedusa per inaugurare questo museo perché la cultura unisce i popoli e rappresenta uno strumento di incontro decisivo… L’Italia deve essere orgogliosa di Lampedusa, del suo senso di umanità, del suo livello di civiltà». Il “Comitato 3 ottobre” aveva sottoscritto due Protocolli d’Intesa non onerosi con il Comune di Lampedusa e Linosa e l’allora MIUR, ed aveva gestito il sito “garantendo l’accesso gratuito anche al Museo Archeologico delle Pelagie”. Si tratta di uno spazio espositivo unico al mondo dedicato alle vittime del Mediterraneo che- «oltre ad ospitare opere di alto valore artistico ha esposto testimonianze dirette dal valore umano inestimabile, come i disegni di Adal, un ragazzino che ha narrato le torture subite in Eritrea» – costituisce  una prova acquisita dalle Nazioni Unite contro la dittatura africana. Inoltre il Museo, nel suo percorso espositivo «ha ospitato anche una “stanza del naufragio”,  che ha proposto ai visitatori un itinerario multimediale fatto di immagini e suoni, per far vivere in prima persona le esperienze della traversata in mare, più alcuni reperti storici forniti dall’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra che ricordano i tanti profughi causati dalla Seconda Guerra Mondiale nel nostro paese, le cui sofferenze sono ora vissute da tutti coloro che nel mondo fuggono per cercare una terra più sicura».

fonte.redattoresociale

 

Disinvestiamo dalle armi: imparare a riconoscere gli investimenti nell’industria bellica e sapere come disinvestire dalle guerre

“Dividendi di pace”,  un corso di formazione online organizzato gratuitamente dalla Fondazione Finanza Etica per risparmiatori e gestori di fondi

La pace si costruisce insieme, anche grazie alla formazione e all’educazione di ogni persona che abbia in carico la responsabilità di una gestione finanziaria: da questa convinzione nasce Dividendi di Pace, corso online di informazione e formazione fondato sui principi della finanza etica. Destinatari privilegiati sono persone e organizzazioni che abbiano fondi finanziari in gestione, affinché possano riconoscere se le risorse da loro movimentate vadano ad alimentare il settore dell’industria militare, e in che misura questo sia in contrasto con la missione del loro ente. Dividendi di Pace è una campagna sviluppata e proposta da Fondazione Finanza Etica con il contributo di Etica Sgr (rispettivamente la fondazione culturale e la società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Etica), e con la collaborazione di Rete Italiana Pace e Disarmo e Atlante delle Guerre. La campagna è rivolta a sindacati, Enti Terzo Settore; imprese sociali; cooperative; parrocchie e organizzazioni religiose, e ai loro amministratori finanziari.  Dividendi di Pace mette a disposizione le conoscenze necessarie a valutare dove si indirizzino realmente le risorse affidate a banche e intermediari, per poter scegliere consapevolmente se sia opportuno (e come) disinvestire, per non supportare il settore difesa e affidare il denaro a operatori e filiere coerenti con la missione e i valori dell’ente. Il corso è ospitato qui su ValoriLab, la piattaforma di educazione finanziaria del gruppo Banca Etica. Un ebook realizzato con la collaborazione della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, che ospita una sintesi del lavoro nella collana Passi, scaricabile gratuitamente.

per saperne di più vai su sbilanciamoci.info

 

Nuovo dossier di Officina Primo Maggio. La distribuzione è vulnerabile: lotte e amazonizzazione

Il dossier che segnaliamo, “Lotte e Produzione snella”, è frutto della collaborazione fra tre riviste: Officina Primo Maggio, Punto Critico e Jacobin Italia. Si tratta di una raccolta di articoli che affrontano il tema specifico su «l’evoluzione del modello organizzativo della “produzione snella” (lean production) e il potenziale di lotta al suo interno». La raccolta segue il mini dossier sulla giornata del Primo Maggio pubblicata lo scorso mese. Lo spunto è stato preso da un articolo  di Kim Moody , “Oltre la produzione snella”, già tradotto dalla redazione di  Jacobin Italia ed originariamente pubblicato sulla rivista americana Labor Notes col titolo ”The End of Lean Production…and What’s Ahead’. “Ad accompagnare il saggio di Moody troverete sei articoli che vi si pongono in dialogo, sfornendo spunti critici e approfondimenti di alcuni aspetti cruciali”

In “Produzione snella e governo della logistica” Sergio Fontegher Bologna sostiene che: Negli anni Duemila non è tanto il cambiamento del modello organizzativo a determinare il cambiamento delle regole del gioco, quanto il succedersi di choc planetari, in particolare dei due più destabilizzanti: la crisi finanziaria del 2008/2009 e la pandemia del 2020/2022. Il tutto nel quadro di un cambiamento drammatico nei rapporti di potere mondiali dato dalla crescente egemonia della Cina. Fenomeno di una portata ben maggiore di quella che può aver comportato la lean production giapponese del toyotismo. In “La distribuzione è vulnerabile” Bruno Cartosio fa partire la sua analisi dal contesto storico in cui è nata la produzione snella: L’adozione della lean production “giapponese” è venuta di conseguenza: quando i lavoratori non erano più in grado di contrapporre al grande capitale la propria organizzazione e il conflitto. Non era più necessario costruire scorte: gli antagonisti non erano più in grado di interrompere i processi produttivi. La delocalizzazione aveva reso evidente che il mondo era pieno di spazi in cui impiantare fabbriche senza sindacato, con abbondanza di lavoratori pagabili poco e fatti lavorare in condizioni inaccettabili in patria. Se in passato il metro era stato Detroit, nei Duemila il modello universale era Shenzhen. Di Cina parla anche Romeo Orlandi, in particolare di come e perché il “modello Amazon” – che Moody pone come ultima evoluzione della produzione snella (da just in time a just in case) – non abbia attecchito nel grande paese asiatico. In “Ragioni e incognite dell’amazonizzazione” Marco Veruggio punta l’attenzione sulle vulnerabilità di Amazon: come abbiamo dimostrato in MappiAmazon e come avevano capito prima di noi per via empirica i militanti di Amazonians United negli USA, i punti deboli della rete di distribuzione di Amazon, i suoi hub, sono proprio le piccole delivery station nelle periferie urbane, non i grandi centri di distribuzione vicini agli snodi logistici. […] l’aspetto di fondo, più interessante, dell’articolo di Moody, è che in ogni caso parliamo di reti vulnerabili, tanto più fragili quanto più sono sofisticate. Chiude il sestetto il commento in cui Matteo Gaddi – che ha scritto di lean production sin dal suo primo articolo per Officina Primo Maggio – mette in luce i limiti dell’approccio di Moody, sottolineando l’importanza del nesso fra organizzazione e tecnologia.

abstract officinaprimomaggio.eu

 

Verso una svolta autoritaria? L’Italia e l’Europa tra neoliberismo e restrizione della democrazia

Organizzata dal “Forum Disuguaglianze e Diversità”  e da “Volere La Luna” l’incontro si articolerà attraverso testimonianze di pratiche ed esperienze concrete e interventi di persone esperte e studiosi e studiose, a cui farà seguito il confronto tra movimenti e forze politiche. Appuntamento il 20 giugno a Roma alla sala della Libreria Spazio Sette (via dei Barbieri,7)

Una profonda dinamica autoritaria percorre e fiacca le democrazie: nel mondo, in Europa e in Italia. Gli assunti del neoliberismo (illimitata iniziativa d’impresa, svalorizzazione e precarizzazione del lavoro, ridicolizzazione della partecipazione, uno Stato che asseconda le mosse delle grandi corporations, il “merito” come accumulazione di patrimonio, la “povertà” come colpa) hanno prodotto disuguaglianze, immiserimento e poli-crisi definendo uno scenario che non solo non può promettere futuri giusti, ma tende a governare con sistemi autoritari gli esiti e le contraddizioni aperte dalle disuguaglianze sempre più insostenibili. Tali assunti, pur essendosi radicati fino a cambiare il senso comune, non bastano a sorreggere l’attuale squilibrio e per questo hanno bisogno di strumenti coercitivi, autoritari e di disgregazione sociale in una moltitudine di corporazioni. Ecco, allora, profilarsi per diverse strade l’incontro fra neoliberismo e autoritarismo corporativo, di cui molti governi europei, e quello italiano in modo evidente, sono espressione. In Italia tale intreccio si presenta in modo evidente e si declina in più ambiti: nelle piazze come in Parlamento, negli interventi sulla scuola (sempre più normalizzata e punitiva) come nella colpevolizzazione del disagio sociale, nella massiccia repressione delle manifestazioni di piazza e dei movimenti come nell’attacco ai diritti delle persone, primi tra tutti quelli delle donne e delle persone Lgbtqia+. Per queste ragioni abbiamo deciso di organizzare un momento di pensiero e di confronto al riguardo.  L’appuntamento è per il 20 giugno, dalle ore 10 alle ore 14, presso la sala della Libreria Spazio Sette, in via dei Barbieri 7 a Roma. Discuteremo con altre e altri e con le forze politiche interessate a partire dalla domanda che è anche il titolo dell’iniziativa: “Verso una svolta autoritaria”? L’idea è quella di un confronto tra studiosi e studiose, attivisti e attiviste, movimenti e organizzazioni di civismo attivo, forze politiche per provare a tracciare una cornice di analisi comune su quanto sta accadendo e per individuare spazi di azione condivisa tesa ad arginare la sistematica riduzione degli spazi democratici in atto nel Paese. Insomma, di provare a innescare un processo diffuso in grado di costruire un’alternativa alla “svolta autoritaria”, partendo dai soggetti e dalle esperienze collettive che operano costruendo ponti fra i saperi della ricerca e del fare. Sono i mondi che hanno tenuto vivi i valori scritti nella Costituzione e poi parzialmente concretizzati nel travagliato ma straordinario progresso sociale, civile ed economico dell’Italia degli anni ’70. I valori che permettono di costruire dispositivi che promuovono la “reciprocità”, ossia la propensione ad avvertire gioie e fragilità di altre e altri come nostri; di mirare all’uguaglianza intesa come la libertà effettiva di ogni persona di vivere la vita a cui aspira; di perseguire in ogni contesto un riequilibrio di poteri consapevole delle intersezioni fra molteplici subalternità; di contrastare sistematicamente la concentrazione della conoscenza; di proporre un’economia giusta dal punto di vista sociale e ambientale e in cui i diritti delle persone, il welfare e il contrasto della povertà siano considerati presupposti dello sviluppo giusto e non un suo esito.

Programma e informazioni su forumdisuguaglianzediversita.org

 

Unire i fili, connettere le lotte. Un’assemblea contro la svendita della città

Dopo il fallimento di tutti i grandi progetti di trasformazione urbana (dal piano De Lucia allo sconclusionato NaplEst) la giunta Manfredi ha fondato il suo primo mandato su questo approccio. Da un lato ha cercato di normalizzare – per lo più senza successo – la gestione ordinaria della città, dall’altro ha concentrato il grosso delle energie, anche alla luce delle centinaia di milioni di euro pubblici e privati in arrivo, sul governo (o non governo) di processi che in pochi anni potrebbero rivoltare la città come un calzino

Lo scorso marzo, durante una tragicomica seduta del consiglio comunale, diversi esponenti della giunta Manfredi (tra cui l’assessora all’urbanistica) ebbero modo di esprimere i loro punti di vista sulle trasformazioni presenti e future della città, a un mese dalla pubblicazione del documento di indirizzo sulle politiche urbanistiche e in attesa della revisione del Prg. Quelle osservazioni risultarono ancor più vaghe di quanto non fossero in considerazione del contesto: una seduta monotematica sul mare, chiesta dai cittadini che da anni protestano contro la privatizzazione di un bene che dovrebbe essere a disposizione di tutti, senza ostacoli, barriere e biglietti da pagare. Imbarazzante fu, inoltre, lo scarto tra il livello di conoscenze e competenze esibito dagli attivisti “per il mare libero” e quello degli esponenti istituzionali, che snocciolavano dati strumentalizzandoli a seconda degli interessi della propria parte politica, o riempivano il minutaggio del loro intervento con chiacchiere retoriche e propaganda. La storia delle lotte sociali in Campania ci ha mostrato più volte l’efficacia dei processi di studio, analisi e divulgazione messi in campo dagli attivisti su temi complessi, che diventano poi, attraverso incessanti pratiche di condivisione, accessibili anche a chi non ha dimestichezza con numeri, dati, norme e regolamenti (è accaduto con le lotte ambientali dei primi Duemila ad Acerra, Chiaiano, Pianura, Terzigno, o ancora a fasi alterne, per vent’anni, con la denuncia dello scempio in atto a Bagnoli). Si tratta di movimenti che non avevano i fari puntati su una vertenza o un tema specifico, ma si sforzavano di collocare ciò che stava accadendo localmente all’interno di una fase di riorganizzazione dei centri di potere, dei processi di produzione, dei rapporti sociali. Nonostante il grande sforzo profuso da quei movimenti, e a dispetto persino di qualche vittoria ottenuta, le derive neoliberali sono oggi in fase di accelerazione, dopo che per un ventennio il terreno è stato preparato per la mercificazione totale dell’esistente, l’accantonamento degli interessi della collettività, lo smantellamento della città post-industriale a favore della “città merce”: tutti indirizzi che dalla fine degli anni Novanta in poi sono stati promossi dalle varie scuole di urbanistica pubblica, fino a che un nuovo, incontestato ruolo non è stato assegnato agli strumenti urbanistici stessi: non più regolare lo sviluppo urbano a tutela delle esigenze sociali, ambientali, geologiche della città, ma promuovere quello economico, cogliendo “le opportunità di crescita intesa come attrazione di investimenti esterni, di consumatori, di nuovi residenti ad alto reddito”.

Leggi l’articolo integrale di Riccardo Rosa su napolimonitor.it

 

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