Sono oltre 10 milioni i lavoratori del comparto domestico complessivamente impiegati e rappresentano circa il 3,4% dell’occupazione totale dell’UE a 27 Paesi (l’edilizia e l’industria alberghiera occupano rispettivamente il 6,8% e il 4,7%). Guardando ai singoli Paesi, la prevalenza dei servizi alla persona e alla famiglia (Spf) è molto varia, influenzata da diversi fattori come gli investimenti statali ed i quadri giuridici di riferimento. In Italia, escludendo i lavoratori “in nero”, il comparto rappresenta il 3,7% dell’occupazione totale. Tassi più elevati si osservano in Francia (5,2%), Belgio (4,4%), Danimarca (7,2%), Svezia (6%), Finlandia (5,0%) e Cipro (5,9%). Al contrario, tassi più bassi sono evidenti in Paesi come la Romania (1,2%), la Bulgaria (1,8%), l’Estonia (2,3%), la Lettonia (2,6%), la Germania (2,6%), il Regno Unito (2,2%) e la Repubblica Ceca (2,2%). È quanto emerge dal Rapporto 2024 “Family (Net) Work – Laboratorio su casa, famiglia e lavoro domestico”, progetto editoriale promosso da Assindatcolf, Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico, il cui 2° capitolo – curato dalla Federazione europea Effe – è stato presentato nei giorni scorsi.

Dei 10 milioni di addetti complessivamente impiegati in Europa nei servizi alla persona e alla famiglia, 6,6 milioni risultano regolarmente assunti, a fronte di 3,4 milioni che invece non hanno un contratto. Questi lavoratori non costituiscono, tuttavia, un gruppo omogeneo, sia per tipologia di attività svolta che per modello occupazionale. Tra i 6,6 milioni di domestici in regola, circa 2,6 milioni (ovvero il 40%) risultano impiegati attraverso il modello diretto (contratto diretto con una o più famiglie), che può essere anche in regime di convivenza. Questo modello è particolarmente diffuso negli Stati membri meridionali dell’UE, in particolare Cipro (82,8%), Spagna (67,7%), Grecia (40%), Malta (44,3%) e Portogallo (60%) ma soprattutto in Francia (66,4%) ed in Italia (70,5%), ovvero dove è regolato da contratti collettivi nazionali. Il restante 60%, pari a circa 3,9 milioni di addetti, è invece impiegato attraverso il modello dei fornitori di servizi, principalmente da aziende private, ma anche da alcuni enti pubblici o cooperative. Le tendenze emergenti includono piattaforme di economia collaborativa che potrebbero assumere il ruolo di datori di lavoro, a seconda dello status del lavoratore. Inoltre, alcuni lavoratori optano per il lavoro autonomo, un approccio preferito dagli attori pubblici in Austria. Tuttavia, questo modello spesso comporta una protezione sociale limitata per i lavoratori.

Per quanto attiene al sommerso,  il numero di lavoratori potrebbe essere molto più elevato dei 3,4 milioni identificati, poiché in alcuni casi l’occupazione può anche essere sotto-dichiarata o parzialmente dichiarata. “Nel 2016, si legge nel Report, la Commissione europea ha stimato che il settore Spf era al terzo posto tra quelli più colpiti dal lavoro sommerso, dopo il settore alberghiero e quello della ristorazione. Il 34% del lavoro sommerso svolto nell’Unione europea nel 2019 riguardava il settore Spf, secondo una recente indagine di Eurobarometro (2020). Sebbene sia difficile da quantificare, il numero di lavoratori impattati sarebbe probabilmente molto più alto dei 3,4 milioni identificati. La Commissione europea ha inoltre indicato nel 2018 che il 70-80% dei posti di lavoro del settore non sono stati dichiarati. In alcuni casi, l’occupazione può anche essere sotto-dichiarata o parzialmente dichiarata, il che rafforza la precarietà dei lavoratori e riduce il gettito fiscale dello Stato. I Paesi dell’Unione europea in cui la quota di lavoro non dichiarato è superiore al 50% dell’occupazione totale nel settore Spf spesso coincidono con quelli che mostrano la quota più bassa di lavoratori Spf dichiarati sull’occupazione totale. Tra questi, possiamo individuare Romania, Estonia, Lettonia, Repubblica Ceca, Malta, Grecia, Austria, Croazia, Slovenia e Italia.”

Nel Paper di Effe (European Federation for Family Employment & Home Care), intitolato “Integrazione dei migranti, professionalizzazione e attrattività nel settore domestico: quali prospettive nel prossimo mandato legislativo dell’Ue?”, viene poi tracciato una sorta di identikit del domestico: donna per oltre il 90%, per lo più impiegate a tempo parziale presso più datori di lavoro e per circa il 39% con un’età pari o superiore ai 50 anni, per cui si prevede la pensione entro il prossimo decennio. Quanto alla nazionalità, anche in Europa la prevalenza è quella di lavoratori migranti non comunitari.

Il 9 aprile 2024, il Consiglio dell’Ue ha reso note le sue priorità per il prossimo mandato. Purtroppo, le questioni sociali, assistenziali e sanitarie non occupano un posto di rilievo in questo documento, che si concentra piuttosto su sicurezza, immigrazione, competitività e democrazia. Tra le priorità che potrebbero avere un impatto nel settore Spf, il Report sottolinea le seguenti: Cooperare con i Paesi di origine e di transito in materia di migrazione, compresi i rimpatri e i percorsi legali ; Aumentare la coesione economica e sociale attraverso la convergenza verso l’alto; Aumentare la partecipazione al mercato del lavoro per determinati gruppi di popolazione, come i 7,7 milioni di donne che, in qualità di assistenti informali, sono escluse dal mercato del lavoro per occuparsi di un parente;  Investire nelle competenze e nell’istruzione delle persone lungo tutto l’arco della vita per offrire opportunità a tutti; Ridurre le disparità a tutti i livelli attraverso un’adeguata protezione sociale.  

Qui per scaricare il Paper: https://www.family-net-work.it/paper/