365 mila persone che studiano e lavorano: 201 mila donne (55%) e 164 mila uomini (45%); alta concentrazione nelle classi di età 20- 24 anni (36,1%) e 25-29 anni (27,9%), ma con una parte non trascurabile di over 39 (50 mila, pari al 13,7% del totale); più del 30% di quelli più giovani (fino a 34 anni) è impegnato nei comparti alberghiero e della ristorazione (16,1%) o del commercio (14,8%), mentre il 19% lavora nell’istruzione, sanità e servizi sociali: sono alcuni dei dati della recente inchiesta sulle persone che studiano e lavorano promossa dall’Unione degli Universitari e dalla Cgil Nazionale, e realizzata da Daniele Di Nunzio e Giuliano Ferrucci dell’area ricerca della Fondazione Di Vittorio, attraverso quasi 13.000 questionari somministrati in tutta Italia a studentesse e studenti che lavorano.
Dall’indagine emerge come il lavoro svolto dagli studenti universitari sia connotato dalla precarietà: “complessivamente il 46% di loro – si legge nel Rapporto – vive una condizione di disagio lavorativo associata all’orizzonte temporaneo limitato del rapporto di lavoro (lavoro a termine involontario e/o al tempo di lavoro ridotto (part-time involontario). Un valore così elevato del tasso di disagio (pari a più del doppio di quello calcolato sulla totalità degli occupati) deriva in primo luogo dalla composizione anagrafica della popolazione degli studenti lavoratori, per due terzi giovani con meno di trent’anni alle prime esperienze di lavoro, notoriamente caratterizzate da contratti temporanei e/o part-time. Tuttavia, se si confrontano i tassi di disagio degli studenti lavoratori con quelli della totalità degli occupati nelle diverse classi età, si osservano valori significativamente più alti tra gli studenti nelle classi comprese tra 25 e 39 anni.”
L’analisi mostra che la scelta di lavorare durante il percorso di studio universitario è fatta soprattutto per necessità e per responsabilità e meno per avere una disponibilità economica per l’acquisto di beni non indispensabili. Gli obiettivi primari sono quelli di mettere dei soldi da parte e di essere indipendente dalla famiglia (molto importanti per due rispondenti su tre), di sostenere in maniera autonoma i costi dello studio (56,8%) e di provvedere a se stessi perché la famiglia non può fornire un sostegno economico (59,5%). Di norma si tratta di studenti-lavoratori “pendolari” (41,1%) o comunque di “fuori sede” (24,2%), mentre quelli “in sede” sono il 34,7%. Tra le donne risulta inferiore l’incidenza di studentesse in sede, rispetto agli uomini (32,7% contro il 39,6%). La maggior parte degli alunni interpellati rientra ancora negli anni universitari previsti per il conseguimento del titolo (80,3% in corso), mentre i “fuori corso” sono il 19,7%.
Quasi 1 su 3 (30,5%) svolge un lavoro di vendita al pubblico (come ad esempio il commesso o il cameriere) e quasi tutti con mansioni a “bassa specializzazione”. Uno su quattro (26,3%) svolge un lavoro di tipo impiegatizio o intellettuale: meno della metà di questi fa un lavoro esecutivo d’ufficio, mentre la restante parte svolge un lavoro specializzato nel campo amministrativo o, genericamente, intellettuale o scientifico. Una minore parte svolge un lavoro nei servizi socio-sanitari e di cura alla persona (7,1%) o di tipo operaio o tecnico (5,6%). Una quota rilevante ha risposto “altro”, fornendo una descrizione del proprio lavoro, e la maggior parte di questi dichiara di svolgere lavori nel terziario, soprattutto come docente o educatrice (sia in ambito pubblico che privato) o formatrice, seguiti da lavori differenziati quali baby sitter, assistenza agli anziani, hostess e accoglienza, assistenza ai clienti, istruttore, operatore culturale, volontariato nel servizio civile, ecc..
I tempi di lavoro sono fortemente destrutturati, un fattore che indubbiamente ostacola la conciliazione tra il lavoro e lo studio. La metà del campione lavora “spesso” nel fine settimana e nei giorni festivi (50,6%) e il 40,6% lavora “spesso” con turni variabili. Inoltre, la richiesta di straordinari retribuiti (che indica il dilatarsi dei tempi di lavoro oltre l’orario stabilito), ricorre “spesso” per più di un rispondente su quattro (21,4%). Anche il lavoro di notte è diffuso e capita “qualche volta” al 10,3% del campione e “spesso” al 15,6%. Inoltre, emergono delle irregolarità e violazione dei diritti che complicano ulteriormente questa organizzazione temporale: il 39,8% ha “qualche volta” o “spesso” difficoltà nel prendere le ferie e i permessi retribuiti, il 21,9% è costretto a svolgere straordinari non retribuiti e non compensati con dei riposi, il 15,2% non riesce a usufruire nemmeno dei riposi settimanali previsti dal contratto. Solamente il 57,7% dichiara che nel proprio lavoro è rispettato del tutto il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), mentre per la restante parte è applicato solo in parte (22,7%) e per nulla (6%). Il 12,4% non sa rispondere a questa domanda. L’applicazione del CCNL appare parzialmente correlata con l’età e, in particolare, al crescere dell’età cresce l’applicazione completa del CCNL così come si riduce l’incidenza di chi non sa se il CCNL è applicato (quota che sale al 18,8% per chi ha meno di 20 anni).
La conciliazione tra il percorso di lavoro e quello di studio appare come una sfida ardua per la maggior parte dei rispondenti. In particolare, emergono delle difficoltà sia per gli aspetti relazionali sia per quanto riguarda le attività universitarie previste dai corsi, con un forte rischio di esclusione e marginalizzazione per chi studia e lavora. Il 71,1% dichiara che è impossibile conciliare gli impegni di lavoro con la partecipazione alle attività associative del movimento studentesco e una quota rilevante (43,7%) ha enormi difficoltà anche solo nella socializzazione in ambito universitario.
Qui per approfondimenti e per scaricare la ricerca: https://www.fondazionedivittorio.it/it/lavorare-e-studiare-com%C3%A8-presentati-risultati-dellinchiesta-fdv-cgil-udu.