Cerco di capire quale sia lo scandalo del giorno di sospensione delle lezioni di una scuola nel milanese. Scopro alcune cose: ogni collegio docenti (con un ulteriore suggello poco più che formale del Consiglio d’Istituto) decide liberamente come distribuire i 3 giorni delle cosiddette “festività soppresse”: ovvero a giugno o a settembre si decide il calendario dell’anno successivo. Provate ad indovinare su cosa vertono le discussioni in vista di quella votazione…: “Facciamo il ponte dei morti e quello del primo Maggio!”; “No, io aggiungerei tre giorni a Pasqua…”; “Ma se unissimo 25 aprile e primo Maggio? Tanto lo sappiamo che tanti colleghi e colleghe non vengono…”. Su questo ruotano i discorsi, e si vota una di queste soluzioni. Ben poco contano altri criteri che tengano conto dell’utenza.

Il fatto che un collegio docenti scelga, liberamente come fanno tutte le scuole, di saltare un giorno scuola non per proprie finalità di “allungamento vacanze” ma perchè sarebbe praticamente un giorno “perso” a scuola, mi fa togliere il cappello. In molte scuole nel giorno di fine Ramadan le classi sono dimezzate, se non di più, quindi ben venga una scelta del genere, di grande attenzione, ragionevolezza e generosità.

Ma veniamo al secondo punto che il Vice Primo Ministro ha sollevato in seguito a questa vicenda: “Dobbiamo fare in modo che in ogni classe non ci siano più del 20% di studenti di origine straniera!”. E qui scappa da ridere a chi nel mondo della scuola ci lavora, soprattutto nella primaria: ma lo sa il Ministro che fare questa operazione, che mi sembra fantastica, vorrebbe dire il 20% di bimbi di orgine straniera nelle belle scuolette del centro dove si riesce, in un modo o nell’altro, ad escluderli? Vorrebbe dire metterli nelle scuole private o parificate, dove quei bimbi un po’ colorati non li vedono neanche col binocolo? O nelle scuole con un indirizzo particolare (senza zaino o a indirizzo musicale) dove il contributo (“volontario” naturalmente) crea una bella selezione che rende “bianche” le classi?

Forse volendo distribuire in maniera perfettamente equa i bimbi indigeni con quelli d’Oltralpe, bisognerebbe metterne più del 20%, a meno che volessimo lasciarne alcune migliaia fuori, o dare un po’ di cittadinanza diffusa a coloro che sono qui da più tempo.

30 anni fa esistevano i bacini di utenza: ognuno andava nella scuola elementare (così si chiamava) di competenza, la più vicina. Quando vennero aperti si scatenò la caccia “alla scuola migliore”, ubicata generalmente verso il centro città. Si crearono nel corso degli anni scuole di serie A, B e anche C. Si crearono dei veri e propri ghetti: alcune scuole avevano una lista d’attesa, altre si svuotavano. Ora alcune scuole hanno l’80% o più di bimbi di famiglie immigrate.

Ma i Ministri dovrebbero essere persone preparate, o no? O almeno avere dei consiglieri, addetti ai lavori, che vedono se quello che dicono sta, realisticamente, in piedi. Pare invece che possano dire quello che vogliono, tanto i giornali faranno comunque dei titoloni e la campagna elettorale è vicina. La caccia è iniziata, se ne possono sparare di grosse e in quantità.

Rimescoliamo le carte? Ben volentieri Ministro