Sabato 11 maggio a Ravenna si è tenuto un importante convegno organizzato dal Coordinamento ravennate Per il Clima – Fuori dal Fossile e la Rete Emergenza Climatica e Ambientale Emilia Romagna contro l’impero fossile e tutte le guerre.

“Il 2023 è stato uno degli anni più caldi della storia dell’umanità. Gli eventi estremi stanno paurosamente crescendo di anno in anno, i morti per inquinamento sono centinaia di migliaia in Europa e diverse decine di migliaia in Italia. La Pianura Padana è anche una delle aree più inquinate del mondo” è il drammatico contesto, a cui si aggiunge la guerra, che parte e si prepara anche da qui.

Il porto di Ravenna è ormai diventato crocevia per i traffici di armi verso l’Ucraina e verso Israele, via nave e via treno.
Ravenna è da oltre mezzo secolo sede del grande petrolchimico (ex Enichem) e di decine di piattaforme estrattive off shore, a fine 2025 ospiterà anche il rigassificatore galleggiante Bw Singapore.
Il sindaco Michele De Pascale (PD), ha sempre definito la sua città Hub del gas, in linea con Stefano Bonaccini, Presidente della Regione e commissario straordinario al rigassificatore.
Ora che Bonaccini è candidato per le elezioni europee, De Pascale è uno dei nomi papabili per sostituirlo, in una perfetta continuità “pro fossile”.
Nel Ravennate proseguono intanto senza tregua i lavori per collegare il rigassificatore galleggiante BW Singapore alla terra.
In tutto saranno 40 km di metanodotto, 8 km a mare e 32 a terra circondando Ravenna con il tubo che trasporta il gas.
La nave, acquistata dalla Snam per circa 400 milioni di euro, arriverà a inizio 2025.
“Stanno sbancando terra e mare con grave impatto ambientale. Sarà creata una diga foranea, per proteggere la nave dalle mareggiate, dragati in modo continuo i fondali bassi dell’Adriatico, rischiando di rimettere in circolo l’inquinamento dei fondali. Il danno all’ecosistema marino sarà grande, anche con il rigassificatore in funzione. Il rigassificatore (che sfrutta il calore dell’acqua del mare per riscaldare il GNL liquido a -161 gradi e trasformarlo in gas naturale) ributterà in mare acqua clorata, più fredda, sterilizzando e alterando la vita marina tutt’attorno. D’inverno inoltre dovranno scaldare l’acqua del mare, usando parte del gas, perché l’acqua a sua volta riscaldi il GNL. Uno spreco assurdo, con il rischio tra l’altro di emissioni fuggitive climalteranti. Il tutto è stato approvato con procedure veloci, emergenziali, senza sufficienti controlli e senza alcuna partecipazione. Abbiamo anche fatto un esposto per le numerose irregolarità” denunciano gli attivisti ravennati. Tra il porto e il petrolchimico di Ravenna ci sono attualmente 27 impianti a rischio di incidente rilevante di cui ben 24 collocati nella categoria di massimo rischio (soglia superiore), un domino infernale a cui si aggiunge anche un impianto di stoccaggio da 20 mila metri cubi di gnl (Depositi Italiani GNL). Senza contare ovviamente il rigassificatore in arrivo.
La Romagna sarà attraversata anche dal metanodotto Linea Adriatica, che implica uno sbancamento per circa 400 km da Sulmona a Minerbio. La pista per i mezzi sarà larga da 24 a 32 metri, con piste accessorie e di cantiere si arriverà a fare tabula rasa per quasi 40 metri di larghezza. Milioni di alberi saranno abbattuti.
“La linea adriatica attraversa sei regioni, tre parchi nazionali, un parco regionale, 21 siti di importanza comunitaria, per 400 km saranno abbattuti milioni di alberi, in zone terremotate, franate e alluvionate. Passando anche più volte sotto ai fiumi, come il Savio” spiega Chiara Bocchini del WWF di Forlì Cesena, che ricorda i danni provocati dall’alluvione.
Presente anche Mario Pizzola, storico attivista di Sulmona, reduce di un’azione di disobbedienza civile, occupando il cantiere della centrale di compressione gas di Sulmona, opera indispensabile per la Linea Adriatica.
“Il cantiere per la centrale di Sulmona ha i permessi scaduti, è abusivo, peraltro si trova in una zona archeologica dove sono state trovate antiche necropoli, abbiamo fatto un esposto e continuiamo con azioni di disobbedienza civile. È anche una zona naturale di pregio, habitat dell’orso marsicano” incalza Pizzola che aggiunge: “in Europa ci sono lobby fortissime, che spingono per la costruzione di nuove infrastrutture in Italia e in Europa sebbene del tutto inutili”.
La linea Adriatica costa 2 miliardi e 500 milioni comprensivi della centrale compressione a Sulmona: “è follia climatica e economica”.
“Le infrastrutture metanifere attuali sono già sovradimensionate e possono portare fino a 105 miliardi di metri cubi, mentre il consumo di gas si è ridotto fino a 62 miliardi di metri cubi. Questa diminuzione avviene sia in Italia sia in Europa. Nuove infrastrutture non servono, resteranno incagliate e improduttive” spiega Francesco Occhipinti di Legambiente.
Presenti anche Vanni Destro del Polesine e Lucia Pozzato, tra i dodici cittadini italiani che insieme a Greenpeace e Recommon hanno fatto causa (#lagiustacausa) ad Eni, alla Cassa Depoisito e Prestiti, al Ministro economia e finanza, per i danni causati dalle attività estrattive, per il mancato rispetto degli accordi di Parigi e per i diritti umani violati (climate litigation). “Ci hanno fatto profilazione, minacciati di querela” raccontano. “A Porto Viro abbiamo il rigassificatore off shore tra i più grandi d’Europa, non siamo riusciti a fermarlo, ed è per noi un rischio costante, e continua ad aumentare la produzione. Il rigassificatore ha causato problemi al mare e alla pesca, oltre a costanti emissioni fuggitive climalteranti. A questo si aggiunge la subsidenza, causata dalle trivellazioni e dalle estrazioni selvagge. Il terreno si è abbassato 3-4 metri in 30 anni. Si sono abbassati gli argini dei fiumi aumentando il rischio delle alluvioni, i fiumi sono salati per decine di km dalla foce e il cuneo salino rende buona parte della terra non più coltivabile. A febbraio 2024 il decreto legge Energia del governo Meloni ha dato la possibilità di continuare ad estrarre gas fino a 9 miglia dalla costa e fino al 45 parallelo (a sud della laguna Venezia). Perché se va sotto Venezia è un problema internazionale, se andiamo sotto noi del Polesine non interessa a nessuno”.
La subsidenza e i nuovi permessi per trivellare accomunano Ravenna al Polesine, le terre basse d’Italia, qualche metro sotto al livello del mare.
“Abbiamo fatto manifestazioni, appelli ai Parlamentari e a Mattarella contro la conversione in Legge del decreto, abbiamo proposto emendamenti ma è stata imposta la fiducia. La legge è passata, faremo un ricorso nel caso in cui qualcuno presenterà un progetto”.
Presenti anche ragazze e ragazzi di End Fossil, che contestano i legami tra università, aziende ecocide e guerra.
“La nostra università fa accordi con Eni -spiega Viola Clemente, studentessa di UNIBO- a Ravenna è stato organizzato il corso di laurea “Offshore engineering” in collaborazione con Eni, ci sono professionisti di Eni come docenti, gli studenti fanno tirocini e stage nel distretto Eni di Ravenna. “We are waiting you”, così finiscono le loro presentazioni, manipolando gli studenti con informazioni basate sul greenwashing. Tutto questo contribuisce a legittimare socialmente Eni, che oltretutto ha una politica imperialista, sfrutta giacimenti in Mozambico e ad ottobre scorso ha firmato un accordo con Israele per avviare l’esplorazione di giacimenti di gas nelle acque palestinesi antistanti Gaza. Noi continuiamo a raccontare e fare presidi di protesta in università, ogni volta siamo sempre di più. Dobbiamo cambiare narrativa, fare capire che la dipendenza dalle fonti fossili è una delle principali cause di tutte le guerre in atto e del crescente rischio di un conflitto globale” poi conclude “Loro hanno i soldi, noi la voce”.
La giornata si conclude con un presidio in piazza del Popolo e con l’impegno di ritrovarsi sabato prossimo 18 maggio a Roma, alle 11, con gli altri territori martoriati dal fossile, per protestare sotto al Ministero dell’Ambiente.