L’Alta Corte di Londra ha deciso che il fondatore di WikiLeaks ha diritto a presentare un nuovo appello contro la decisione di estradarlo negli Starti Uniti. Là pende sul giornalista australiano il rischio di una condanna a 175 anni di detenzione in un carcere speciale per il reato di spionaggio.
Quest’ultimo, affibbiato ad Assange per aggirare l’ostacolo del Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che considera essenziale il diritto di cronaca (vedi il noto caso della pubblicazione dei Pentagon Papers sulla guerra del Vietnam, che non portò a nessuna incriminazione definitiva), è il punto cruciale della vicenda.
L’enorme lavoro che sta svolgendo il collegio di difesa riguarda proprio la richiesta di applicare quel testo sacrale al caso del nemico pubblico della Cia. Infatti, se la scelta dell’Alta Corte di Londra di accogliere il ricorso è stata motivata con l’inadeguatezza delle rassicurazioni offerte dalla giustizia d’oltre oceano alle autorità del Regno Unito, rimane aperto proprio il capitolo del Primo Emendamento.
Su di esso si è sviluppato un complesso contenzioso nel corso dell’udienza e certamente lo scioglimento positivo di ogni dubbio interpretativo sarà – nell’augurabile caso – la chiusura della vicenda con il proscioglimento dell’imputato.
Tuttavia, come hanno commentato attiviste e attivisti accorsi a Londra, il pericolo che già stanotte Assange fosse caricato da Scotland Yard su di un aereo è stato sventato: un passo avanti che fa tirare un sospiro di sollievo e strappa un sorriso anche alla moglie avvocata Stella Moris.
Cosa abbia portato a simile apertura è oggetto di varie congetture, non ultima quella che tocca la campagna elettorale per la presidenza, con il tentativo di allontanare la tensione su un pezzo di conclamato autoritarismo repressivo della decadente democrazia occidentale. Quindi, un rinvio a dopo il voto cruciale per Washington e non solo.
Sarà così, ma certamente ha pesato il movimento di opinione che finalmente ha varcato la soglia del silenzio e della marginalità. La prova è stata l’ospitalità offerta anche in tale occasione ai Comitati FreeAssange dalla Federazione della Stampa per la conferenza che ha commentato in tempo reale l’esito dell’udienza.
Ora, però, quell’universo di attiviste e attivisti chiede un passo avanti decisivo: Assange sia rimesso in libertà, magari vigilata presso un domicilio. Le condizioni di salute precarie (neanche ieri era in aula per la fragilità di un corpo offeso da quattordici anni di reclusione, compresi gli ultimi nella cosiddetta Guantanamo inglese) vorrebbero un atto di civiltà giuridica.
Solo così si potrebbe riprendere un po’ di fiducia e di speranza: non deve sempre vincere il Male.
Vincenzo Vita. Il Manifesto