Il 4 aprile 2024, le ONG Israeliane ACRI, Gisha, HaMoked, Medici per i Diritti Umani e il Comitato contro la tortura hanno inviato una corrispondenza legale all’avvocatura generale militare dell’esercito israeliano, chiedendo l’immediata chiusura del centro di detenzione presso la base militare di Sde Teiman e il trasferimento dei detenuti lì reclusi in strutture di detenzione regolamentate, dove vengano trattenuti in conformità con le condizioni legali.
La lettera descrive come dall’inizio della guerra, la base militare di Sde Teiman ha detenuto illegalmente centinaia di cittadini di Gaza.
“Secondo i rapporti di cui siamo in possesso, all’inizio di marzo almeno 27 detenuti sono morti mentre erano in custodia militare. L’esercito non ha smentito la notizia, ma non ha fornito informazioni sul numero o sull’identità delle persone detenute che sono morte.Le testimonianze di persone innocenti detenute nella base militare di Sde Teiman e rilasciate dopo essere state interrogate hanno dipinto un quadro terrificante delle condizioni carcerarie disumane, umiliazioni e torture in cui vengono tenute migliaia di persone.
I detenuti vengono ammucchiati in delle specie di gabbie, in condizioni di affollamento, seduti in ginocchio in una posizione dolorosa per molte ore ogni giorno, ammanettati a tutte le ore del giorno e bendati. È così che mangiano, si nutrono e ricevono le cure mediche.
I detenuti della struttura vengono puniti fisicamente legandoli a una recinzione per ore obbligati a stare con le mani alzate. Coloro che abbassano le mani perché esausti vengono picchiati.
Secondo i nostri rapporti, i soldati della struttura percuotono regolarmente i detenuti, e li torturano spengendo sigarette sul loro corpo, oppure urinandogli addosso mentre sono inginocchiati, bendati e ammanettati, inoltre i reclusi vengono privati del cibo, dei servizi igienici e del sonno.
Un’ulteriore prova delle condizioni disumane nel centro di detenzione deriva dalle richieste dei medici, che prestano servizio nell’ospedale stabilito nella base, allo scopo di curare i detenuti. Testimoniano che le braccia e le gambe dei detenuti vengono regolarmente amputate a causa delle ferite dovute all’ammanettamento continuo, la mancanza di farmaci, di cure mediche adeguate, la violenza subita dai detenuti, la mancanza di cibo.”
Nella corrispondenza, gli avvocati Anne Suciu e Roni Pelli dell’ACRI sempre a riguardo del centro di detenzione nella base militare di Sde Teiman, scrivono che, “le condizioni aberranti imposte ai prigionieri, la condotta delle autorità carcerarie e le cure mediche di questo luogo di detenzione, costituiscono tutto insieme una palese violazione di qualsiasi legge e il non rispetto della benché minima convenzione nei confronti dei prigionieri reclusi in questo centro.
Le palesi violazioni dei diritti dei detenuti, così come la grave violazione del loro diritto all’integrità fisica e alla dignità umana, richiedono l’immediata chiusura della struttura di detenzione e la cessazione della detenzione illegale dei reclusi.”
In contemporanea alla lettera legale inviata ai comandi dell’esercito israeliano, la testata giornalistica di Haaretz, lo stesso giorno, pubblica un articolo dove si riporta la denuncia di un medico che ha prestato servizio nel famigerato centro di detenzione, descrivendo le condizioni dei detenuti, legati e bendati 24 ore su 24, con infezioni derivate al trattamento inumano a cui vengono sottoposti, con cure totalmente inadeguate e livelli igienici terribili che fanno sì che le ferite e le conseguenti infezioni devastino il corpo di vari prigionieri, costretti poi all’amputazione degli arti. “Proprio questa settimana a due prigionieri sono state amputate le gambe a causa di ferite infette dovute alle manette, il che purtroppo è un evento di routine”, – scrive il medico nella lettera contenuta nell’articolo di Hareetz aggiungendo che, – “tutti i pazienti dell’ospedale allestito a Sde Teiman sono ammanettati con tutti e quattro gli arti, indipendentemente da quanto siano ritenuti pericolosi. Vengono bendati e nutriti con una cannuccia. In queste condizioni, in pratica, anche i pazienti giovani e sani perdono peso dopo una o due settimane di ricovero.” aggiungendo anche che l’ospedale non riceve forniture regolari di attrezzature mediche o medicinali. Secondo il medico, più della metà dei pazienti ricoverati nell’ospedale della struttura sono lì a causa delle ferite riportate a causa del costante ammanettamento durante la loro detenzione in Israele.
“La struttura – racconta il medico – è progettata per consentire al personale di eseguire piccoli interventi chirurgici e i medici impiegati non sono specializzati in medicina interna, – ha riferito ad Haaretz – il che significa che non ci sono medici di emergenza o chirurghi. A volte, di conseguenza, i medici vengono convocati dall’esterno del complesso come consulenti o per fornire cure, è stato questo il mio caso. Non è presente personale infermieristico. I pazienti si nutrono solo di una soluzione liquida attraverso una cannuccia. Quando è necessario condurre esami utilizzando apparecchiature non disponibili sul posto, o per eseguire interventi chirurgici più complicati, o a seguito di un peggioramento delle condizioni di un paziente (a causa della diffusione dell’infezione, ad esempio), i pazienti vengono portati in strutture civili ospedaliere in Israele, dove vengono incatenati e tenuti bendati per tutto il tempo, identificati con un numero identificativo e considerati “anonimi”.
La testimonianza di questo medico è stata raccolta dal Comitato etico e dall’ong Medici per i diritti umani, e, la settimana prima dell’uscita dell’articolo di Hareetz, è stata inviata all’interno di una lettera di denuncia sia al ministro della Difesa israeliano, che al ministro della Sanità, che al procuratore generale, insieme a un dettagliato rapporto sullo stato di vari centri di detenzione dove vengono reclusi migliaia di palestinesi:
Sebbene siano l’esercito israeliano e l’agenzia di sicurezza Shin Bet a dettare le condizioni in cui i detenuti vengono ricoverati in ospedale, una fonte della sicurezza ha riferito al quotidiano israeliano che è il ministero della Sanità ad essere direttamente responsabile della struttura medica.
In precedenza, a febbraio, Medici per i Diritti Umani aveva pubblicato un rapporto Link sulla situazione dei palestinesi detenuti da Israele dallo scoppio della guerra il 7 ottobre.
Dallo Shin Bet così come dal ministero della sanità, da quello della difesa, e dal procuratore generale israeliani non sono arrivate risposte.
Il portavoce dell’IDF non ha risposto nemmeno alla domanda su quanti detenuti sono stati ricoverati ad oggi nella struttura dall’inizio della guerra, si sa di certo che dal 7 ottobre 2023 oltre 5000 palestinesi sono stati reclusi e incarcerate in luoghi di detenzione simili, in maggioranza uomini, ma anche donne, a volte anche ragazzi dai 15 ai 18 anni.
Vengono detenuti in vari centri di detenzione e in basi militari come quella di Sde Teiman o come il centro di Holot.
Spesso sono arrivati a noi filmati di palestinesi spogliati, ammanettati e bendati, presi in scuole, rifugi, abitazioni civili. Tra di essi diversi combattenti di Hamas e di altre formazioni armate, molti altri però sono persone comuni, non coinvolte nell’attacco del 7 ottobre o in combattimenti contro le forze israeliane che hanno invaso Gaza, ugualmente prese e portate via, tra di loro anche medici che stavano prestando cura ai feriti, insegnanti, oppure reporter, fotografi, o blogger locali che documentavano quanto stesse accadendo a Gaza, persone di cui spesso non si sa più nulla da settimane e mesi. Portati in questi veri e propri campi di concentramento per essere interrogati, sottoposti a torture, a detenzioni illegali, a trattamenti del tutto inumani.
La questione la settimana scorsa è balzata anche alla cronaca statunitense con una inchiesta della CNN venuta in possesso di alcune foto fuoriuscite proprio dal centro di detenzione Sde Teiman, e apparse in un articolo.
L’articolo di CNN racconta che tra i martiri dei campi di prigionia c’è stato anche il dottor Mohammed Al-Ran, capo dell’unità chirurgica dell’ospedale indonesiano, che è stato liberato da “Sde Teman” dopo un mese e ha “servito” come intermediario, raccontando la sua testimonianza: “I prigionieri nel campo ritornano con gli arti amputati a causa dei continui incatenamenti. I prigionieri sono bendati e vestiti con pantaloni della tuta e pannoloni in cui sono costretti a defecare. Per quanto riguarda coloro che ricevono “cure” mediche nella seconda sezione del campo di prigionia, anche loro sono vestiti solo con pannoloni, con mani e piedi incatenati al letto, senza cure adeguate e procedure mediche eseguite da individui non addestrati, con infezioni che piagano i loro corpi.”
L’inchiesta della CNN descrive dettagliatamente la portata degli abusi e delle torture a Sde Teiman. Alcuni prigionieri costretti dietro minaccia a fare da intermediari tra le guardie e gli altri prigionieri, a cui viene concesso il “privilegio” di farsi togliere le bende dagli occhi.
“Parte della mia tortura, – racconta il Dottore indonesiano detenuto per oltre un mese e obbligato a fare da intermediario- è stata dover assistere a come le persone venivano torturate, all’inizio sebbene ti togliessero la benda non riuscivi vedere. Non potevi vedere la tortura, la vendetta, l’oppressione. I prigionieri nel campo vengono picchiati costantemente per ogni motivo, perché parlavano tra loro oppure anche solo perché si muovevano mentre erano incatenati, venivano torturati con i cani aizzati contro di loro a volte con i colpi inferti gli venivano rotte le ossa, le ferite lasciate di proposito senza essere disinfettate affinché si infettino e imputridiscano per poi procedere ad amputazione di uno o più arti.”
E’ un vero racconto dell’orrore la recente testimonianza del Dr. Mohammed Al-Ran, “hanno portato qui centinaia di prigionieri, di abitanti di Gaza, uomini e donne, spesso con ferite gravi, anziani ammalati, persone con patologie oncologiche, tenendoli ammanettati e bendati per ore, per giorni” .
Un altro testimone, un ex detenuto di nazionalità straniera che ha voluto mantenere l’anonimità intervistato da CNN ha affermato che, “I pestaggi non venivano fatti per raccogliere informazioni. Ai prigionieri spesso non veniva chiesto nulla, sono stati fatti per vendetta”, – sostiene nell’inchiesta della CNN . – “È stata una punizione per ciò che loro (i palestinesi) hanno fatto il 7 ottobre e ancor più una punizione perché continuano a resistere”.
La CNN ha intervistato oltre una dozzina di ex detenuti di Gaza che sono stati rilasciati da quei centri di detenzione:
Sde Teiman e altri campi di detenzione militare sono stati avvolti nel segreto sin dalla loro creazione. Israele ha ripetutamente rifiutato le richieste di rivelare il numero di detenuti nelle strutture o di rivelare dove si trovino i prigionieri di Gaza.
Le immagini satellitari forniscono però ulteriori informazioni sulle attività a Sde Teiman, rivelando che nei mesi trascorsi dal 7 ottobre, sono sorte più di 100 nuove strutture, ai margini del deserto del Neghev tra cui tendoni e hangar.
“Portare le persone in questi centri sperduti permette che le atrocità di cui abbiamo sentito parlare accadano”, ha affermato Tal Steiner, un avvocato israeliano per i diritti umani e direttore esecutivo del Comitato pubblico contro la tortura in Israele.
“Le persone completamente isolate dal resto del mondo sono le più vulnerabili alla tortura e ai maltrattamenti”, ha detto Steiner nell’intervista alla CNN.
Un altro informatore, un ex detenuto la cui testimonianza è riportata sempre nell’inchiesta della CNN, descrive come fossero diventate routine, le visite notturne delle guardie ai prigionieri immobilizzati nei letti, e circondati di filo spinato. Le guardie arrivavano di notte sguinzagliando cani di grossa taglia sui detenuti addormentati, oppure altre volte lanciavano una granata sonora contro il recinto e i gabbioni dove i prigionieri venivano tenuti quando si trovavano all’aperto.
“A volte durante il giorno venivamo obbligati a sdraiarci a terra con le mani legate dietro la schiena e bendati, liberando poi i cani che si muovevano fra noi o sopra di noi che eravamo ammassati, sdraiati sulla pancia e con la faccia premuta contro il suolo. Non puoi muoverti e loro si muovono sopra di te, stavi lì del tutto inerme stordito fra l’abbaiare dei cani e le urla di paura delle persone intorno.”
“Quello che ho provato quando avevo a che fare con quei pazienti è un’idea di totale vulnerabilità”, ha detto un medico che ha lavorato a Sde Teiman.
“Se immagini di non poterti muovere, di non poter vedere cosa sta succedendo e di essere completamente nudo, questo ti lascia completamente esposto,” – ha detto la fonte – “penso che sia una tortura psicologica devastante.”
Per il dottor Al-Ran, il ricongiungimento con i suoi amici è stato tutt’altro che gioioso. L’esperienza, – racconta nell’inchiesta della CNN, – lo ha reso muto per un mese mentre combatteva una “morte emotiva”. […] “È stato molto doloroso. Quando sono stato rilasciato, le persone a me vicine si aspettavano che avessi sentito la loro mancanza, che li abbracciassi. Ma c’era come un divario che ci separava”, ha detto Al-Ran. “Le persone che erano con me nel centro di detenzione erano diventate la mia famiglia. Quelle amicizie nella disperazione più cupa erano le uniche cose che ci appartenevano”.
Poco prima del suo rilascio, un compagno di prigionia lo aveva chiamato, “la sua voce era a malapena un sussurro, – ha detto Al-Ran, – ha chiesto al medico di trovare sua moglie e i suoi figli a Gaza. Mi ha chiesto di dire loro che è meglio per loro essere martiri, che è meglio per loro morire piuttosto che venire catturati ed essere portati qui.”
Sempre la settimana scorsa, un centinaio di cittadini israeliani attivisti per i diritti umani, si sono mossi alla volta del centro di detenzione di Sde Teiman, portando degli striscioni di protesta davanti al centro militare, venendo allontanati poco dopo dai soldati.
Ci si augura che adesso anche in Israele possano partire sempre più numerose le proteste nei confronti di questi centri di detenzione dell’orrore, che purtroppo riportano a tristissime memorie di altri tempi, quando fra gli internati che venivano torturati, forse c’erano anche i nonni degli attuali carcerieri.