La solidarietà nei confronti della Palestina si diffonde in tutti gli atenei del mondo, ma continua ad avere il suo cuore pulsante nelle università americane, dove in realtà ha anche avuto origine.
Per chi, come il sottoscritto, può vantare, come ha detto qualcuno, “il triste privilegio dell’età”, il pensiero non può non tornare agli anni Sessanta e al ruolo fondamentale che gli studenti americani ebbero nel denunciare la protervia imperialista della guerra del Vietnam, dando un contributo essenziale alle rivolte globali che caratterizzarono quegli anni lontani. Speriamo che la storia possa ripetersi.
Oggi, come allora, negli USA, l’anima dei movimenti di protesta non affonda le proprie radici nella tradizione socialista e marxista, come generalmente avviene in Europa, quanto piuttosto in una interpretazione radicale dei valori della cosiddetta “sinistra liberal”.
In verità, nel corso di questi ultimi tristi decenni in cui si è affermato, in modo sempre più invasivo e vincente, il modello neoliberista, il pensiero e il movimento liberal sono stati costretti a subire arretramenti e sconfitte, ma non sono stati mai del tutto cancellati, neppure nelle loro espressioni di maggiore opposizione al sistema.
Al centro dell’interesse si sono poste soprattutto le tematiche legate alla lotta per la difesa dei diritti e a fianco delle minoranze oppresse ed escluse. Innanzitutto le battaglie contro il razzismo nei confronti dei neri e degli immigrati ispanici, quelle delle comunità LGBTQIA+, e di recente la difesa del diritto di aborto, pesantemente messo in discussione. Ed ancora e più in generale le questioni ambientali e del cambiamento climatico come temi centrali legati alla stessa sopravvivenza di lungo periodo del genere umano.
Quello che tuttavia ha costituito, in questi anni recenti, un intrinseco elemento di debolezza dei movimenti d’oltre oceano è stata la mancanza di una prospettiva globale di sostegno alle lotte contro il dominio dell’Occidente. Una mancanza grave che ha impedito ai movimenti di protesta nati negli USA (ma in genere in tutto l’Occidente) di potere dialogare con le iniziative di lotta sviluppatesi nel resto del mondo, cercando in tal modo di avere una prospettiva ed un respiro globali.
D’altra parte va anche sottolineato come, anche a causa della crisi generalizzata della sinistra marxista, l’opposizione allo strapotere USA in ambito geopolitico ha molto spesso assunto il carattere dello scontro tra entità statali e tra interessi capitalistici più che quello della liberazione dei popoli. Una situazione che ha reso obiettivamente difficile uno schieramento dei fronti in una prospettiva internazionalista che fosse in grado di andare oltre il contesto specifico.
La vicenda della Palestina ha sparigliato le carte, ed è un dato veramente positivo potere constatare che i giovani universitari americani hanno saputo cogliere l’occasione per fare rivivere (speriamo non in modo effimero) il passato più radicale. Quello che animava di spirito internazionalista le lotte dei loro padri (o forse dei loro nonni) nella opposizione alla guerra del Vietnam.
Ma c’è ancora un altro aspetto delle attuali mobilitazioni nelle università americane che va sottolineato con forza. Si tratta della presenza massiccia dei giovani della comunità ebraica. Qualcosa che, per la verità, non dovrebbe apparire poi così sorprendente se si considera la storia della presenza ebraica nel mondo a stelle e strisce.
La comunità ebraica ha sempre rappresentato una componente fondamentale della sinistra liberal americana, anche di quella più radicale. Basterà citare, a puro titolo d’esempio, come negli anni Venti e Trenta del secolo passato, gli ebrei, in particolare (ma non solo) quelli di origine russa, venivano guardati con sospetto perché considerati dei simpatizzanti del bolscevismo e della rivoluzione d’ottobre. La situazione si è poi fortemente complicata con la nascita dello Stato di Israele, che originariamente veniva visto da molti, seppure in modo confuso, come una possibile conquista di libertà.
La brutale aggressione perpetrata oggi dallo Stato ebraico nei confronti di Gaza e della Palestina, con i suoi terribili caratteri di genocidio e di pulizia etnica, hanno prodotto nella comunità ebraica statunitense una profonda frattura, con ogni probabilità insanabile, e che era comunque ormai da tempo strisciante, tra “ebrei liberal” ed “ebrei sionisti”.
La nascita di un movimento ebraico con un chiaro posizionamento antisionista è un fatto della massima importanza perché permette di smascherare la narrazione perpetrata da Israele che pretende di classificare come antisemita ogni espressione critica nei confronti delle sue scelte e delle sue politiche. Non è un caso che i governanti dello Stato ebraico, senza alcun timore di cadere nel ridicolo, abbiano tentato di screditare le occupazioni dei campus universitari statunitensi paragonandole alle manifestazioni antisemite delle università tedesche all’epoca del nazismo.
È sempre molto difficile capire la portata storica degli avvenimenti mentre sono in corso. Non ci resta che sperare che quella che è stata definita l’intifada studentesca (degli USA e del resto del mondo) divenga, come si sarebbe detto una volta, la scintilla che dà fuoco alla prateria.