“Il giornalismo può sopravvivere all’IA?” è stato il titolo provocatorio di una delle presentazioni chiave al recente Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia (#ijf24, 17-21 aprile). I giovani attivisti del Centro sociale perugino “Turba” rispondono di no.
Il tema dell’IA ha infatti completamente dominato la kermesse perugina: ben 12 presentazioni hanno esaminato gli effetti dell’Intelligenza Artificiale sulla professione giornalistica, sui mass media e sulla manipolazione dell’opinione pubblica attraverso articoli generati automaticamente da algoritmi controllati dalle Big Tech statunitensi.
Tutti i relatori hanno riconosciuto il rischio di intrappolamento dei mass media tradizionali, dal momento che le aziende Big Tech stanno diventando per essi una fonte primaria di guadagno; inoltre, l’indipendenza editoriale viene seriamente compromessa dal fatto che le redazioni fanno sempre più ricorso a sistemi di IA non trasparenti di generazione di articoli.
Qualche esempio: nel mese di luglio, OpenAI (che produce il software ChatGTP) ha firmato un accordo con una delle principali agenzie di notizie (AP) per la concessione in licenza delle sue notizie. Poco dopo, ha stanziato 5 milioni di dollari per indurre i giornalisti statunitensi, e non solo, a esplorare come l’IA “possa supportare il settore dell’informazione”. Infine, di recente, l’editore Axel Springer ha stipulato un accordo con OpenAI per consentire a ChatGPT di riassumere le sue notizie.
Ironicamente, lo stesso Festival è stato sponsorizzato dalle Big Tech – Google in testa. Nella sua auto-presentazione sul sito del Festival, l’azienda californiana dichiara sfacciatamente che “la nostra missione è quella di organizzare le informazioni a livello mondiale. … [I nostri] algoritmi determinano quali contenuti mostrare e in quale ordine, in base a una serie di segnali come autorevolezza, rilevanza e freschezza” – e chissà quali altri criteri, inconfessati, viene da aggiungere. “Google si basa su due modi principali per determinare quali notizie possono essere interessanti per l’utente,” spiega l’azienda: “E’ possibile specificare gli argomenti, i luoghi e le fonti a cui si è interessati e verranno mostrati i risultati delle notizie che si riferiscono a queste selezioni; inoltre, i nostri algoritmi possono suggerire contenuti basati sulle attività precedenti del cliente che usa i prodotti Google.” In altre parole, Google ci intrappola in una bolla autoreferenziale mentre siamo convinti di accedere al mondo intero. E se ne vanta.
Per suonare l’allarme contro la lunga mano delle Big Tech sulla professione del giornalismo, un gruppo di giovani del Centro Sociale perugino “Turba” ha organizzato lo scorso 20 aprile, insieme agli “Attivisti per Assange a #ijf24”, un Festival “off” presso la sede ANPI di Perugia dedicato al co-fondatore di WikiLeaks. Hanno preso la parola figure autorevolmente controcorrente come Vincenzo Vita, giornalista per il Manifesto e Articolo 21; Sara Chessa, giornalista indipendente; Tina Marinari di Amnesty International Italia, e il prof. Mauro Volpi, costituzionalista.
Nel loro volantino, gli Attivisti per Assange hanno denunciato come la persecuzione giudiziaria di Julian Assange mira a schiacciare proprio il giornalismo indipendente – di cui WikiLeaks è capostipite – spianando la strada al Pensiero Unico dei Corporate Media automatizzati con IA.
Nel loro volantino, invece, i giovani di Turba hanno denunciato con una satira puntuale e arguta lo strapotere delle Big Tech sull’editoria. Il loro testo è relativamente breve e merita di essere letto per esteso:
Breaking news – Veleno al Festival, tutta la verità
È stato rinvenuto cadavere alle prime luci dell’alba Il Giornalismo, ospite d’onore del Festival a lui dedicato. Indagati per il momento due tra gli sponsor della kermesse, Microsoft e Google.
Secondo alcune scioccanti rivelazioni i due colossi, esponenti delle GAFAM (le 5 più grandi e influenti aziende dell’Information & Technology al mondo: Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) avrebbero ammaliato il Giornalismo alcuni anni fa e già ad allora risalirebbero i primi tentativi di avvelenamento.
Al Giornalismo sono state subdolamente somministrate tossine, tramite forme di condizionamento psicologico e accattivanti aspettative economiche, mettendo in circolo modelli di business fondati su estrazione dati e profilazione dell’utenza, che privilegiano la viralità e il riscontro emotivo dell’audience rispetto alla qualità e all’accuratezza degli articoli. L’assuefazione a queste sostanze è andata a impattare su un organismo già debilitato, quello del Giornalismo. La vittima già da tempo combatteva con un cancro neoliberale all’ultimo stadio, il quale aveva diffuso in tutto il settore metastasi molto aggressive come precarietà, cottimo freelance, contratti sotto retribuiti e altre forme di sfruttamento della manodopera.
Il piano criminoso delle due multinazionali tecnologiche ne ha dunque ulteriormente aggravato il quadro clinico, innescando una rincorsa a suscitare, catturare e monetizzare l’attenzione dell’utenza. Questo processo si è svolto completamente a discapito della qualità dell’informazione: oramai, ciò che viene premiato è la quantità delle notizie, la loro brevità, il loro sensazionalismo. Tra le armi dei due colossi: l’engagement che, piuttosto che informare il lettore, lo orienta e suscita sentimenti come paura e odio.
Negli ultimi tempi il Giornalismo si era ridotto in gran parte a un flusso continuo di news preconfezionate, poco approfondite e poco indagate, prono agli interessi di inserzionisti e proprietari delle testate.
Nelle ultime settimane si è compiuto l’ultimo atto di questa letale relazione: i due indagati avrebbero proposto al Giornalismo un cocktail fatale: “l’Intelligenza Artificiale” come integrazione al lavoro redazionale umano, fornendo al malcapitato false rassicurazioni sulle conseguenze che questa novità avrebbe avuto sulla vita di lavoratrici e lavoratori del settore.
Il Giornalismo, convinto della necessità di adeguamento alle nuove frontiere tecnologiche, avrebbe ingerito una dose mortale del mix. È stato trovato riverso in una pozza schiumosa di contents, advertising e big data; i tentativi di rianimazione di attivisti e giornalisti indipendenti sono stati vani.
Spazio Turba – Perugia – www.instagram.com/turbapg/