pubblichiamo l’appello della scrittrice e nostra collaboratrice Ketty Giannilivigni, impegnata in questa campagna elettorale con il Comitato di scopo “Primo Maggio”, costituitosi al fine di sostenere la liberazione di Ilaria Salis. Nella sua ultima pubblicazione Maestra (Torri del Vento, 2023) ci ha offerto uno spaccato sulla danza ed oggi, ricorrendo alla figura della grande Carla Fracci, ci consegna una straordinaria testimonianza per affermare in ogni momento il nostro impegno sociale per la libertà contro ogni vecchia e nuova forma di autoritarismo[accì]

  

Il 27 maggio di tre anni or sono usciva per sempre di scena Carla Fracci (1936-2021), “l’ultima delle ballerine romantiche”. La sua interpretazione della follia in Giselle turbava il pubblico, poi durante il secondo atto dello stesso balletto, nel regno delle Villi, si trasformava in una creatura diafana. Aveva visto giusto la direttrice della Scuola di ballo del Teatro alla Scala Ettorina Mazzuchelli quando, passando in rassegna le bambine da rivedere per l’ammissione ai corsi di danza – allora gratuiti –, aveva accettato la Fracci che per quanto «gracilina» mostrava «un bel faccin». Infatti sarà proprio l’espressività del volto assieme alla mimica, alla grazia e all’armonia delle movenze del corpo a farne una delle stelle della danza nel mondo, un’immensa interprete oltre che una grande danzatrice.

Quale fosse la formula magica per cui riusciva a catturare il pubblico dall’inizio alla fine delle esibizioni è difficile a dirsi e, tuttavia, credo di non scalfire il mito se asserisco –  io che l’ho amata tantissimo da bambina e ammiro la donna e l’artista che è stata – che Carla Fracci portava la propria umanità e l’esperienza della vita sulle scene .

Figlia di un tranviere e di una casalinga, non rinnegò mai le proprie origini proletarie e per questo fu sempre pronta a scendere in piazza nella sua Milano in difesa dei più deboli  –  dagli operai ai migranti – mettendo a servizio delle lotte civili e sociali la sua immagine potente e piena di grazia.

Nell’ultima autobiografia Passo dopo passo. La mia storia (Mondarori, 2020), in cui Fracci ripercorre la propria esistenza, le tappe della carriera di danzatrice e dei grandi successi, una riflessione meritano, oggi più che mai, le pagine intitolate “Il rimorso più grande ”dove, mentre si confessa, la grande étoile restituisce un episodio vergognoso della storia d’Italia, ovvero quando Pietro Valpreda, ballerino di fila e d’avanspettacolo, venne additato come il mostro della strage di piazza Fontana solo perché anarchico, subendo, così, il processo mediatico della stampa di destra e di sinistra e, soprattutto, processi penali e anni di carcere, prima di essere assolto per insufficienza di prove. Carla Fracci, nel suo libro, dichiara che lei e il marito, Beppe Menegatti, avrebbero potuto testimoniare a favore di Valpreda ma furono vittime della paura: 

Avevamo voglia di dire a qualcuno del nostro incontro – con Valpreda a Roma, il giorno innanzi alla strage di Milano – , capire cosa fare. Ci pensammo per alcune ore, poi decidemmo di telefonare a Giorgio Zicari, il cronista che seguiva il caso. Era stato lui che, bruciando tutti sul tempo, aveva rivelato sul “Corriere d’Informazione” del 16 dicembre che Valpreda era indagato.

Lo chiamammo verso le ventidue. Lui ascoltò il racconto con molta calma e disse: «Risentiamoci più tardi». Di colloqui ce ne furono quattro. All’ultimo, eravamo intorno alle due e mezza di notte, Zicari disse: «Senta, Menegatti, dica a Carla che per la sua reputazione una dichiarazione del genere può essere rischiosa. Avete un bambino piccolo, dovete stare attenti. Meglio non entrare in questa vicenda». Quest’ultima frase ci impietrì.

Cosa voleva dire Zicari, che qualche anno più tardi sarebbe stato sospeso per due mesi dall’ordine dei giornalisti dopo che si seppe che aveva collaborato con i servizi segreti? Era un avvertimento benevolo o una minaccia ambigua?

Pensammo al rischio di un rapimento da parte di gruppi neofascisti protetti da forze occulte [….]

Decidemmo di non parlare con nessun altro di quell’incontro. Una scelta che si tramutò presto in grande rimorso.

Nel pomeriggio dell’11 dicembre Valpreda aveva chiesto ai coniugi Menegatti «se avevano un lavoro per lui» ma, era giunto tardi – spiega Carla Fracci – perché la compagnia era ormai completa. Il rammarico di non avere potuto offrire una parte nello spettacolo al ballerino andava ad aggiungersi al rimorso di non avere speso «una parola a favore di un accusato» e fare  il proprio «dovere di cittadini». Come era possibile, in fondo, – si chiede la ballerina –  incriminare «un uomo che nemmeno ventiquattro ore prima della strage stava quasi per entrare a far parte di uno show televisivo a Roma»? La deposizione della Fracci, come anni dopo confermò il legale di Valpreda, probabilmente «avrebbe aiutato a evitare la montatura mediatica del mostro» ma dichiara la ballerina: 

prevalsero la paura e la codardia di chi vuol vivere quieto. Pietro, perdonaci.

Oggi che è tornata la caccia alle streghe – chissà se si sia mai fermata! – emblematico risalta agli occhi il caso dell’italiana Ilaria Salis nell’Europa risorta dalle ceneri del nazifascismo, che si trova sotto processo in Ungheria, accusata di aver aggredito alcuni estremisti di destra nel “giorno dell’onore” di Budapest. Sin qui – dopo oltre un anno di carcere, da qualche giorno agli arresti domiciliari sempre in Ungheria –  nessuno straccio di prova a carico della Salis  –  gli stessi aggrediti hanno dichiarato di non averla riconosciuta – evidentemente, l’unica sua colpa è di essere un’attivista antifascista nell’Italia del governo Meloni incappata nell’Ungheria di Orbàn.

Ilaria l’abbiamo vista in video, tragicamente avanzare nelle aule di tribunale ungheresi, polsi e caviglie in catene, dignitosa, fiera, sicura di essere dalla parte giusta della storia. Lo sguardo disorientato e il sorriso dolcissimo, in luoghi tanto ostili, hanno commosso la gran parte dell’opinione pubblica. Con il suo volto e il suo corpo in quelle sequenze, oltre che con la storia del suo impegno civile e sociale che è emersa in seguito all’arresto, con la visione politica contenuta nelle sue dichiarazioni, Salis mostra di essere la candidata a cui possiamo affidare le nostre speranze di giustizia e democrazia per le elezioni europee del prossimo 8 e 9 giugno nelle liste di Alleanza Verdi e Sinistra, e per questo c’è da confidare nel voto di tante e tanti antifasciste/i.

Ricordiamo con amarezza le elezioni politiche del 1972, quando “Il Manifesto” presentò Valpreda capolista alla Camera nella circoscrizione di Roma:  ottenne tantissime preferenze ma la lista non superò “le condizionalità imposte dal metodo proporzionale allora vigente nell’attribuzione dei seggi”. 

Oggi, perché finalmente trionfi la giustizia, è necessario che Ilaria Salis torni nella piena libertà – rischia fino a 20 anni di carcere in Ungheria – e, perché la democrazia non sia una parola vuota, occorre che libertà di dissentire dalle scelte dei governi, asserviti ai potenti della terra, non si configuri come reato.

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