Il dottore britannico di origine palestinese Ghassan Abu Sitta è stato bloccato all’aeroporto di Parigi e gli è stato vietato l’ingresso in Francia, dove doveva tenere un discorso al Senato. Il dottor Abu Sitta ha passato 43 giorni ad operare nell’ospedale Shifà di Gaza ed è testimone oculare del genocidio compiuto dai generali israeliani contro la popolazione civile. Il suo intervento a Parigi sarebbe stato concentrato su questo aspetto di testimonianza diretta, ma i Paesi europei complici del genocidio in corso non vogliono che se ne parli. Lo scorso aprile gli era stato vietato l’ingresso in Germania, insieme all’ex ministro greco, Yanis Varoufakis. Il dottor Abu Sitta ha denunciato il fatto sui social e ha accusato “le autorità europee di temere che si conosca la verità sulla loro complicità nel genocidio a Gaza”. QUI
La polizia francese addossa la responsabilità a quella tedesca, che avrebbe emesso un divieto di ingresso per un anno nell’area Schengen nei confronti del dottor Abu Sitta, ma questo non cancella le responsabilità politiche della Francia, che si riempie la bocca del diritto di “libertà di parola” e poi vieta ai palestinesi in quanto tali di esprimersi. “L’Europa silenzia i testimoni del genocidio a Gaza, mentre Israele li uccide nelle carceri”, ha concluso il dottor Abu Sitta.
Un deputato della sinistra ha dichiarato che “il divieto d’ingresso al dottor Abu Sitta è una pagina vergognosa della politica francese”.
È il nuovo antisemitismo caro alla Germania che lo sperimenta oggi in una nuova forma: quella contro i palestinesi. Un manifestante di Berlino, dopo la dura repressione della manifestazione pro Palestina, ha innalzato un cartello: “La Germania non è stata denazificata; ieri ha compiuto il genocidio, oggi è complice di genocidio”.
A Berlino la polizia vieta l’uso di bandiere palestinesi, considerate un simbolo di antisemitismo ed è arrivata ad arrestare un ragazzo che portava in mano un’anguria, perché simbolicamente raffigura i colori della bandiera palestinese. In passato questa è stata una forma di lotta clandestina dei palestinesi cittadini israeliani, contro il divieto per legge di esporla in un luogo pubblico.