Dopo il fallimento del Protocollo Italia-Albania, e la ripresa degli sbarchi dalla Libia e dalla Tunisia, malgrado gli accordi con paesi che non rispettano i diritti umani, il governo Meloni ha ampliato la lista dei cosiddetti “paesi di origine sicuri”, verso i quali sarebbe più facile eseguire i rimpatri, arrivando persino a sostenere che in questo modo si sarebbero effettuate più espulsioni, con una maggiore sicurezza per gli italiani.

Come si può verificare in tutti i dossier relativi alle politiche migratorie, ancora una volta, in prossimità dell’ennesima scadenza elettorale, i partiti di governo sfruttano le paure di una popolazione stremata dalla crisi economica e dall’abbattimento dello Stato sociale, per introdurre categorie e regole che potrebbero cancellare i diritti fondamentali delle persone, a partire dal diritto di asilo, che la Costituzione riconosce all’art.10 come un diritto di portata più ampia di quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, e dunque anche nelle diverse forme di protezione speciale che il nostro ordinamento continua a prevedere.

Con il Decreto interministeriale del 7 maggio 2024, ai sensi dell’art. 2-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, è stato ampliato l’elenco dei Paesi di origine sicuri che adesso comprende: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Camerun, Capo Verde, Colombia, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia. Rispetto al precedente Decreto del 17 marzo 2023 con il quale erano stati inclusi la Nigeria e la Costa d’Avorio, sono stati aggiunti Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Perù e Sri Lanka. Il nuovo elenco di paesi di origine sicuri tende a riguardare alcuni paesi dai quali negli ultimi anni si sono verificati arrivi più consistenti, senza considerare le situazioni interne di questi paesi, caratterizzati da ricorrenti violazioni dei diritti umani. Basti pensare alla questione Tamil ancora irrisolta nello Sri Lanka. Ancora pochi mesi fa appartenenti a questa minoranza, dopo essere stati deportati dalla Svizzera, dove le loro richieste di asilo erano state respinte, venivano perseguiti dal governo cingalese.

La definizione di “paese di origine sicuro” è fornita dalla Direttiva UE 2013/32 (artt.36 e 37) che rinviava al legislatore nazionale il compito di adottare una lista di paesi di origine che si potessero definire sicuri al fine di respingere con modalità semplificate, come le procedure accelerate in frontiera, le domande di protezione di persone provenienti da quei paesi e facilitarne il rimpatrio forzato. La Direttiva dovrebbe adesso essere sostituita da un nuovo Regolamento che è previsto dal nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo approvato a Bruxelles poche settimane fa, ma i tempi di implementazione della nuova normativa europea, che dovrebbe garantire una maggiore uniformità a livello nazionale, nei diversi paesi membri, appaiono lunghi, nel limite di un biennio, e dopo un ulteriore decisione della (nuova) Commissione europea, che dovrà scandire i tempi, saranno necessari successivi interventi dei legislatori nazionali.

In base al Decreto Legislativo 25/2008, e successive modificazioni, in conformità alla vigente Direttiva europea 2013/32 sulle procedure, “uno Stato non appartenente all’Unione europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione […] né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone”.

L’ampliamento della lista di paesi terzi sicuri, e l’uso strumentale che se ne sta facendo in piena campagna elettorale, rappresenta un doppio imbroglio con il quale si vogliono nascondere ai cittadini elettori i fallimenti a catena registrati dal governo Meloni nel campo delle politiche migratorie.

Non è affatto vero che l’inclusione di un paese terzo nella lista dei paesi di origine sicuri permetta di aumentare il numero degli irregolari, o dei richiedenti asilo denegati, che possono essere “rimpatriati”. Semmai, espone a rischi incalcolabili persone che nel paese di origine potrebbero subire trattamenti inumani o degradanti, o restare privati di qualsiasi prospettiva di sopravvivenza. La numerosità delle persone rimpatriate e la effettiva esecuzione dei provvedimenti di allontanamento forzato (espulsioni e respingimenti) dipendono soprattutto dai rapporti politici che intercorrono con gli Stati terzi, dall’esistenza di accordi bilaterali e di riammissione, dal correlato sostegno finanziario garantito al paese di origine, come si può rilevare sull’esperienza maturata nel corso degli anni. Senza la collaborazione delle autorità dei paesi di origine nelle procedure di identificazione richieste, anche se in forma semplificata, con la mera attribuzione della nazionalità, prima dell’esecuzione dei rimpatri con accompagnamento forzato, non ci si può attendere un significativo aumento del numero di “stranieri” effettivamente espulsi o respinti verso gli stessi paesi di origine.

Secondo i dati raccolti da IDOS nel 2022, su oltre 500.000 stranieri stimati in condizione di soggiorno irregolare in Italia (un decimo rispetto ai poco più di 5 milioni regolarmente residenti), soltanto a 36.770 è stata intimata l’espulsione, circa 1 ogni 14 (inclusi 2.804 afghani e 2.221 siriani, che pure fuggono da Paesi in guerra e da gravi pericoli per la propria persona). Di questi, solo 4.304 (11,7%) sono stati effettivamente rimpatriati: una quota estremamente bassa e inferiore a quelle registrate perfino negli anni dell’emergenza sanitaria (15,1% nel 2021 e 13,7% nel 2020), caratterizzati da forti restrizioni nella mobilità internazionale. Secondo i dati EUROSTAT, nei primi sei mesi del 2023, l’Italia è riuscita a rimpatriare solo il 12 per cento delle persone migranti alle quali ha negato la protezione internazionale: 1.620 rimpatri su 13.200 ordini di lasciare il Paese. Secondo gli ultimi dati diffusi da ADN Kronos i rimpatri complessivi nel 2023 sono stati 4.743, in aumento di circa il 10,5% rispetto al 2022 quando furono 4.304. Dall’1 gennaio all’8 maggio 2024 risultano effettuati 1.639 rimpatri, una cifra che contrasta con la propaganda del governo che annuncia “successi” (per fortuna) inesistenti.

I “successi” vantati dal governo Meloni nei rimpatri con accompagnamento forzato si risolvono dunque nell’aumento di qualche centinaio di persone, una cifra che nasconde dolore irrimediabile e progetti di vita spezzati, ma che risulta insignificante rispetto al numero di persone, costrette ad attraversare il mare, che arrivano annualmente in Italia.
Negli ultimi anni il numero dei rimpatri forzati effettivamente eseguiti è quindi rimasto costante, tra 4.000 e 6.000 persone all’anno, malgrado la intensificazione dei contatti tra le autorità di polizia, inclusa l’agenzia europea Frontex, frutto degli accordi bilaterali e delle intese operative, finalizzati a rendere effettivi i provvedimenti di allontanamento forzato.

Non è poi vero che l’inclusione di uno Stato nella lista di paesi di origine sicuri possa permettere lo svolgimento più celere delle cosiddette procedure accelerate in frontiera, e negli altri luoghi assimilati, anche se lontani dai confini nazionali, a disposizione delle forze di polizia, perché quando una persona lamenti una motivazione individuale di protezione, o un rischio grave in caso di rimpatrio, si dovrà comunque adottare una procedura ordinaria, senza che si rilevi la provenienza da un paese di origine sicuro.

lettura integrale sul sito di ADIF

Il doppio imbroglio sui “paesi di origine sicuri” – ADIF (a-dif.org)