I Giochi Asiatici del 2018 in Indonesia sembravano un sogno realizzabile per ‘Alaa al-Daly (27 anni). Per un ciclista di Gaza il sogno di partecipare ad una competizione fuori dalla striscia è praticamente impossibile. Eppure, dopo vari anni di attesa, Israele aveva dato l’autorizzazione ad ‘Alaa di viaggiare per rappresentare la Palestina all’estero. Oltre al suo lavoro nelle costruzioni di reti fognarie nella striscia, ‘Alaa e i suoi colleghi professionisti avevano iniziato ad allenarsi intensamente e quotidianamente dall’inizio dell’anno. Tuttavia, il 30 marzo del 2018 in molte città palestinesi furono organizzati dei cortei per la Grande Marcia del Ritorno, in particolare nella striscia di Gaza, dove in migliaia manifestarono in prossimità del confine orientale della striscia. Durante queste proteste centinaia di palestinesi sono stati feriti con i proiettili dell’esercito di occupazione, e tra questi vi era anche ‘Alaa, che aveva partecipato ai cortei fin dal primo giorno. Aveva preso la sua bicicletta e si era recato al corteo per protestare contro il blocco imposto a Gaza, che gli aveva impedito di realizzare il suo sogno sportivo di rappresentare la Palestina all’estero o persino nei territori in Cisgiordania. L’esercito di occupazione gli sparò ferendolo gravemente alla coscia, con dei proiettili progettati per frammentarsi nei corpi delle vittime. Fu portato nell’ospedale europeo di Rafah, dove i medici rimasero sbalorditi per la gravità delle ferite riportate, e provarono, senza successo, a salvargli la gamba. I dottori chiesero che ‘Alaa venisse trasferito o in un ospedale a Ramallah o in Giordania, ma entrambe le richieste furono negate dalle forze di occupazione. Dopo sette giorni dal ferimento, i medici decisero di amputare la sua gamba a causa delle limitate capacità di intervento. Dopo aver perso la gamba, ‘Alaa si dissociò dal mondo esterno per due mesi, e sentiva che il sogno, coltivato dall’età di 13 anni, era ormai perduto.

Durante quelle manifestazioni, che proseguirono fino alla fine del 2019, l’esercito israeliano utilizzò sia proiettili veri che di gomma, mirando intenzionalmente agli arti. Infatti, sono state diffuse delle testimonianze di cecchini israeliani che riferirono di aver ricevuto l’ordine di mirare alle ginocchia dei manifestanti per smembrarle, causando così delle disabilità permanenti. Furono registrati 156 casi di amputazioni, e in 94 di questi fu necessario ricorrere ad una seconda amputazione, a causa di successive infiammazioni delle ossa. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, Israele aveva esteso a 23 giorni il tempo di attesa per il permesso di trasferimento dei malati, rispetto al 2017 in cui il tempo era di 10 giorni lavorativi. Tra 604 richieste avanzate da persone ferite durante i cortei per la Marcia del Ritorno, solo il 17% furono accettate, mentre il 28% furono rifiutate e al 55% non fu data alcuna risposta.

Dopo due mesi dal suo ferimento, ‘Alaa decise di prendere nuovamente la sua bicicletta, persino prima della rimozione dei punti di sutura dalla sua gamba. Aveva pensato di arrendersi, ma si era trovato davanti un irrefrenabile desiderio di tornare in bicicletta: “Ho iniziato a far nascere in me l’idea che fossi nato con quella amputazione. Basta, voglio andare in bicicletta come se fosse la prima volta”. Cadde tante volte cercando di trovare l’equilibrio sulla sua bici, e ci riuscì dopo un solo anno. Lo aiutò, fino a un certo punto, una protesi artificiale impiantata sei mesi dopo il suo ferimento, nonostante questa fosse stata costruita senza l’uso di tecnologie avanzate.

‘Alaa ricevette quella protesi dal Centro per le protesi artificiali, le paralisi e gli apparecchi ortodontici, e questo era l’unico centro della striscia specializzato nella costruzione di protesi e dispositivi di supporto, a cui vanno aggiunti alcuni laboratori di singoli cittadini, dove si costruiscono le protesi con materiali semplici e reperibili sul mercato.

Il centro fu fondato come organizzazione senza scopo di lucro nel 1974, e poi la municipalità di Gaza ne assunse la direzione. A causa delle difficoltà riscontrate a Gaza per l’ingresso di materiali e strumenti necessari, la costruzione delle protesi si svolge nei laboratori del centro utilizzando attrezzature che hanno più di 30 anni. Dal 2007 il Comitato internazionale della Croce Rossa ha iniziato a supportare il centro nel reperire i materiali necessari, acquistandoli e coordinandosi con le forze di occupazione attraverso procedure lunghe e complesse.

 

Costruire protesi a livello locale

Fino al 2009, si contavano circa 5.000 casi di amputazioni nella striscia, la maggior parte delle quali sono state causate dall’attacco israeliano a Gaza del 2008 e dagli attacchi ai palestinesi durante la seconda Intifada. Secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite, la guerra a Gaza del 2014 ha portato a 100 nuovi casi di amputazioni, a cui vanno aggiunte altre 300 causate tra il 2009 e giugno 2014. Inoltre, nei dieci anni tra il 2006 e il 2016 l’età media dei mutilati al momento dell’amputazione era di 25.6 anni, il 92% di questi erano uomini laureati e gli unici responsabili del mantenimento familiare.

Considerato l’alto numero di amputazioni, i medici hanno trovato soluzioni più semplici e meno costose. Muhammad al-Khuladi, specializzato in protesi artificiali, ricorda di aver visto dalla sua casa, vicino al confine tra Egitto e Gaza, un campo di battaglia dove le forze israeliane miravano ai palestinesi causando martiri e mutilati. Quando al-Khuladi fece richiesta per specializzarsi in ingegneria meccanica, la sua università aveva appena avviato una specializzazione nuova e rara sulle protesi artificiali e sui tutori, così decise di lasciare la facoltà di ingegneria per specializzarsi in quest’altro ambito.

Nel 2016, al-Khuladi inaugurò un laboratorio per la costruzione di protesi artificiali a Rafah, però si scontrò subito con una situazione molto complessa a causa del blocco israeliano, che gli impediva di costruire protesi utilizzando gli strumenti certificati a livello mondiale. Si servì dei materiali disponibili nel mercato locale, simili ai materiali medici, come la pasta di gesso americana, i tubi di rame o il silicone, inoltre utilizzava le scarpe ortopediche come piedi artificiali. Nonostante la loro semplicità, queste protesi possono essere usate dai malati per un intero anno. Al-Khuladi ha affrontato molti ostacoli nel reperire finanziamenti per il suo progetto; tuttavia, era riuscito ad ottenerne uno dedicato ai progetti che offrono protesi a prezzi contenuti. Ciononostante, era molto difficile per le persone acquistare queste protesi a causa delle loro difficoltà economiche. Questo lo spinse a trasformare gradualmente la lavoro di produzione in manutenzione.

Nel 2019, fu inaugurato l’ospedale Sheikh Hamad, specializzato in riabilitazione e protesi e finanziato dal Qatar Fund for Development per offrire visite gratuite, ma Israele lo ha bombardato all’inizio dell’attuale attacco alla striscia.

 

L’amputazione di arti nella guerra attuale: numeri senza precedenti

Alla fine del dicembre scorso, l’organizzazione della Mezza Luna Rossa Palestinese ha stimato che circa 12.000 persone, tra cui 5.000 bambini hanno perso uno o più arti dall’inizio dell’attuale guerra. E ha poi dichiarato che l’organizzazione non riesce ad aggiornare i suoi dati a causa della distruzione del sistema sanitario di Gaza.

Secondo Save the Children, più di 10 bambini al giorno hanno perso una o entrambe le gambe a Gaza durante i primi tre mesi di guerra, e spesso le operazioni di amputazione sono state eseguite senza anestesia né antidolorifici. Inoltre, in assenza di antibiotici e senza un’adeguata sterilizzazione, i feriti sono soggetti a maggiori pericoli a causa delle infiammazioni e delle infezioni. Oltre a queste condizioni critiche c’è un enorme problema quando si operano i minori: il sistema osseo dei bambini si sviluppa molto durante la crescita, e questi necessitano di un secondo intervento di amputazione. Tuttavia, a causa della devastazione totale del sistema sanitario della striscia, non è possibile seguire i casi di mutilazione degli arti e garantire un’assistenza necessaria.

Normalmente, le persone mutilate passano tre fasi, prima, durante e dopo l’impiantazione dell’arto. Secondo Ahmad al-‘Abasy, primario del reparto protesi dell’ospedale Hamad, in una situazione normale le operazioni di amputazione vengono fatte con maggiore sicurezza rispetto alle situazioni di guerra, infatti c’è un gruppo di medici specializzato e la parte amputata viene chiusa senza lasciare alcun frammento o emorragia interna, ed è possibile pulire ciclicamente la parte amputata dalle infiammazioni.

La fase di preparazione all’impiantazione dell’arto passa dalla fisioterapia e dal recupero funzionale e normalmente dura tra uno e tre mesi, durante i quali il corpo viene stimolato ad accettare l’arto esterno. Successivamente, l’impiantazione dell’arto dura tra una e due settimane, tuttavia la mancanza di medici specializzati a Gaza rende più difficile il percorso di cura.

Bisogna sottolineare che, negli ultimi sette mesi di guerra, la maggior parte dei casi di mutilazione aveva bisogno di un’altra operazione di amputazione. C’erano persone a cui sono stati amputati gli arti prima di arrivare in ospedale, e non è semplice curare queste amputazioni a causa del bruciore e delle infiammazioni. Se anche i loro arti fossero sopravvissuti al bombardamento, sarebbe stato impossibile non amputarli a causa dell’impossibilità di raggiungere gli ospedali, lasciando le loro ferite senza cure per giorni, o a causa delle lunghe attese in ospedali stracolmi di feriti e con carenza di personale medico. I gazawi adesso soffrono di malnutrizione e anemia, e ciò influisce negativamente sulla guarigione dalle ferite.

Un medico specializzato in chirurgia ossea dell’ospedale al-Shifa, Hany Bisisu, ha riferito che un numero enorme di operazioni di amputazione a Gaza non sarebbero state necessarie se il sistema sanitario avesse funzionato. I medici decidono di amputare per salvare la vita dei malati a causa della mancanza di attrezzature e di personale medico. Bisisu sostiene di essere stato costretto ad amputare circa 50 dei 500 feriti presenti nell’ospedale durante due settimane dall’ultimo blocco, prima di lasciare il suo impiego.

Secondo Bisisu, nella striscia mancano gli anestetici, ragione per cui i malati rischiano di morire a causa delle sofferenze durante l’amputazione senza anestesia, o a causa delle emorragie. Quindi svolgere delle operazioni senza anestesia “non è concepibile né dall’uomo né da alcun medico, il quale a volte è costretto ad operare comunque, poiché fa delle cose fuori da ogni concezione umana”. Perciò o lascia che il ferito muoia oppure ci prova, anche se le possibilità di salvarlo sono minime. È quello che ha subito sua nipote ‘Ahad (18 anni), la quale è stata ferita a una gamba durante la guerra, e siccome la loro casa era circondata dai carrarmati, Bisisu è stato costretto ad amputargliela per salvarle la vita.

Bisisu afferma che ‘Ahad è stata fortunata, poiché la sua storia ha avuto una risonanza mediatica che le ha permesso, poco dopo, di recarsi nel Regno Unito per le cure. Tuttavia, sostiene che a Gaza ci sono ancora centinaia di feriti che hanno perso almeno un organo, e che aspettano di ricevere cure dall’esterno. Dopo l’incidente a sua nipote, Bisisu ha promesso a se stesso che, come prima cosa, proverà a offrire delle terapie di cura al più alto numero possibile di feriti. Però, afferma che essere curati all’estero dipende molto dalla fortuna del malato e dalle sue amicizie, e solo una percentuale minima di malati è riuscita a trovare cure all’estero durante la guerra.

Questa non è l’unica guerra in cui malati hanno dovuto aspettare per le loro protesi. Le capacità mediche, anche con i servizi dell’ospedale Hamad, non sono sufficienti per tutti i mutilati della striscia di Gaza. Tra questi vi è Ibrahim ‘Abd al-Daym (34 anni), il quale, durante la guerra del 2014, subì l’amputazione del suo piede dopo un bombardamento israeliano su una scuola in cui lui e la sua famiglia si erano rifugiati. In quell’occasione persero la vita suo padre e suo fratello, mentre sua madre perse un occhio e sua figlia fu ferita.

Ibrahim fu curato a Nablus, in Cisgiordania, e rimase lì un mese e mezzo, prima di rientrare a Gaza. Tuttavia, il suo stato di salute rese impossibile per medici completare le procedure di chiusura delle terminazioni nervose, causando un dolore lancinante. Sarebbe dovuto ritornare a Nablus per finire le sue cure, ma Israele gli ha negato il permesso di uscire dalla striscia. I medici del centro protesi lo hanno informato che sarà impossibile per loro impiantare le protesi finché proverà dolore. A sua volta, non ha il denaro necessario per sostenere i costi dell’operazione, così ha ormai perso da tempo la speranza di tornare a camminare. In seguito, è tornato a lavorare nei campi e nell’edilizia con i suoi piedi amputati, perché secondo i requisiti richiesti dalla legge palestinese lui non ha diritto di ricevere i sussidi governativi.

Perfino dopo l’apertura dell’ospedale Hamad, non è riuscito ad avere una protesi artificiale, e i medici lo hanno informato che avevano a disposizione un solo arto e che lui avrebbe dovuto pagare 3000 dollari per avere l’altro. Ma non poteva permettersi quella spesa, così ha deciso di non proseguire con il trattamento, poiché istallare un unico piede avrebbe influito negativamente sul suo equilibrio. Così è stato costretto a cambiare sedia a rotelle ogni anno, pagando 50 dollari al centro per le protesi artificiali, a causa della mancanza di infrastrutture nella regione in cui vive.

Le sofferenze di Ibrahim sono aumentate ancora di più dopo la guerra, dopo che sua moglie e le sue quattro figlie sono scappate durante la prima settimana di conflitto. La loro casa è stata bombardata dopo un mese e mezzo, costringendo anche lui, su una sedia a rotelle, a emigrare da Beit Lahia (a nord) verso Khan Younes. Adesso vive in una piccola tenda assieme alla sua famiglia, senza i beni essenziali e dipendendo fortemente dagli aiuti.

Invece, il ciclista ‘Alaa al-Daly era riuscito, negli ultimi cinque anni, a ricevere in modo ciclico delle protesi artificiali dall’ospedale Hamad, migliorando notevolmente sia la fase di riposo che il movimento. Le protesi lo hanno aiutato a tornare abitualmente sulla sua bicicletta dal 2019, così ‘Alaa ha formato un team di persone mutilate per insegnar loro ad andare in bicicletta, e insieme hanno fondato il primo team palestinese di paraciclisti, formato da 25 disabili.

Alla fine del 2020, ‘Alaa ha ottenuto il brevetto e il riconoscimento della sua squadra da parte dell’Unione Europea, e quando è scoppiata la guerra si sono candidati per partecipare a delle competizioni di paraciclismo in Belgio e poi in Italia. Con l’aiuto di alcuni sostenitori, ‘Alaa e la sua squadra hanno speso 30.000 dollari per lasciare Gaza, e sono arrivati in Egitto con la speranza che, partecipando a questa competizione, possano avere l’opportunità di essere ammessi alle Paraolimpiadi del prossimo settembre. Tuttavia, non sanno quale sarà il loro destino dopo la gara, se torneranno in breve tempo a Gaza dove hanno lasciato le loro famiglie.

Traduzione a cura di Michele Nicoletti

Articolo originale: كيف أصبحت غزة عاصمة للأطراف المبتورة؟ – 7iber | حبر