Tra Montignoso (MS) e Pietrasanta (LU), in una zona vulnerabile dal punto di vista geologico, sismico e idrogeologico, c’è una grande discarica per rifiuti speciali, realizzata in quella che era una cava di calcare (“Ex Cava Viti”). Sotto la discarica scorrono tre sorgenti d’acqua che attraverso la Fossa Fiorentina, si riversano nel lago di Porta, oasi naturale protetta dalla Regione Toscana e rientrante fra i siti naturali di interesse della Comunità Europea.

Nata nel 1997 per lo smaltimento dei residui della lavorazione del marmo (marmettola), nel 2018 è stata autorizzata a stoccare anche rifiuti speciali, in particolare amianto. Attualmente ci sono, secondo i dati Arpat, circa 166 mila tonnellate di amianto, il 38% della massa dei rifiuti conferiti. La discarica è gestita da Programma Ambiente Apuane s.p.a, controllata al 100% da Alia, la partecipata pubblica che gestisce i rifiuti in Toscana.

Lo scorso 6 maggio, una frana ha travolto e abbattuto la parete esterna della discarica, con conseguente fuoriuscita sulla strada di liquido percolato. Come riportato dalla stessa Arpat, “le acque fuoriuscite dall’ingresso dell’impianto hanno raggiunto la strada Statale Aurelia, che è rimasta transitabile, ed il canale adiacente la strada che confluisce nella Fossa Fiorentina, che confluisce nel Lago di Porta”.

Lunedì 13 maggio le analisi ufficiali fatte da Arpat hanno dimostrato che nelle acque-percolato esaminate erano presenti, oltre i limiti previsti dal Testo unico ambientale (D.Lgs 152/06) relativi agli scarichi industriali in acqua superficiale, ferro, alluminio e solidi sospesi (derivanti secondo Arpat dalla marmettola) ma anche “la presenza di amianto sotto forma di crisotilo e tremolite. Le due specie di amianto individuate -continua la relazione di Arpat- possono essere compatibili con i materiali presenti all’interno della discarica”. Ma poi si aggiunge, per tranquillizzare: “Il sedimento presente nel percolato si è depositato sul fondo del Fosso Ginese sotto costante battente di acqua, quindi intrinsecamente in sicurezza in quanto indisponibile ad essere volatilizzato e respirato”.

I comitati che già da tempo denunciavano la pericolosità della discarica, protestano: “E’ un’offesa alla nostra intelligenza dire che l’amianto è in sicurezza in quanto bagnato -sottolineano le associazioni e i comitati del Coordinamento dei Comitati e delle Associazioni per la Depurazione, le Bonifiche e la Ripubblicizzazione del Servizio Idrico (CCA dbr)- questo amianto è arrivato sul fondo della Fossa Fiorentina per scorrimento superficiale, e nulla esclude che tutte le superfici bagnate dall’acqua con fibre di amianto, una volta asciutte, possano rilasciare le fibre killer. Il fango è presente nei piazzali e lungo la strada e le cunette laterali”.

Vicino alla discarica inoltre ci sono i depositi dell’acquedotto intercomunale.

“Chi può garantire che non finisca nell’acqua che beviamo?” chiede il Comitato dei Cittadini di ex Cava Fornace- quello che è successo è una cosa gravissima e il tentativo di rassicurazione è inquietante”.

A due giorni dall’incidente tra l’altro, l’8 maggio, in quella stessa strada è passato il Giro d’Italia. Nessuno ha pensato di cambiare percorso.

Nei giorni successivi Arpat ha fatto una diffida alla ditta, che ha presentato una sua relazione sull’accaduto. “Ci aspettiamo che Arpat faccia una sua indagine indipendente e non si limiti ad accettare quella di parte” chiedono i comitati.

Un cittadino che preferisce rimanere anonimo racconta: “quando ho visto quel fiume di acqua torbida riversarsi sulla strada, ho pensato che fosse dovuto a una rottura di tubature, visto che il traffico continuava, le auto passavano bagnandosi e sporcandosi di fango. I vigili del fuoco e tutti quelli presenti sul posto lavoravano con minime precauzione, con stivali nel fango, senza tute protettive, maschere facciali con filtri specifici per l’amianto, guanti e copriscarpe, come di prassi si fa quando si ha a che fare con siti potenzialmente contaminati. L’amianto non ha soglia, basta una fibra perché ci sia il rischio del mesotelioma”.

Un sospiro preoccupato, poi continua: “Dovrebbero rifare le analisi su tutto il terreno toccato dall’acqua, sul fango secco, e anche fare carotaggi in discarica. Perché qui qualcosa non torna. Il primo giorno dell’incidente il sindaco aveva tranquillizzato dicendo che era impossibile una fuoriuscita di amianto in quanto l’amianto in discarica è incelofanato e interrato, la fibra dovrebbe essere impossibile da mobilitare, se ben stoccata. Eppure le analisi Arpat dicono che l’amianto è finito fuori dalla discarica. Era correttamente stoccato? L’amianto che portano qua proviene da tutta Italia, i materiali arrivano in autocertificazione. C’è qualcosa che non va e le autorità devono indagare, per questo abbiamo fatto un esposto. Temiamo che questa non sia la prima e unica fuoriuscita di amianto”.

Il Coordinamento CCA dbr e il Grig (gruppo intervento giuridico) hanno quindi fatto un esposto alle Procure della Repubblica presso il Tribunale di Massa e di Lucca, coinvolgendo anche il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, la Regione Toscana, l’Arpat, i Comuni di Montignoso e di Pietrasanta, i Carabinieri del N.O.E.

“Non è la prima volta che si verificano gravi problematiche ambientali presso questa discarica -sostiene il Grig nel suo comunicato- Già nel 2018 Arpat aveva denunciato la società per gestione non autorizzata di rifiuti e l’aveva diffidata al rispetto delle prescrizioni impartite con l’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.)”.

Nonostante questi precedenti, è in corso un procedimento per riaprirla e raddoppiarla.

Il procedimento per ottenere l’autorizzazione (P.A.U.R.) (“Completamento oltre quota +43 della discarica per rifiuti speciali non pericolosi sita in loc. Porta nei Comuni di Montignoso (MS) e Pietrasanta (LU)“), è stato sospeso dalla Regione Toscana dopo l’ultimo incidente. Inoltre è scaduta (il 23 aprile 2024) il termine per il deposito della documentazione integrativa richiesta. Ma non è ancora detta la parola fine.

L’amianto non è l’unico rifiuto pericoloso conferito in questa discarica. Come riportato dalla stampa, e come si legge in una interrogazione al Consiglio Regionale del 2014 da parte dei consiglieri Staccioli e Donzelli, “nel corso del 2012 furono conferiti nella discarica 314 tonnellate di terre e rocce di scavo provenienti dall’ex cava Bargano, nel comune di Villanova del Sillaro, in provincia di Lodi, una discarica abusiva e pericolosa definita a più riprese dalla stampa locale come bomba ambientale. Nell’ex cava Bargano tra il 1960 e il 1965 erano stati smaltiti (illegalmente) fusti che contenevano diossina, che negli anni, ha corroso i recipienti contaminando il terreno. Il caso venne fuori ad inizio anni ’90 con un’inchiesta della procura e la dichiarazione dello stato d’emergenza. A quanto pare, quindi -continuava l’interrogazione- quanto accolto dalla discarica dell’ex Cava Fornace fa parte dei 1.100 metri cubi di materiale tra terre contaminate e a media contaminazione rimasti da smaltire dopo l’opera di bonifica. L’invio dei camion con i rifiuti da Bargano a Montignoso infatti è stato accompagnato da una comunicazione della Provincia di Lodi all’Arpa Toscana che segnalava il conferimento di terreno contaminato da diossine all’impianto sito in località Porta adibito a discarica. Arpat successivamente confermò la non conformità di alcuni rifiuti conferiti in discarica e la contaminazione di alcuni pozzi da tricloroetano”.

Sono passati 10 anni da questa interrogazione, che letta oggi, dopo l’incidente e lo sversamento di percolato nelle strade e nei fossi, risulta ancora più inquietante.

Associazioni ambientaliste e cittadini, chiedono quindi accertamenti e interventi di bonifica, “ma soprattutto, un processo che porti alla chiusura definitiva e alla messa in sicurezza della discarica”.

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