Dall’Ucraina a Gaza i venti di guerra imperversano nel mondo, ma la guerra di oggi, e quella che si preannuncia per l’immediato futuro, è molto diversa, e se possibile terribilmente peggiore, rispetto a quella del passato.
Mentre l’esercito USA annuncia l’imminente entrata in funzione di 2000 caccia bombardieri che saranno operativi senza bisogno di piloti o di altro intervento umano, sembra che sia soprattutto il conflitto in Palestina il teatro principale dove vengono ampiamente utilizzate dall’esercito israeliano le moderne tecnologie legate alla intelligenza artificiale, che stanno cambiando per sempre il modo di fare la guerra.
Pare che sia un sistema di AI che decida di volta in volta quali obiettivi attaccare a Gaza elaborando in tempo reale una enorme quantità di dati. Un sistema simile, denominato “Lavender”, si occupa di spiare, tramite intercettazioni telefoniche messaggi social e quant’altro, tutti gli abitanti di Gaza allo scopo di individuare i possibili militanti di Hamas. Questi vengono poi classificati secondo la loro presunta pericolosità e sorvegliati attraverso un sistema di tracciamento che con incredibile e aberrante cinismo viene chiamato “Dov’è papà?”, per essere poi colpiti nel momento esatto in cui rientrano a casa in modo da sopprimerli, eliminando l’intera famiglia, bambini compresi.
I nuovi modi di concepire la guerra sembrerebbero preludere ad un futuro in cui le nuove tecnologie prenderanno definitivamente il posto degli uomini, trasformando le strategie militari in programmazioni informatiche, e soprattutto rendendo sempre meno importante l’intervento diretto dei combattenti negli scenari del conflitto, fino al punto da fare pensare che in un futuro non lontano gli stessi eserciti, così come da sempre li conosciamo, possano rendersi del tutto superflui, almeno nella fase di attacco esterno e di non occupazione del territorio nemico.
Ma le cose sono probabilmente più complesse. È la stessa storia militare dello Stato di Israele, per molti versi esemplare per capire l’evoluzione moderna della guerra, che ci lascia molti dubbi. Mentre infatti, per un verso, come abbiamo visto, le tecnologie della AI prendono le immediate decisioni operative al posto degli stati maggiori e le armi portano morte e distruzione senza bisogno dell’intervento umano, per altro verso Israele ha da sempre, (e pare abbia tutte le intenzioni di preservare anche per il futuro), una concezione del proprio esercito in cui l’esercizio della forza armata non viene concepito come una sorta di funzione separata riservata a specialisti, ma piuttosto come qualcosa che vive in simbiosi col popolo, e che quindi deve essere considerato come un preciso impegno, oseremmo dire “esistenziale” e quotidiano, di ogni cittadino. In sostanza, l’esercito concepito come un popolo costantemente in armi.
Ricordiamo, a questo proposito, che la leva obbligatoria in Israele riguarda entrambi i sessi e dura ben tre anni. Questa presenza “di massa” all’interno dell’esercito determina il fatto che una parte consistente degli ufficiali, anche di grado relativamente alto, non siano professionisti di carriera. Pare inoltre che all’interno dell’esercito una presenza significativa, anche dal punto di vista numerico, sia quella dei coloni, che giusto per intenderci, rappresentano quei cittadini che continuando ad occupare nuove terre sottratte ai Palestinesi, hanno fatto dell’uso delle armi una pratica quotidiana a prescindere dall’avere indosso la divisa di un esercito regolare.
Queste riflessioni ci portano a pensare ad un ulteriore salto di qualità nel prodursi della guerra del futuro. Una nuova dimensione totalizzante in cui all’uso delle tecnologie più avanzate della AI per portare morte e distruzione e desertificare il territorio del nemico da abbattere sul fronte esterno, si accompagna la rinnovata esigenza di un controllo sempre più raffinato delle menti sul fronte interno.
L’identità escludente ed armata di un popolo disciplinato che deve farsi esercito innanzitutto per assicurare il controllo di se stesso. È evidente che in questa prospettiva ogni voce di dissenso od anche l’espressione del minimo dubbio o del più vago sospetto, saranno considerate la prova certa di un tradimento, ancora di più di quanto la logica della guerra non imponesse già in passato.